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Sull’obiezione Italia promossa in Europa

L’Italia non è più sotto accusa di fronte al Consiglio d’Europa per la spinosa questione dell’obiezione di coscienza all’aborto. Il Comitato dei ministri, l’organo di governo politico dell’organismo (che niente ha a che fare con l’Ue, e conta 47 membri tra cui Svizzera, Russia o Ucraina), ha pubblicato una risoluzione positiva sul contenzioso tra il governo italiano e la Cgil che va avanti dal 2013, promuovendo l’Italia per la sua gestione della materia dopo averla censurata in un primo momento per decisione del Comitato per i diritti sociali.

Il sindacato aveva accusato il governo di non assicurare misure sufficienti a garantire l’aborto come previsto dalla legge 194 a fronte dell’alto numero di ginecologi obiettori (attestati ormai stabilmente attorno al 70% sul totale). In aprile i rilievi presentati dalla Cgil, che lamentava l’impossibilità di abortire in alcune aree del Paese, erano stati accolti dalla commissione competente del Consiglio d’Europa, notizia divulgata con clamore dai nostri media nazionali come una “vittoria” del “diritto di abortire”.

Al governo italiano era poi stata concessa la possibilità di presentare le proprie controdeduzioni in una seduta pubblica, che il 24 maggio aveva consentito di chiarire gli aspetti non esaminati in un primo momento con una documentazione sufficientemente aggiornata.

Oggi, infine, il verdetto del Comitato dei ministri, che ha pubblicato una risoluzione nella quale si tiene conto delle informazioni comunicate dalla delegazione italiana. Il Comitato, si legge, «prende nota delle informazioni fornite in seguito alla decisione del Comitato europeo dei diritti sociali e accoglie con favore gli sviluppi positivi intervenuti». L’Italia resta sotto osservazione – nel documento si sottolinea che il Comitato dei ministri «attende con interesse il rapporto che sarà sottoposto (dall’Italia, ndr) al Comitato europeo dei diritti sociali nel 2017 – ma dopo la bocciatura di tre mesi fa si tratta certamente di una promozione. È indubbio infatti che siamo di fronte a un successo ottenuto in Europa nel giudizio su come è organizzata l’obiezione di coscienza all’aborto in Italia.

Il nostro Paese esce dalla posizione scomoda di “accusato”, anche se, sottolineano fonti di Strasburgo, «l’obiettivo non è mai di sanzionare uno Stato ma di aiutarlo a mettersi in linea con gli standard». L’11 aprile era stata resa nota la decisione del Comitato europeo per i diritti sociali, dopo un lungo braccio di ferro, con l’accoglimento parziale del ricorso della Cgil, rilevando la violazione di una serie di articoli della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, tra cui il fatto che «le lacune nella prestazione dei servizi d’interruzione di gravidanza in Italia non sono state ancora rimediate e le donne che desiderano ricorrere ai servizi di aborto continuano a incontrare nella pratica reali difficoltà», con «rischi considerevoli alla salute e al benessere delle donne coinvolte», in violazione dell’articolo 11 sulla protezione della salute.

Il Comitato aveva inoltre contestato la violazione del divieto di discriminazione, visto che a suo dire c’era un trattamento difforme in base alla geografia (servizi migliori in alcune regioni rispetto ad altre) e a come vengono erogati altri servizi medici dove non c’è obiezione. Il Comitato per i diritti sociali aveva accolto anche l’accusa della Cgil secondo la quale i medici non obiettori sarebbero trattati peggio di quelli obiettori quanto a carichi di lavoro, ripartizione delle mansioni e possibilità di carriera. Fondata per il Comitato era anche la denuncia di presunte “pressioni” di cui sarebbero oggetto i medici non obiettori per cambiare orientamento.

Considerando che era questo il punto di partenza, il successo odierno assume un rilievo ancora maggiore. Tra il Ministero della Salute e la Cgil si è assistito in questi mesi a un duro botta e risposta, con il ministro Beatrice Lorenzin che aveva parlato di «dati vecchi» forniti dal sindacato, posizione contestata duramente dalla leader della Cgil Susanna Camusso. Al dunque il Comitato dei ministri – organismo politico di livello superiore rispetto al Comitato per i diritti sociali – ha accolto gli argomenti forniti dal Ministero ritenendoli più persuasivi del reclamo.

I dati presentati dall’Italia a Strasburgo, tratti dalla Relazione annuale al Parlamento sull’attuazione della legge 194, parlano di un calo del 5,1% della richiesta di aborti tra il 2013 e il 2014, con un crollo rispetto al 1983 della pressione sui medici non obiettori (da 145 interventi pro capite l’anno ai 69 nel 2013).

Inoltre, il 70% delle strutture ospedaliere per la maternità italiane pratica l’aborto, un tasso ben superiore al numero di aborti per nascite complessive (il 20%). E ancora: ci sono 5 strutture che garantiscono aborti a fronte di 7 punti nascita. Ora anche l’Europa s’è detta convinta che in Italia l’obiezione non è un problema.

Fonte: Giovanni Maria Del Re – Avvenire.it

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