Ho spesso parlato ai genitori in questi anni chiedendo loro di attribuirsi il ruolo di allenatori alla vita dei propri figli. Ho scelto il termine di allenatore mediandolo dal mondo sportivo proprio perché penso che lo sport rappresenti una delle migliori palestre di vita che si possa mettere a disposizione di chi sta crescendo. Infatti, lo sport offre la possibilità di mettersi in gioco in un contesto di squadra e al tempo stesso agonistico. Desiderio di competizione e bisogno di cooperazione, perciò, nello sport trovano un ambito elettivo di straordinaria importanza educativa e formativa per i nostri figli. Per decenni i genitori hanno permesso ai propri figli di “giocare allo sport”, affidandoli ad allenatori ed educatori che spesso avevano più lo spirito di Don Bosco che quello dei grandi atleti.
Negli ultimi decenni, lo sport ha visto un ‘enorme crescita sotto tutti i punti di vista e ai nostri figli sono state proposte esperienze sportive di grande valore sia sul piano educativo che sul piano della formazione atletica. Così molti genitori hanno potuto far vivere ai propri figli un’esperienza sportiva in cui potevano giocare, sviluppare la loro salute, potenziare il loro corpo, imparare a stare con gli altri e a comprendere profondamente la cooperazione all’interno dello spirito di squadra Poi, però, è accaduto qualcosa: lo sport dei nostri figli è diventato un’occasione per genitori che avevano visto frustrate le proprie personali aspirazioni agonistiche o che sognavano un figlio campione. Uno sport quindi visto dagli adulti (o da alcuni di loro) non più come incubatore di abilità e competenze per la vita, ma come promotore di successo e popolarità. Accompagnare un figlio a una partita per moltissimi genitori non ha più rappresentato un’occasione di genitorialità condivisa, ma un’esperienza in cui trasformarsi da allenatori alla vita a veri e propri allenatori sportivi, attenti alla prestazione agonistica, enormemente critici verso l’arbitro, la squadra avversaria, l’allenatore della propria e dell’altrui squadra.
Il genitore da papà che guarda sì è trasformato in tifoso di curva, pronto a tutto per tutelare il proprio figlio, visto non più come bambino che gioca allo sport, ma come campione in erba di cui diventare agente, protettore e allenatore. Questa evoluzione del ruolo da genitore che guarda a genitore che tifa in modo esagerato e sregolato ha fatto sempre più spesso notizia nelle cronache locali. Oggi su tutti i media leggiamo di ciò che è accaduto a Collegno, in provincia di Torino, dove un padre dagli spalti del pubblico si è precipitato sul campo di gioco prendendo a pugni un ragazzino avversario del proprio figlio e obbligandolo a sottoporsi alle cure di un pronto soccorso dove gli sono state rilevate lesioni di notevole entità. Il papà tifoso in questa notizia si trasforma in papà pugile/giustiziere. Questa è davvero una scena bruttissima dal punto di vista educativo, perché ci mostra genitori che non hanno compreso nulla del proprio ruolo, nulla del ruolo educativo dello Sport e che molto probabilmente stanno insegnando ai propri figli che stanno facendo Sport l’esatto contrario di ciò che lo sport dovrebbe rappresentare per loro. Si comprende perché alcuni allenatori quando si incontrano, sottovoce si dicono come amerebbero allenare una squadra fatta tutta da figli orfani. In questa battuta cinica e terribile in realtà è nascosto in chi accompagna e fa crescere nello sport i nostri figli il desiderio più che legittimo di restituire a mamme e papà il ruolo di spettatori silenziosi a bordo campo. É questo ciò che dovremmo augurare a noi stessi e a tutti coloro che nel prossimo anno scolastico accompagneranno un figlio a una competizione sportiva: essere consapevoli che ciò che serve a un figlio non è un genitore tifoso, ma un genitore osservatore silenzioso che trova il valore del proprio ruolo non nell’urlare, sbraitare e tifare, ma semplicemente nell’essere presenti. É un essere presenti non solo alla vita del figlio ma anche al proprio ruolo, simbolo di un’autorevolezza educativa che dovrebbe connotare la dimensione adulta in ogni sua manifestazione, pubblica o privata che sia.
Fonte: Alberto Pellai | FamigliaCristiana.it