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«Progettai Milano 2, ma ora voglio lasciare una chiesa dedicata all’Assunta»

Incontro Giulio Possa perché molto incuriosito dal suo progetto di voler edificare il Santuario della Madonna Paradiso. Si tratta di un edificio di culto da voler dedicare all’Assunta in un vero e proprio pezzo di (Costa) Paradiso della Sardegna. Devo descrivere per sommi capi l’architetto che siede di fronte a me: classe 1938, laureato nel 1963 al Politecnico di Milano – avendo come professori Giò Ponti, Ernesto Nathan Rogers, Leo Finzi –, nasce in una famiglia di ingegneri, ma lui si coinvolge nell’architettura e incomincia da subito a lavorare grazie a un sodalizio “provvidenziale” con Silvio Berlusconi: «Sono stato incredibilmente fortunato nel campo della professione. Non così nella vita privata. Sono persuaso che la Provvidenza ha compensato una cosa con l’altra. Sono stato fortunatissimo perché ho incontrato per caso mentre camminavo per strada Silvio Berlusconi (amico di mio fratello), il quale mi disse che stava progettando un intero paese e gli ho chiesto di farmi vedere i progetti. Dopo averli analizzati, gli ho fatto capire che stava facendo una cosa malfatta. E lui mi ha proposto di presentare delle alternative. Ero all’ultimo anno di architettura e mi mancavano circa tre esami alla laurea, per cui mi feci aiutare anche da altri amici, studenti di architettura; le idee furono accettate di buon grado».

Da quel momento la loro collaborazione è proseguita senza sosta, ma il lavoro richiede onestà. Chiedo al mio interlocutore se nella e al di là della professione, condivide che ci debba essere un’etica: «Assolutamente sì! E per vivere questo, come la Chiesa insegna, trovi molti ostacoli a tutti i livelli. Silvio Berlusconi ha avuto fiducia nel sottoscritto e mi ha dato la responsabilità della presentazione dei progetti di Milano 2 (circa l’80-85% sono a mia firma, come riscontrabili nell’archivio del Comune di Segrate), senza mai ricevere un briciolo di contestazioni. Era una questione morale. In quel momento viaggiavano a Milano tanti altri palazzinari che chiaramente avevano i loro percorsi, ma ho sempre ritenuto che si dovesse fare qualcosa di corretto (tra l’altro, fare corretto o non corretto ci si mette lo stesso tempo). Bisognava, però, stare estremamente attenti, ma sono soddisfatto nel constatare che non hanno trovato mai niente di scorretto».

I numerosi progetti sono passati anche sotto la lente di ingrandimento di “Mani Pulite”: «Tra il 1990 e il 1992, Antonio Di Pietro, cercando di affossare Silvio Berlusconi in tutte le maniere, ha cercato di prendere come appiglio l’argomento delle costruzioni, trovando che l’unico che del gruppo aveva un bagaglio di concessioni edilizie ero io. Ne ha sequestrate circa cento, realizzate in due anni. Credo di avere una specie di primato italiano. Ha preso una stanza del Palazzo di Giustizia, l’ha riempita di scatoloni e ha dato l’incarico a tre professionisti di spulciare tutto. Ci hanno messo un anno e mezzo e io ero nell’angoscia, anche perché tutti gli architetti che erano passati sotto il terremoto di Di Pietro erano stati distrutti. Cercavo di prepararmi nottetempo e insieme di continuare il mio lavoro normale. Un anno e mezzo dopo, senza aver ricevuto nessun avviso di garanzia, perché non avevano trovato niente, restituirono – senza dire una parola – quanto sequestrato».

