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“Agnus Dei”, il silenzio del chiostro conquista Venezia

Il documentario di Camaiti segue la vita delle benedettine di Santa Cecilia in Trastevere e l’antico rito della tessitura del pallio per il Papa con la lana di due agnelli allevati nel monastero

La maternità come atto d’amore, il silenzio come forma di resistenza, la preghiera come scelta quotidiana e consapevole. Il nuovo documentario di Massimiliano Camaiti, intitolato Agnus Dei, è un viaggio sorprendente e profondamente toccante nel cuore nascosto della Roma più spirituale. Il film sarà presentato il 31 agosto nella sezione Biennale College della 82ª Mostra del Cinema di Venezia, che si apre oggi fra grandi attese e nomi stellari a partire dal nuovo film di Paolo Sorrentino, La Grazia, che inaugura il concorso ufficiale.

Agnus Dei rappresenta un piccolo ma prezioso spazio di raccoglimento, una parentesi di silenzio in un mondo assordante. La cornice è quella intima e suggestiva del monastero di Santa Cecilia in Trastevere, dove, in occasione della festa di Sant’Agnese il 21 gennaio, si rinnova un rituale millenario. Due agnellini appena nati, dopo essere stati benedetti nella chiesa di Sant’Agnese, vengono trasferiti e affidati alle cure amorevoli di una monaca di clausura. La loro lana sarà usata per tessere il pallio che il Pontefice indossa il 29 giugno, nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, mentre distribuirà gli altri palli tessuti dalle monache agli Arcivescovi Metropoliti.

Nel 2025, anno del Giubileo, il rito assume un significato ancora più denso, ma viene improvvisamente scosso dalla notizia della malattia di papa Francesco. Nonostante ciò, la vita nel monastero non si ferma: le sorelle proseguono nel loro lavoro, nel canto, nella preghiera e nei gesti quotidiani, come sempre accade da secoli. E proprio questa continuità, questa fedeltà alla propria vocazione, è al centro dello sguardo di Camaiti. Il regista ha avuto il raro privilegio di entrare nel monastero e filmare la vita quotidiana delle monache benedettine con uno sguardo delicato, partecipe e mai invadente. Un accesso conquistato con il tempo e la pazienza, ottenuto grazie anche al sostegno di Biennale College Cinema, che ogni anno seleziona solo cinque progetti da tutto il mondo, fra cui Camaiti è l’unico italiano. Già noto per i suoi cortometraggi premiati (L’ape e il vento, vincitore di due Menzioni Speciali ai Nastri d’Argento e del Globo d’Oro della Stampa Estera), Camaiti ha esordito nel lungometraggio con Sulla stessa onda (Netflix, 2021). Ma Agnus Dei, prodotto da Olivia Musini e Giovanna Nicolai per Cinemaundici, è il suo primo documentario, un’opera che segna un passaggio importante. «Ho proposto un’idea che metteva al centro il silenzio – racconta ad Avvenire – e sorprendentemente è stata accolta con entusiasmo. Per un’ora, il film si concede il lusso di rallentare, di far respirare lo spettatore in un modo diverso».

L’ispirazione è nata durante una passeggiata in Trastevere, in piena pandemia. «Camminando davanti alla basilica di Santa Cecilia, ho visto due agnellini coperti di fiori, festeggiati dalle suore. È stata una visione folgorante. Mi sono chiesto che cosa ci fosse dietro a quel gesto». Da lì, l’idea di seguire l’intero percorso degli agnellini: dalla nascita al monastero, fino al momento della tosatura e alla realizzazione del pallio.

Protagonista discreta ma carismatica del film è suor Vincenza, 79 anni, instancabile e dolcissima. Originaria della Puglia, è vedova, madre e nonna: è entrata in convento dopo la morte del marito, portando con sé una storia personale che si intreccia potentemente con il significato stesso del documentario. La vediamo accudire gli agnellini con amore materno, nutrirli col biberon, proteggerli come figli. In una scena toccante, riceve la visita del figlio e dei nipotini: un momento di grande tenerezza, che mostra come la clausura non significhi isolamento affettivo, ma trasformazione del legame in una forma nuova e profonda.

Il documentario è accompagnato dalle musiche originali di Husk Husk, le immagini scorrono lente, incorniciate da un formato quattro terzi che, secondo Camaiti, «lascia spazio sopra le teste, a inquadrare volte e crocefissi come se l’immagine volesse elevarsi verso il cielo». Fra le stanze del convento, affrescate e cariche di storia, si compie ogni giorno un lavoro silenzioso e tenace: le monache filano, rilegano libri, curano il giardino, cucinano, pregano e tessono. Quando arriva la notizia della morte di papa Francesco, la commozione è profonda, ma subito dopo la vita riprende, con la stessa sobria solennità. Anche dopo l’emozione di vedere insieme in televisione il nuovo papa Leone XIV distribuire i palli frutto del loro lavoro. In un mondo che corre, urla e si agita, esistono luoghi dove il silenzio non è vuoto ma presenza viva. «Ho frequentato scuole cattoliche, ma mi ero un po’ allontanato dalla fede. Questa esperienza mi ha rimesso in contatto con qualcosa di profondo» aggiunge Camaiti che ringrazia per la preziosa collaborazione la badessa Maria Giovanna Valenziano. «Il monastero è un luogo di resistenza. Anche la sua bellezza decadente è parte del suo fascino. Il film è un documento del tempo, un gesto d’amore verso una realtà che rischia di restare invisibile».

Ispirato da opere come Il grande silenzio di Philip Gröning e dai lavori di Gianfranco Rosi e Carlos Casas, Camaiti ha cercato di trovare «la giusta distanza per raccontare», senza giudizi né retorica. E alla fine, Agnus Dei non è solo un documentario: è un’esperienza trasformativa, capace di far riflettere su maternità, sacrificio, silenzio e spiritualità.

Fonte: Angela Calvini | Avvenire.it

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