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Asia Bibi, si muove l’Unione Europea

Una delegazione del Parlamento della UE si è recata in Pakistan visitando la famiglia della donna condannata per blasfemia. Le pressioni dell’Europa per il rispetto dei diritti umani come condizione per accordi commerciali.

«Beati quelli che sono perseguitati a causa della giustizia, perchè di essi è il Regno dei cieli». Genera una certa sorpresa ritrovare un versetto del discorso della montagna, dal quinto capitolo del Vangelo di Matteo, nella lettera scritta da una delegazione del Parlamento Europeo. In visita nei giorni scorsi in Pakistan, la delegazione (Peter van Dalen, Paesi Bassi; Arne Gericke, Germania; Marek Jurek, Polonia) ha consegnato la missiva ad Ashiq Masih, marito di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia, che attende il verdetto della Corte  Suprema come atto conclusivo della sua tragica vicenda di innocente destinata alla  forca.

Nulla di burocratico o di formale vi è nella missiva per Asia, ottenuta da Vatican Insider, che i parlamentari hanno dato ad Ashiq. I tre membri della delegazione si sono informati sulla situazione di Asia Bibi, sulla sua salute e sulle necessità, manifestando la sollecitudine che una istituzione come il Parlamento di Strasburgo nutre verso il caso della donna.

«Asia è un esempio di autentica e genuina fede cristiana per milioni di persone nel mondo», hanno detto i leader europei. E il suo caso è diventato la punta di diamante della campagna che, all’interno del Pakistan e all’estero, chiede una revisione della legge sulla blasfemia per evitarne gli abusi, dato che nella stragrande maggioranza dei casi la normativa viene comodamente e impunemente tirata in ballo per rivolvere controversie che nulla hanno a che fare con la religione.

Non è mancato un incontro con l’avvocato musulmano Saif-ul-Malook, titolare della difesa di Asia Bibi di fronte al Supremo tribunale. L’avvocato ha potuto descrivere il caso dal punto vista giuridico, rimarcando le possibilità e la fiducia in un verdetto favorevole.

Va detto che la delegazione della UE ha mostrato una inattesa attenzione per la condizione dei cristiani nella «terra dei puri»: i tre hanno anche visitato le due chiese del quartiere di Youhanabad, a Lahore, colpite nella primavera scorsa da due attentati kamikaze.

I parlamentari hanno confermato l’approccio che l’Unione Europea tiene nelle diverse sedi istituzionali verso il Pakistan: come ha rimarcato Jean-Francois Cautain, ambasciatore della UE a Islamabad, lo speciale status garantito al paese, che dà accesso ad accordi commerciali privilegiati con l’Unione (il cosiddetto Sistema Generale di Preferenze, indicato con la sigla «GSP+») potrebbe essere sospeso o revocato se il Pakistan non rispetta le Convenzioni Onu sui diritti umani. Il che significherebbe una brusca frenata nell’export dei prodotti pakistani verso i paesi UE.

E proprio nel semestre di Presidenza italiana, circa un anno fa, il caso di Asia Bibi e la legge di blasfemia erano stati al centro di un dibattito che li citava come paradigmatici del mancato rispetto dello standard minimo dei diritti umani in Pakistan.

«La principale critica mossa nei confronti delle leggi di blasfemia – recita una nota della Commissione Europea – è che la sanzione della pena di morte è sproporzionata rispetto alla natura del reato. Un’altra grave preoccupazione riguarda il fatto che un numero considerevole dei casi di blasfemia si basi su false dichiarazioni: si sporge denuncia per risolvere diatribe personali o per alimentare le tensioni settarie e interconfessionali. Tale abuso sembra in drastico aumento negli ultimi decenni».

Anche Cathy Ashton l’Alto Rappresentante UE per la politica estera, ha espresso a più riprese rammarico e profonda preoccupazione per la condanna a morte di Asia Bibi, augurandosi che il verdetto venga annullato rapidamente dalla Corte suprema.

E il gruppo di lavoro del Parlamento Europeo sulla libertà di religione, che da anni segue con attenzione il caso di Asia, ha chiesto «a tutti coloro che sono coinvolti nel caso di dare prova di coraggio e di non cedere ad alcuna pressione o minaccia esterna», invitando il governo pakistano «a salvaguardare l’indipendenza della magistratura» e «a fornire protezione adeguata a tutte le persone coinvolte nel caso, ora e dopo una decisione giudiziaria».

Sta di fatto che, come notano gli osservatori, le prese di posizione e i proclami politici lasciano il tempo che trovano e restano «lettera morta» se non sono accompagnati da una effettiva azione sul terreno economico. Solo se il Pakistan vedrà realmente ridotto il raggio di azione e il volume di affari nei rapporti commerciali con la UE, le pressioni potranno risultare davvero efficaci.

Fonte: VaticanIsider.it

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