Nella seconda sala, si intrecciano i temi della presenza e della condivisione che queste persone hanno intessuto col popolo algerino di fede musulmana e che si sono sviluppati in diversi modi: il dialogo della vita, quello delle opere (chi ha creato una scuola, un dispensario medico, una biblioteca, un doposcuola…), quello teologico e quello strettamente religioso. Quest’ultimo ha raggiunto il vertice con la creazione ad opera del priore di Tibhirine Christian de Chergé, di Ribat al-Salam, un cenacolo di confronto con alcuni musulmani, il cui nome significa “vincolo di pace”. E poi la grande scelta di restare, il racconto di come è maturata. «Restare o partire?» di fronte alla minaccia esplicita dei terroristi chiese anche per iscritto Henri Teissier l’allora Vescovo di Algeri, rivolgendosi a tutte le comunità e a tutti i religiosi. Alcuni partirono, altri decisero di rimanere. Dice in un’intervista il domenicano Jean-Jacques Perénnès, biografo di monsignor Claverie: «Sono stati beatificati non perché sono morti, ma perché hanno scelto di restare. Come padre Massimiliano Kolbe».
Il cuore dell’esposizione sono gli oggetti della memoria dei martiri, generosamente prestati dal monastero di Aiguebelle, che conserva le reliquie dei monaci di Tibhirine, da alcuni parenti delle vittime e dall’Arcivescovado di Algeri. Fra di essi il tipico rosario dei Padri Bianchi-Missionari d’Africa posseduto da Jean Chevillard, la veste domenicana di Claverie e il vestito da monaco di de Chergé. Il tema della terza sala risponde alla domanda laica sull’eredità che lasciano i 19 e sul valore oggi della testimonianza. Curiosamente tutto il “treno dei video” che ricostruiscono con documenti e interviste l’intera vicenda si conclude con le parole pronunciate dalla mamma di Mohamed alla cerimonia di beatificazione del 2018. È una donna musulmana a dire la parola conclusiva.
I martiri d’Algeria sono molto attuali perché dalla riflessione dei monaci di Tibhirine e del loro priore Christian de Chergé nasce anche l’espressione di pace disarmata e disarmante. Sono state tantissime le personalità che, fra gli oltre 15mila visitatori, hanno apprezzato la mostra nei giorni riminesi. Fra di loro è indispensabile ricordare il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli e i leader delle più importanti associazioni e movimenti cattolici, come Margaret Karram, dei Focolari, e Giuseppe Notarstefano, presidente dell’Azione Cattolica. La pace disarmata e disarmante implica infatti la comunione, l’unità dei cristiani. Tanto che Christian de Chergé scrive in quella prima intuizione della Quaresima del 1996 pensando al terrorista che li ha minacciati la notte del Natale precedente: «Ho il diritto di domandare “disarmalo”, se non comincio a domandare “disarmami” e “disarmaci”, come comunità? È la mia preghiera quotidiana». (Christian de Chergé, ritiro di quaresima, 8 marzo 1996). Trenta anni dopo il loro martirio, i 19 indicano una strada per parlare all’uomo d’oggi.
Fonte: Alessandro Banfi | Clonline.org