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Frenate il tempo voglio scendere

Francesco, vescovo di Roma, nella Laudato si’, con il suo linguaggio fresco e accattivante l’ha chiamata «rapidación» (n. 18); i tecnologi, dal canto loro, la qualificano come «esponenzialità »: la realtà additata è comunque la medesima, ovvero l’inaspettata, disorientante, spesso ingestibile accelerazione dei nostri tempi. La causa dell’accelerazione è facilmente individuabile nel ritmo del progresso tecnologico, che umilia l’evoluzione biologica dal passo lento-darwiniano e ridicolizza ogni sistema etico o politico che cerchi di contenerlo o regolamentarlo. Un celebre libro di Charles Percy Snow, nella metà del Novecento, intitolato Le due culture, mirava a confrontare/distinguere la sfera umanistica e l’ambito tecnoscientifico.

Oggi, anziché delle due culture, si dovrebbe più appropriatamente parlare delle due velocità: da una parte, il tempo esponenziale delle tecnologie emergenti; dall’altro, tutto il resto che – a eccezione dell’interesse di certi mutui bancari – prosegue con il suo cadenzato tempo lineare. I due ritmi non sempre producono una gradevole armonia. La silloge The Growing Gap between Emerging Technology and Legal-Ethical Oversight (Il distacco progressivo tra le tecnologie emergenti e la sorveglianza etico-legale, Springer, 2011) fotografa proprio l’impietosa immagine di una tecnologia che sfreccia a tutta velocità e un sistema morale e normativo, pachidermico e farraginoso, che arranca dietro ansimante, mentre la vede puntiformemente allontanare.

Gary Marchant – uno degli autori – raccoglie con dovizia gli studi che attestano i luoghi dove l’esponenzialità si annida e, tra i molti, si stagliano i settori delle biotecnologie, della sequenziazione del Dna, della cyber-medicina, delle neuroscienze, della nanotecnologia. Nell’ultimo numero di “Policy Research”, J. D. Farmer e F. Lafond elencano 53 ambiti tecnologici che dimostrano, matematicamente, una crescita esponenziale. L’esponenzialità, a prima vista, impressiona, ma a guardare meglio sconvolge.

La regola del raddoppio implica, ad esempio nell’ambito dell’informatica, non solo che nel presente anno la potenza dei computer sarà due volte quella del 2015, ma addirittura che, approssimativamente, nel nostro 2016 comprimeremo un arco di progresso pari a quello che il settore ha sviluppato dalle sue origini – indicativamente i primi anni Sessanta – fino a oggi. Cinquanta e più anni di evoluzione tecnologica compressi in uno soltanto. E l’anno dopo ancora un raddoppio.

È questo il dato che l’ingegner Gordon Moore, co-fondatore della Intel, previde, tra lo scetticismo generale, nel 1965. Gli esperti, all’epoca, pronosticarono vita breve a questa tendenza e lo stesso scommisero anche negli anni Settanta, Ottanta, Novanta e seguenti. L’anno scorso la cosiddetta “legge di Moore” ha spento le cinquanta candeline e, pur nella sua improbabilità congenita, continua a raddoppiare. E in questa folle corsa ( mad rush), affiancano l’informatica tutte le tecnologie poc’anzi menzionate. Il poliedrico Jürgen Schmidhuber – informatico, filosofo, artista – ha formalizzato il fenomeno in una sua propria legge secondo cui la distanza temporale tra una scoperta scientifica rivoluzionaria e la successiva decresce esponenzialmente. Seppur rovesciata, è ancora l’esponenzialità a dettare il tempo. Risiede qui il motivo del senso di vortice e spaesamento che talvolta assale l’essere umano di oggi.

«Mutamenti troppo grandi in lassi di tempo troppo piccoli»: questo è lo shock del futuro immortalato da Alvin Toffler. Il cyberteologo John Dyer visualizza l’accelerazione facendo notare come un coevo di Abramo avrebbe avuto minor difficoltà ad ambientarsi ai tempi dell’altro fa- moso Abramo, ovvero Lincoln – nel modo di lavorare, procurarsi cibo e riparo, fare la guerra… –, di quanta ne troverebbe un soldato nordista catapultato nei giorni nostri. Come dire: ci sono stati più cambiamenti epocali negli ultimi 150 anni che nei circa 3500 precedenti. È questo il battito segreto dell’esponenzialità: pensi ad un evento che reputi possibile avvenire tra cento anni di tempo lineare (la vittoria su una particolare malattia, un dispositivo per l’energia pulita, un viaggio interstellare …) ed ecco che – 1, 2, 4, 8, 16, 32, 64, 128 – in otto anni di tempo esponenziale il percorso è già coperto. Quel versetto di 1Cor 7,29: «I tempi si fanno brevi» assume oggi un significato assai sibillino. Il teorico di sistemi John Smart ha intravisto lo spazio culturale per fondare una nuova disciplina detta Studio dell’Accelerazione e il suo sito Acceleration Studies Foundation offre un saggio di quanto ampio sia lo spettro delle indagini.

Anche senza studi approfonditi, comunque, l’essere umano di oggi ha percepito, fosse solo a livel- lo inconscio, l’inadeguatezza del proprio corpo biologico nel contesto del tempo accelerato. La frenesia dei troppi impegni, la formula del “non ho tempo” assurta a status symbol, la tendenza multitasking di prestare attenzione a più canali contemporaneamente sono risposte a questo stato di cose. Risposte goffe e, probabilmente, poco salutari. Il tempo esponenziale, infatti, non va rincorso, ma compreso. Esso va compreso nella sua essenza, nel suo ruolo all’interno della storia, nel motivo metafisico che lo colloca proprio in quest’epoca. Occorre comprenderlo perché, se la tecnologia è esponenziale e la nostra epoca è definita come l’era della cultura tecnologica, allora, conclude il sillogismo, se non facciamo lo sforzo di «pensare esponenziale» diventa poi impossibile comprendere il mondo stesso in cui viviamo.

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