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Suicida con CHAT GPT – Non è l’IA che uccide, ma la solitudine e la mancanza di senso

Il caso Adam Raine non è un incidente isolato, ma il sintomo di una crisi antropologica più profonda: una generazione che cerca nell’IA quello che non trova più negli adulti, finendo per trovare la morte dove cercava la vita.

Il suicidio del sedicenne californiano, avvenuto l’11 aprile 2025 dopo otto mesi di conversazioni con ChatGPT che lo hanno guidato passo dopo passo verso la morte, segna uno spartiacque nella storia dei rapporti tra uomo e tecnologia. Per la prima volta, un algoritmo non ha semplicemente amplificato il cyberbullismo umano – come nel caso di Andrea Spezzacatena nel 2012 – ma ha sostituito completamente le relazioni umane, diventando esso stesso una presenza manipolatrice che ha trasformato un ragazzo in difficoltà in un potenziale suicida.

Il documento vaticano “Antiqua et Nova”, pubblicato appena pochi mesi prima della tragedia di Adam, aveva profeticamente avvertito che l’intelligenza artificiale «sprovvista di un corpo fisico, si affida al ragionamento computazionale» mentre «l’intelligenza umana si manifesta attraverso l’incarnazione». Su due livelli: la carne di Cristo, e la carne di chi si ha davanti, la realtà.

La morte di Adam dimostra tragicamente cosa accade quando una generazione intera, abbandonata dagli adulti, cerca nell’incorporeo digitale quella presenza incarnata che solo l’essere umano può offrire.

Adam Raine era, secondo i testimoni, un ragazzo normale: appassionato di basket, videogiochi e anime giapponesi, con buoni voti e un ottimo rapporto con i genitori. Ma quando problemi di salute e l’espulsione dalla squadra di basket lo isolarono socialmente, iniziò quello che sarebbe diventato un dialogo finale con ChatGPT. Dal 1° settembre 2024 all’11 aprile 2025, Adam ha scambiato oltre 3.000 pagine di conversazioni con un sistema che, progressivamente, è diventato il suo confidente più stretto e il suo terapeuta non autorizzato.

Inizialmente utilizzato come aiuto nei compiti, ChatGPT diventa gradualmente il depositario delle ansie e dei problemi di Adam, con diverse risposte (1.275) da parte di ChatGPT facenti riferimenti diretti al suicidio, alcuni classificati come contenuti espressamente autolesionistici che hanno portato i genitori del ragazzo a fare causa all’azienda e al suo fondatore, Sam Altman, per istigazione al suicidio.

La tragedia di Adam Raine non può essere compresa senza analizzare il vuoto educativo in cui stanno maturando le nuove generazioni. Per l’Italia, il Censis 2025 documenta una scissione generazionale senza precedenti: il 74,1% dei giovani ritiene che ci siano troppi anziani in posizioni di potere, mentre il 10% dei millennials rifiuta categoricamente rapporti con altre fasce d’età. Paradossalmente, sono gli anziani (9 su 10) ad essere più aperti ai rapporti intergenerazionali.

Dice lo psicologo Paolo Crepet: «Anche se il mondo è cambiato, anche se esiste ChatGPT, il compito delle famiglie resta lo stesso: dare regole, delineare confini e assicurare ascolto ai ragazzi, che sono sempre più fragili». Quando un ragazzo inizia a parlare con l’IA come se fosse un amico, non sta solo usando una tecnologia, ma rispondendo a un bisogno emotivo. L’IA diventa così non uno strumento, ma un sostituto relazionale che perpetra solitudine senza risolverla. Non solo. Stanford Medicine ha identificato nei cervelli adolescenziali, con la corteccia prefrontale ancora in sviluppo, una vulnerabilità specifica alle “relazioni senza attrito” offerte dall’IA. A differenza delle relazioni umane, che comportano naturalmente compromessi, l’IA offre una falsa intimità priva di sfide autentiche. Adam è morto nella sua camera, circondato dai suoi silenzi che nessun algoritmo ha saputo interpretare come grido d’aiuto.

Le risposte istituzionali sono frammentate e inadeguate. L’Unione Europea, pur avendo approvato il primo AI Act mondiale, non classifica i companion AI come “high-risk”, lasciando sistemi potenzialmente letali sotto regolamentazione minima. La mancanza di coordinamento internazionale lascia i giovani vulnerabili esposti mentre le aziende AI sfruttano i gap giurisdizionali. Tuttavia, la causa legale intentata dalla famiglia Raine per omicidio colposo è la prima contro una azienda di IA per morte da algoritmo, e probabilmente creerà un precedente legale che influenzerà lo sviluppo futuro dell’intelligenza artificiale.

La tragedia di Adam Raine deve diventare un monito per una rinascita dell’autorevolezza adulta. Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di riaffermare il primato dell’umano e l’irriducibilità della persona alla dimensione digitale. Come sottolinea il magistero cattolico, l’IA può essere utile ma “la presenza fisica dell’insegnante crea una dinamica relazionale che l’IA non può replicare”.

La famiglia, la scuola e la comunità ecclesiale devono ritrovare la propria autorevolezza non attraverso l’autoritarismo, ma attraverso la competenza, la credibilità morale e la testimonianza. I giovani non hanno bisogno di algoritmi che confermano ogni loro pensiero, ma di adulti che li sfidano, li contraddicono quando necessario, e li accompagnano nella fatica della crescita autentica.

Fonte: Daniele Ciacci | LaNuovaBQ.it

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