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Per sposarsi in chiesa la fede non è necessaria: riflessioni intorno al matrimonio

LIBRI – Perché l’attuale disciplina ecclesiastica canonica non considera la fede personale di chi si sposa in chiesa un elemento essenziale alla validità del sacramento? Quali sono le ragioni?

Quale fede per sposarsi in chiesa? Riflessioni teologico-pastorali sul sacramento del matrimonio è l’ultimo libro in uscita di Nicola Reali, professore di Teologia Pastorale dei sacramenti al Pontifico Istituto Redemptor Hominis della Pontificia Università Lateranense.

Il volume affronta il rapporto tra fede e sacramento del matrimonio dal punto di vista teologico-pastorale. Il tema viene indagato partendo da due dati macroscopicamente in contraddizione tra loro: da un lato, la coscienza diffusa tra le persone, cattoliche o no, che per «sposarsi in Chiesa» bisogna credere e dunque aver fede in ciò che la comunità dei credenti professa; dall’altro, l’attuale normativa e prassi ecclesiastica che non considerano la fede un elemento indispensabile alla valida celebrazione del matrimonio. Il volume, ispirato a criteri di chiarezza sia nei contenuti che nello stile, propone una riflessione provocatoria sul sacramento del matrimonio in cui anche i non «addetti ai lavori» possono ritrovarsi.

Di seguito alcune anticipazioni:
Enuncio subito la questione di fondo, che consiste nel convincimento che le proprietà essenziali di un matrimonio valido siano naturali […]. Naturale vuol dire “facente parte della natura umana”, ossia ciò che, essenzialmente, connota l’essere umano, in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Tanti aspetti della vita umana cambiano e possono mutare nel corso del tempo, non la natura umana, che resta sempre la stessa. L’uomo, pertanto, se vuole vivere da uomo, deve vivere conformemente alla sua natura e alla legge che, derivata dalla natura, descrive il livello di un suo “immutabile dovere” (la cosiddetta legge naturale) […] l’idea di natura e di legge naturale è fondamentale per comprendere il matrimonio. Quest’ultimo ha alcune caratteristiche: è tra un uomo e una donna, è uno, è indissolubile e aperto alla vita […] Queste prerogative sono naturali, ossia riguardano la natura umana e, pertanto, non sono specificatamente cristiane. Chi le negasse, non violerebbe la legge della Chiesa, ma la legge naturale. Per questo […] la Chiesa difende il valore universale dell’indissolubilità del matrimonio: non è qualcosa a cui solo i cristiani “devono” attenersi, ma tutti gli uomini visto che esso rientra nell’ambito del diritto naturale. Il fatto poi che la Chiesa rintracci sia nell’Antico Testamento sia nelle parole di Gesù lo stesso insegnamento non cambia le cose, anzi le rafforza, considerato che il dato rivelato non fa altro che confermare e approfondire quanto la ragione umana (da sola quindi, senza fede) può conoscere sulla fedeltà matrimoniale.

Pertanto, la verità  e la validità di un matrimonio, per la Chiesa, dipendono integralmente dal rispetto delle sue caratteristiche naturali: unicamente a questa condizione un matrimonio può dirsi “vero matrimonio” e, poiché l’ordine della natura coincide col progetto del Creatore, nessuno può arrogarsi il potere di intervenire modificando o negando anche solo una di queste prerogative naturali, neppure il Papa. Non c’è bisogno di aver studiato teologia a Tubinga, per capire che, in tal modo, il matrimonio di un cristiano non differisce per nulla da quello – per esempio – di un ebreo o di un ateo: se è rispettata l’identità naturale del matrimonio, sono tutti matrimoni veri e validi, indipendentemente dalla fede personale di chi si sposa… se questi crede o non crede in Gesù Cristo, in Jhwh o in nessuno.

A seguito di questo ragionamento, probabilmente iniziano a divenire evidenti le motivazioni che rendono irrilevante la fede dei nubendi, anche se… quando si parla di sacramento, va da sé che si parli di qualcosa di specificatamente cristiano: i non cristiani e gli atei non sono tenuti alla pratica sacramentale […] Affinché il proprio matrimonio sia sacramento, bisogna essere battezzati. Con la significativa avvertenza che occorre essere battezzati in una Chiesa cristiana, non necessariamente in quella cattolica […] È ovvio che, in questo modo, viene garantita l’esigenza di qualificare il sacramento del matrimonio in riferimento a qualcosa di specificatamente cristiano […] Tuttavia, occorre far notare che a questa indiscutibile esigenza non si associa l’altrettanto indispensabile richiesta di far emergere il peso della fede personale di chi si sposa… Tanto è vero che il secondo paragrafo del canone 1055 del Cic afferma: «Pertanto (per chi sa il latino, quare) tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale che non sia per ciò stesso (eo ipso) sacramento» . Il che è come dire: affinché sorga il sacramento, è sufficiente un contratto valido (leggasi, naturale) tra battezzati, non essendo necessario che sia tra battezzati-credenti. Ciò che ho appena enunciato è il principio dell’inseparabilità tra contratto e sacramento e rappresenta il cardine della dottrina canonica cattolica sul matrimonio, decretando il valore dell’assioma “chi vuole il matrimonio naturale vuole anche il sacramento.
Per continuare a leggere:
Verso il Sinodo 4/ Quale fede per sposarsi in chiesa?| VaticanIsider

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