Oltre alla professione, un altro pilastro fondamentale è la famiglia: «Sono stato sposato e sono rimasto attaccato al mio matrimonio e alla vita di famiglia, ed è stata una cosa che ricordo in maniera completamente positiva». La forza della fede ha dato la forza all’architetto Possa per crescere Enrico, che era diversamente abile: «Ho avuto la presunzione o la speranza che Dio mi avesse dato questo figlio perché potessi risolvere un caso di quel genere. Mi sono detto: “Io studio, mi do da fare”. Tornavo dopo otto o dieci ore di lavoro dall’ufficio e mi mettevo a studiare a casa. Mi sono dato da fare, ma ho perso la battaglia, perché in pratica non siamo riusciti a salvarlo. Dietro a mio figlio, però c’è stato un lavoro collettivo strepitoso. La mia casa era aperta il pomeriggio, arrivavano ogni giorno circa quattro persone ad aiutare dietro indicazioni precise. Ho constatato con mano come il bene richiama il bene e intorno a Enrico si è costruita una piccola comunità. Alla sua morte, in pieno agosto, la chiesa di Sant’Agostino in Milano era piena di gente che aveva aiutato».

Non posso esimermi dal domandare cosa ha insegnato questo figlio pur dovendo attraversare un’esperienza tanto dolorosa: «Mi ha insegnato prima di tutto di non avere sfiducia in nulla di quello che mi può capitare. Davanti a delle prove puoi verificare come affrontarle e risolverle nella maniera corretta. La fede è stata decisiva». A tal proposito, c’è stato un altro incontro “provvidenziale”, quello avvenuto intorno all’anno 2000 con dom Christian Thomas, un monaco francese trapiantato in Calabria e morto in odore di santità: «L’incontro con questo monaco è stato qualche cosa che colpisce tutti quando racconto com’è avvenuto. Lavoravo in Calabria, quando chi gestiva il business della società, sapendo dei problemi di mio figlio, mi suggerisce di organizzare un incontro con dom Christian, che viveva non lontano da lì. Io accetto e rispondo: “Va bene, lo programmiamo per la prossima volta”. Invece, la sera stessa della partenza, arrivando all’aeroporto di Lamezia, intravvedo un frate circondato da una decina di persone: mi avvicino a una di queste e chiedo chi fosse il religioso e mi viene detto che è padre Christian. A quel punto, telefono al mio contatto e gli dico: “Mi hai proposto di incontrare dom Christian ed è vicino a me, posso passarti la telefonata, così mi presenti?”. La replica è stata significativa: “No, abbi fede e chiudi la chiamata”. Rispondo: “Ho fede”, e quindi ho spento il cellulare, sperando di poter incontrare il monaco come programmato. Una volta sull’aereo mi trovo – incredibile! – dom Christian seduto vicino a me nel viaggio verso Milano! Come può succedere una cosa del genere?».

Insieme rispondiamo con una parola: Provvidenza. Voglio, però, saperne di più di questo incontro: «L’uomo – mi viene spiegato – si comportava come noi abbiamo in mente si comportino i santi: trasognato e ogni tanto si risvegliava dai suoi pensieri. Mi ha domandato cosa facevo a Crotone e gli ho detto che ero architetto e progettavo un albergo. Poi gli ho parlato di mio figlio e lui ha detto: “Se Dio mi dà la possibilità, vengo domani da lei”. Il giorno dopo, alle cinque del mattino, è arrivato a trovarmi in casa mia! Durante il viaggio abbiamo anche parlato del fatto che mi è sempre piaciuto progettare ogni volta strutture diverse, cioè case, scuole, centri commerciali, uffici, etc., ma era mancata nel mio lavoro la possibilità di costruire carceri, ospedali e chiese. Tra noi scende un silenzio per un po’ di tempo, fin quando mi dice all’improvviso: “Ma lei progetterà una chiesa!”. E incomincia a descrivere il progetto con tanta precisione che mi venivano i brividi sulla schiena, perché non delineava nessuna di quelle costruzioni che siamo abituati a vedere e a conoscere. Tratteggiava qualcosa di diverso, ma che sentivo mio, tanto da coincidere con quanto vorrei ora realizzare. Tra l’altro, per arrivare a questa decisione ho dovuto essere bloccato su altri percorsi, perché ho presentato altri progetti di natura differente rispetto al santuario, ma sono stati tutti fermati».

