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L’imboscata di Dio. Un altro Agostino nel sacco

L’arrestarono che era ancora giovinetto e di lui si persero le tracce. I più che lo conoscevano dissero: “E’ perduto”. Altri, che di falliti e di fallimenti non vogliono magari sentire parlare, preferirono sbarrare la strada a qualsiasi discorso: “Chiudetelo dentro e stop”. Tantissimi nemmeno sapevano della sua esistenza, dei suoi misfatti e dei suoi lineamenti. Perché entrare in carcere a diciotto anni, e sapersi destinati al ferro e al cemento delle patrie galere per decenni, non è cosa facile da sopportare. Anche coloro che con lui spesero giorni e pasti nell’angusto spazio di una cella, difficilmente intuirono cosa stava accendendosi nel cuore di Jianq-Ing Zhang, detenuto cinese di quasi trent’anni, condannato alla reclusione forzata in un declassato carcere del Nord-Est.

Ciò che rimase mistero per anni – gli anni delle notti insonni, del silenzio e della fatica, forse anche della vergogna – si è reso manifesto ieri mattina tra i capannoni del medesimo carcere. Jianq-Ing è diventato cristiano scegliendosi il nome pesante di Agostino e ricevendo i sacramenti dell’iniziazione cristiana: il battesimo, la cresima e l’eucaristia. Là dentro – tra scatoloni di panettoni e imballaggi di valigie, profumo di tramezzini e squilli del call center – s’è celebrata l’ennesima vittoria della Grazia sulla disgrazia, della Bellezza sulla Bruttezza, della Vita sulla morte, della Risurrezione sulla Croce. Una chiesa stile “ospedale da campo”, di quella che tanto piace a papa Francesco: chiesa nelle cui navate la prima urgenza non è tanto la rendicontazione dei peccati e delle miserie ma l’annuncio gratuito e spassionato di un Dio che s’è intestardito nel cercare te, proprio te: il fannullone, l’omicida, l’avverso. Il delinquente o, forse, solo il deluso: di se stesso, della vita, della storia. L’annuncio che vale già una mezza salvezza: Dio ti cerca, Dio ti trova. Non te lo perdere altrimenti sei perduto. Sempre così, come nelle più classiche delle storie d’amore: quasi per caso, quasi sempre con un Dio in borghese, molto spesso quando e dove meno te l’aspetteresti. Un Dio imboscato dentro una galera, a spiare un galeotto, a tendergli il più bello dei tranelli: quello dell’Amore e della rinascita.

Nel nome scelto, la bellezza di ciò che è stato e l’auspicio di ciò che sarà. Certi nomi, dentro la galera, profumano di sicurezza: Agostino e Zaccheo, la Maddalena e il buon ladrone, il figlio prodigo e la donna samaritana. Gente di strada e di peccato, di miseria e di misericordia. Gente di consolazione per i falliti della storia: in qualsiasi caos l’uomo abiti, quello sarà il punto di partenza per tornare a Lui. E’ un Dio paradossale: s’è intestardito ad andare a cercare il perduto, magari su strade slabbrate, per mostrare l’abbondanza della grazia nel campo minato della disgrazia. E’ un Dio scandaloso: s’è ficcato nell’animo il sogno che nessun uomo vada perduto. Per nessuna ragione al mondo. E’ un Cristo ambizioso: s’è messo in testa che al suo Amore in pochi potranno resistere. Parola di Agostino, quello d’Ippona: «Mi chiamasti, gridasti, vincesti la mia sordità: folgorasti il tuo splendore e mettesti in fuga la mia cecità (…) Mi toccasti e ora brucio di desiderio per la tua pace» (Confessioni X, 27).
Con l’acqua sul capo, una candela accesa in mano e una vesta bianca addosso: col capo unto di crisma e un’Ostia consacrata nel petto. Le “solite cose” dirà qualcuno: dategli torto se riuscite? Eppure quelle solite cose – quando tornati a casa s’è perduto tutto – rimarranno le solite cose. Con un’unica variante: che prima di gettarle le si guarderà un’altra volta. Gettate anche quelle, infatti, tra le mani non rimarrà più nulla. Quelle “solite cose” in carcere sovente sono di una bellezza bambina: uomini d’armi, solo un Dio li può salvare. E’ così che la “solita storia” diviene la più bella tra le storie possibili.

