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VITA – L’aborto e quel manifesto offuscato a Reggio Calabria

A proposito del cartellone di ProVita e Famiglia censurato dal sindaco: la tentazione dei “poteri assoluti” nei confronti delle espressioni di libertà

Lo zelo del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, lo ha portato a far offuscare alcuni manifesti nella sua città. La censura che a nessuno piace ma che proprio non vuol morire. Tutti diciamo di essere per la libertà di coscienza, di espressione, di opinioni. A parole, evidentemente. I diritti è più facile pretenderli per se stessi e per quelli dalla propria parte che riconoscerli agli altri. Ma che cosa c’era scritto di così pericoloso per l’incolumità altrui e per la civile società sui manifesti incriminati? «Il corpo di mio figlio non è il mio corpo. Sopprimerlo non è la mia scelta. Stop aborto» le parole sono acompagnate dalla foto di una bellissima ragazza. Attenzione, la signorina sta dicendo che non ritiene essere suo diritto sopprimerlo, non sta invocando la pena di morte per chi lo fa; nemmeno sta incitando alla violenza, al bullismo, all’odio razziale.

Se mai manifesto fu più sereno e rispettoso delle opinioni altrui è proprio quello che il sindaco ha oscurato a spese dei cittadini. Senza rendersi conto – almeno così ci piace sperare – che così facendo sta mettendo il bavaglio a quelle minoranze di cui tutti ci facciamo paladini. Senza rendersi conto di andare – lui, sì – contro la legge 194, la quale, ben sapendo che ogni aborto, oltre alla eliminazione del feto, è un trauma per la donna che vi ricorre. La stessa legge, infatti, chiede di andare incontro alla donna, ascoltarla, aiutarla a rimuovere ogni ostacolo prima di arrendersi. Insomma, tutti siamo d’accordo nel dire che abortire non sia una passeggiata. Se quel manifesto fosse servito a salvare una sola vita, ne avremmo guadagnato tutti, compreso il sindaco in questione e la città che amministra. Certe azioni sono controproducenti; in politica, l’opposizione è necessaria quanto la maggioranza per mantenere in vita la democrazia.

La tentazione dei “poteri assoluti” è sempre dietro la porta. Come si può notare non sto argomentando sull’aborto in questione. Certo, sono un prete, che per convinzione propria e per fedeltà alla dottrina della Chiesa, crede che la vita sia il bene più prezioso da salvaguardare e s’impegna perché venga eliminato ogni ostacolo pur di farla nascere. In questi anni, insieme ai miei collaboratori, soprattutto collaboratrici, abbiamo avuto la gioia di contemplare decine di bambini destinati all’aborto. È mio dovere dire a tutti la felicità dei loro genitori quando lo tengono in braccio, la loro riconoscenza nei nostri confronti. Alcune famiglie, che abitano più lontano, si fanno carico di portarmeli a vedere quando iniziano a sgambettare, o quando stanno per varcare per la prima volta il cancello della scuola.

Alcuni di essi, ormai adolescenti, arrivano in chiesa tenendo per mano il fidanzatino o la fidanzatina. Sento anche il dovere di riportare il lamento di tante mamme mancate: «Peccato, padre che in quei giorni non ho trovato nessuno che mi trascinasse via da quel luogo. Peccato non averla incontrata prima, oggi mio figlio avrebbe 20 anni, non oso immaginare…».

Faccio notare che “choice” vuol dire scelta. Coloro che sono favorevoli all’aborto ci tengono a sottolineare che non sono “per la morte”, in contrasto con gli “amanti della vita”, ma per la libera scelta della donna. Ed ecco cascare l’asino, perché la ragazza del manifesto di Reggio Calabria, sta proprio dicendo che «sopprimerlo non è una sua scelta» un diritto, quindi, che il sindaco calabrese non ha ritenuto di doverle riconoscere. Qualcosa non torna, d’altronde non può che essere così, trattandosi di preziosissime vite umane. Quel manifesto voleva argomentare, dialogare, dare voce a chi voce non ha; non toglieva diritti a nessuno, la scelta autoritaria del sindaco calabrese, invece, sì. Che male c’è a imbattersi in quella scritta? Se sei credente, sai che Dio è grande nell’amore e ti perdona; se non lo sei, sai che è giusto che in un mondo plurale ognuno deve avere il diritto di esprimere le proprie convinzioni. Perché tanta paura?

Fonte: Maurizio Patriciello | Avvenire.it

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