Parliamo adesso dell’intenzione di costruire un edificio di culto: quale l’ispirazione? «Diciamo la “fortuna”! Una volta fermati i miei primi progetti ho riguardato le norme tecniche di attuazione: posso edificare, ma leggo anche una cosa interessante, ossia che nel territorio di Costa Paradiso le costruzioni d’interesse pubblico si consiglia di non concentrarle in unico posto, ma che siano diramate in modo tale che siano poli locali di sviluppo, etc. Avevano iniziato la costruzione di una chiesa, ma in un posto sbagliato perché isolato, e l’edificazione non è andata più avanti. Mi son detto, dunque, come si dovrebbe dare vita a una cosa che prescinde dagli oneri di urbanizzazione primaria, cioè – come per gli eremitaggi, i rifugi alpini… – senza strada, parcheggi, acqua potabile, fognatura, etc. Ecco l’idea: realizzare il volume e lo spazio della chiesa e basta. Oltretutto c’è una piccola valle, che si può svuotare, togliendo la terra, per fare spazio all’edificio, mentre le pareti saranno la stessa roccia di granito rosa. Una volta scavato e costruito l’interno della chiesa, si ricopre il soffitto all’esterno con un tappeto di erba verde e praticamente non si vede più quello che è stato fatto di sotto. Il terreno rimane come quello originario. Quest’idea penso sia vincente e risponde a quello che diceva padre Christian nella descrizione che mi aveva fatto anni fa! Il granito rosa di Sardegna crea l’ambiente mediante le pareti già esistenti! Sono persuaso che Dio ha preparato tutto! La forma è di per sé già perfetta!».

Un progetto indubbiamente affascinante, ma perché dedicarlo all’Assunta? «C’è una cosa che non sono più riuscito a dimostrare: sulla parete di fondo, sulla roccia, si intravede la sagoma della Madonna. Io l’avevo fotografata, ma non riesco più a trovare quella istantanea (probabilmente l’ho considerata tanto speciale da averla messa “troppo” da parte). Era come un suggerimento di una presenza, come a dire: “Questo luogo è predestinato a me”. Allora ho pensato di realizzare sul piano ricostruito del prato solo un’emergenza con un globo, che rappresenta il mondo: un’enorme sfera di vetro di circa due metri o due metri e mezzo di diametro. La Madonna è raffigurata nella situazione di fine vita, in attesa di essere portata in cielo. Si narra che siano stati due angeli o Gesù stesso – io preferisco pensare che sia stato lui – a prenderla. Nel mio progetto, è lui a venire per trarla in Paradiso. La Madonna è sdraiata sul mondo, che tra l’altro è trasparente, esattamente in verticale sopra l’altare del piano sottostante, e arriva Gesù per accoglierla. Le due figure sono contrapposte visivamente: la Madonna guarda da una parte e Gesù dall’altra e i loro sguardi s’incrociano. Da qualsiasi angolazione si osservi, le due figure interagiscono: la Madonna in un modo e Gesù contrapposto, libero nell’aria, mentre lei è distesa sul mondo».

Prima di congedarmi, voglio sapere qual è il desiderio che scorre nell’intimo dell’architetto per conto di Dio: «Sarebbe interessante vedere se questa idea potrà andare avanti o se morirà. Io credo che, se siamo arrivati a questo punto, in qualche modo – io vivo o morto – si concretizzerà, perché ha un richiamo potente, capace di conquistare le persone quando vedranno realizzato quanto ho in animo. È un posto magico. Credo che sia giusto lasciare questa testimonianza, qualcosa che qualcuno aveva prefigurato e che ora può essere realizzato. E questo è il mio desiderio più profondo». Vien da dire che più forze insieme si sono sostenute: la “profezia” di un “santo”, l’ingegno umano, la bellezza della natura e il lavoro della Provvidenza… «… la Provvidenza, perché assicuro sono capitate coincidenze impossibili da spiegare con la sola ragione!».

Fonte: Samuele Pinna | IlTimone.org

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