(La famiglia di Jianq-Ing Agostino Zhang è buddista. Stamattina hanno voluto esserci tutti anche loro alla celebrazione in carcere. Questa è la lettera, toccante e delicatissima, che la mamma ha letto a nome della famiglia. Sono frammenti di una Bellezza antica e tanto nuova che da queste parti fa bene sentirsi raccontare).

«Caro Nicola (presidente della Cooperativa Giotto, ndr), sono la mamma di Zhang.
Anche se non abbiamo mai avuto l’opportunità di conoscerci personalmente, ho sentito il tuo nome diverse volte da mio figlio: mi ha sempre parlato dei vostri gruppi e delle vostre attività e ogni volta che mi raccontava, mi accorgevo che è molto affezionato a voi. Non l’ho mai visto affezionato così tanto a una persona. Quindi capisco che voi avete qualcosa di speciale. Siete riusciti a insegnargli che cosa sia la responsabilità e che cosa sia il lavoro, soprattutto. Siete riusciti a fargli capire che la vita è un dono e va vissuta onestamente e dignitosamente, per questo vi vorrei esprimere tutta la mia riconoscenza, posso affermare che mi avete ridato un figlio più nuovo, più maturo e più buono.
Noi veniamo da una famiglia semplice e normale. Io e suo papà abbiamo sempre lavorato onestamente sia in Cina sia in Italia. Eravamo una famiglia felice, almeno così credevo. Ho avuto due figli: Zhang e sua sorella. Sono molto praticante, credo molto in Buddha. Zhang da piccolo è sempre stato il preferito e lo abbiamo sempre tenuto sottobraccio, non gli abbiamo mai fatto mancare nulla di ciò che chiedeva. Pensavo che questo fosse il modo migliore di amare il proprio figlio, ma mi sbagliavo… Me ne sono resa conto solo quando ha commesso quel grave reato. È stato molto difficile accettare ciò che ha fatto, per questo ho avuto anche problemi con suo papà, perché scaricava su di me tutta la colpa. In questi anni ho sofferto tantissimo, piangevo per tante notti, apparentemente senza un motivo, ma io so coscientemente per cosa piangevo. Non potevo fare altro che piangere, per il dolore che lui ha causato alla nostra famiglia e soprattutto a quella della vittima. Tuttavia ho sempre creduto che in fondo lui aveva un cuore buono. Prima o poi avrebbe capito ciò che aveva fatto, per questo in questi anni non l’ho mai abbandonato.
Ora sono contenta che lui vive con piena maturità e coscienza, anche se ha cambiato fede, ma nella vita ho capito che a volte non bisogna chiedere troppo, bisogna anche sapersi accontentare. Vedendo in lui questo cambiamento mi rallegro e mi sento appagata, il resto non ha più nessuna importanza. Sono davvero felice che abbia trovato la sua strada da percorrere e sono sicura che questa strada gli darà sempre più serenità e felicità. Per me oggi quello che conta di più è la sua coscienza. Quando uno ha una coscienza buona, sa agire con buona volontà nella vita: questo mi basta.
Per questo abbiamo voluto partecipare a questo suo rito per fargli capire che gli vogliamo bene. Non volevamo farlo sentire solo. Se non lo abbiamo abbandonato prima, figuriamoci ora che abbiamo trovato il figlio che aspettavamo.
Mi ha detto che qui ha trovato la serenità, perché ci sono tanti amici e fratelli che gli vogliono bene e sanno come aiutarlo a crescere, quindi sono molto grata, per questo colgo anche quest’occasione per ringraziarvi perché siete stati vicini a lui in questi anni.
Vorrei concludere con un augurio sia a mio figlio che a voi tutti presenti. Vi auguro una fede viva, che possa scaldare il vostro cuore e guidarlo sempre nella buona direzione».

Fonte: SullaStradaDiEmmaus.it

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