C’è un piano per la tregua. «E sono già pronti a sabotarlo». C’è un progetto per la pace duratura, «e faranno di tutto per non raggiungerla». Non accettano rilievi, perché «per loro chiunque contesta è un antisemita o alimenta l’antisemitismo». Anche il Papa, che invece «ha tutto il diritto di criticare Israele». Ehud Olmert non è quel che in politica si definisce “una colomba”. Da fondatore del Likud, il partito di cui si è impadronito Netanyahu e dal quale è uscito per fondare Kadima, a vocazione centrista, resta una spina nel fianco del governo. Per una decina d’anni sindaco di Gerusalemme, propose di rinunciare alla giurisdizione sulla Città Vecchia per affidarla a un organismo internazionale. E da premier fu il più vicino, nel 2008, all’accordo per tramutare in realtà il progetto dei “due popoli e due Stati”. Lo raggiungiamo dopo una serie di precauzioni di sicurezza, poche ore prima che Trump annunci l’accordo fatto tra Hamas e Israele, ma una volta nel suo ufficio a Tel Aviv, fresco dei suoi 80 anni indossati con il consueto smalto, ha voglia di parlare di sogni, più che di ricordi.
E che cosa sogna?
Il mio più grande sogno è che arriveremo a negoziati per una soluzione politica globale sulla base dei due Stati. È il desiderio più forte. Ma in questo momento è irrealistico.
Perché?
Oggi possiamo permetterci solo la speranza che raggiungeremo un accordo per porre fine alla guerra e il ritorno di tutti gli ostaggi. Questo è il massimo che possiamo aspettarci dalla situazione attuale.
Sta dicendo che ogni altra ipotesi verrebbe sabotata?
Non c’è dubbio che ci proveranno. Non lo nascondono.
Allude a Netanyahu e ai ministri di estrema destra Smotrich e Ben- Gvir?
Lo dicono loro nel modo più esplicito possibile, vogliono sabotare le intese. A questo punto dipenderà tutto da una sola una persona: Donald J. Trump. Se smetterà di dire le solite fesserie e si decide a sbattere i pugni sul tavolo, allora avremo un accordo. Dipende da lui.
Va fatto per Gaza, per Israele, o per il Medio Oriente dove si rischia un’escalation incontrollata?
Di nuovo, dipende dalla fine della guerra a Gaza. Se il conflitto si spegne, se Israele tornerà entro i tracciati stabiliti a livello internazionale, come prima del 7 ottobre, se ci sarà una forza di sicurezza provvisoria. Soldati palestinesi e arabi o di Paesi arabi moderati, come Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Bahrein.
Con Israele fuori dalla gestione della Striscia?
Si, se verrà formata una forza di sicurezza che prenderà il controllo di Gaza al posto di Israele, e se Israele si ritirerà completamente, e si assicureranno che Hamas non riprenda vita. Allora questo impedirà un’ulteriore escalation.
Spesso gli europei sono accusati dal governo israeliano di non avere compreso fino in fondo il 7 ottobre. È così?
Dopo il 7 ottobre 2023 i leader europei hanno detto che Israele ha pieno diritto di colpire i capi di Hamas, di ucciderli e distruggere Hamas. Lo avevano ripetuto Biden, Macron, l’allora premier britannico Sunak, Scholz che all’epoca era il cancelliere tedesco. E anche il primo ministro Meloni. Cosa credevano quando hanno fatto quelle affermazioni, che non ci sarebbero stati ”danni collaterali”? Pensavano che Israele potesse tendere la mano ai leader di Hamas che si nascondono nell’area più densamente popolata del mondo? Era chiaro da subito: se vuoi prendere loro colpirai anche persone innocenti che li circondano.
Non ritiene che la carneficina a Gaza sia andata molto oltre i “danni collaterali” cinicamente preventivati allora?
Avremmo dovuto fermare la guerra un anno e mezzo fa, invece che ora. Avremmo potuto raggiungere un accordo sul ritorno degli ostaggi in quel momento. Questo è stato il fallimento più grande. Ma ora non dobbiamo comportarci come se fossimo ancora sotto l’imminente pericolo di annientamento. Non lo siamo. La guerra e la tregua sono solo una questione politica.
Però ad ascoltare i membri del governo, sembra che siano sempre imminenti dei piani di attacco che possano mettere a repentaglio la stessa esistenza di Israele.
Guardiamo ai fatti: due anni dopo il 7 ottobre 2023, Hamas è quasi inesistente; Hezbollah anche; la Siria è è collassata; gli Houthi non sono una seria minaccia. E l’Iran ha subito una grave battuta d’arresto a causa dei devastanti raid israeliani contro Teheran. E’ venuto il momento nel quale Israele deve superare il trauma vissuto il 7 ottobre 2023. Non siamo così deboli. Non siamo così vulnerabili. Non siamo così esposti.
Chi lo fa notare è spesso accusato di antisemitismo.
Si, ma non credo che tutti quelli che dicono che Bibi Netanyahu non è una persona di larghe vedute siano antisemiti. Io ad esempio mi pongo contro Bibi e non credo di essere antisemita. Certo, so che tra chi manifesta in giro per il mondo ci sono anche degli antisemiti, e stanno aumentando. Ma essere contro il governo israeliano non significa essere antisemita.
All’inizio di quest’anno ai media vaticani lei disse che “Israele non è più la democrazia di un tempo”. Cosa intendeva?
La riforma del sistema legale che il primo ministro stava cercando di realizzare, rappresentava una minaccia. Il fatto che un primo ministro dica di non riconoscere il presidente della Corte Suprema e che il ministro della giustizia dica di non riconoscere il presidente della Corte Suprema sono un attacco alle fondamenta della democrazia che ha caratterizzato Israele per generazioni. Ma per la prima volta abbiamo dovuto combattere per proteggere la democrazia israeliana. E non era mai accaduta prima nella storia dello Stato di Israele..
La Santa Sede ha espresso preoccupazioni per Gaza e per la Cisgiordania. Secondo il governo di Tel Aviv non avrebbe dovuto farlo. È d’accordo?
Le dirò una cosa che mi ha toccato. Ho incontrato Papa Francesco poco prima della sua morte. Non mi ha nascosto le sue preoccupazioni per Gaza e lo ha fatto con profonda umanità. E allora come oggi con Papa Leone XIV, penso che il pontefice abbia tutto il diritto di criticare Israele senza per questo essere accusato di alimentare l’antisemitismo. Anzi, a questo proposito ho un altro sogno.
Quale?
Per dieci anni sono stato sindaco di Gerusalemme. Nel piano di pace che avevo proposto, e che adesso torna nelle discussioni internazionali, eravamo d’accordo anche con i palestinesi di affidare la Città Vecchia sotto l’egida di una amministrazione internazionale, senza le bandiere di Israele e della Palestina. Ecco, mi piacerebbe un giorno accompagnare papa Leone XIV per le strade della Gerusalemme che abbiamo sognato perché ci sia pace.