La “Grande Israele” non è solo un concetto religioso, ma un piano politico. Che non esita a usare lo sterminio per conseguire il suo obiettivo: espandersi
Sulla stampa leggiamo notizie relative alle reazioni veementi e rabbiose dei vicini di Israele, Egitto e Giordania, a una dichiarazione rilasciata dal primo ministro Netanyahu in un’intervista televisiva, nella quale egli si riconosceva “molto” nella visione della “Grande Israele”. Perché queste reazioni rabbiose? Perché questo panico? Cosa significa “Grande Israele”?
Per rispondere a questa domanda, vorrei rispondere a una domanda più basilare: cosa sta succedendo tra Israele e i palestinesi?
È una domanda che mi sono posto spesso durante la mia giovinezza. Ho letto molti libri e innumerevoli articoli nel tentativo di trovare una risposta. Mi era stato assicurato che la risposta era molto complessa, estremamente difficile da comprendere e che, se anche fosse stato possibile comprenderla, sarebbe stato impossibile risolvere la questione.
Quindi era meglio pensare ad altro e lasciare che le parti coinvolte continuassero a scontrarsi. Dopotutto, mi veniva detto, era una situazione che andava avanti da secoli e nessuno sarebbe stato in grado di porvi fine.
È vero che tutte le vicende umane sono piene di ambiguità, inganni e tradimenti e sono soggette alla tempesta imprevedibile degli eventi che ci travolgono. Quindi sì, anche questa storia è molto complessa. Ma in fondo, a ben vedere, c’è ben poco di complesso.
Si tratta di terra.
Io pensavo che fosse una lotta ideologica, o un conflitto religioso/culturale, o uno “scontro di civiltà”, una orientale e dispotica, l’altra occidentale e illuminata.
In realtà, si tratta di terra.
Quando mi sono trasferito per la prima volta in Cisgiordania, pensavo che l’occupazione militare del luogo in cui vivevano oltre due milioni e mezzo di palestinesi fosse dovuta principalmente alla necessità di sicurezza di Israele, in assenza di un accordo di pace duraturo. Ma non era così. Non c’era alcuna ricerca di pace mentre si conquistava il territorio, perché non si trattava di pace.
Si trattava di territorio.
Facevo passeggiate nei dintorni del luogo in cui vivevo o visitavo altre città della Cisgiordania e vedevo, oltre alle fortezze militari, gli insediamenti in espansione che tendevano ad essere ricchi, grandi, in crescita, serviti da nuove strade e servizi ben al di là della portata dei palestinesi. A volte parlavo con i coloni, tra cui un mio cugino con sua moglie e i loro cinque figli. E me lo ripetevano continuamente, senza lasciare spazio a fraintendimenti.
Si tratta della terra. Tutta quanta.
Ho incontrato ebrei israeliani che sostenevano: “Oh, quei più di 700mila coloni sono solo merce di scambio per i negoziati. È solo una cosa temporanea”. Immagino che non avessero mai parlato con nessuno negli insediamenti. Io sì. Come continua a dichiarare il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, gli insediamenti “seppelliranno” per sempre la possibilità di uno Stato palestinese.
Non si tratta di negoziati. Non è una cosa temporanea. Si tratta di terra.
Si tratta di una terra ripulita dai palestinesi. Theodor Herzl, universalmente riconosciuto come il fondatore del sionismo, scrisse e parlò ripetutamente della necessità di organizzare “con discrezione” l’allontanamento di tutti gli arabi. Il primo primo ministro di Israele, David Ben Gurion, scrisse a suo figlio nel 1937: “Dobbiamo espellere gli arabi e prendere il loro posto”.
Quanta terra? Tutta. E anche di più.
Ricordo la mia sorpresa quando vidi per la prima volta una mappa del governo israeliano che mostrava i parchi nazionali israeliani e non c’era la Palestina. La Cisgiordania era tutta Israele, puramente e semplicemente. Non ricordo cosa mostrasse la mappa riguardo a Gaza.
Alla fine di luglio di quest’anno il parlamento israeliano, la Knesset, ha votato con 71 voti a favore e 13 contrari l’annessione di tutta la Cisgiordania, escludendo esplicitamente qualsiasi possibilità di un futuro Stato palestinese. E i palestinesi? Il rispettato giornalista israeliano Gideon Levy ha affermato che in Cisgiordania è in corso una grande pulizia etnica per completare ciò che sta accadendo a Gaza.
Dove finirà tutto questo? Da molti anni numerosi israeliani parlano di una “Grande Israele”. Nel discorso pronunciato due anni fa davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il primo ministro Netanyahu ha mostrato una mappa del Medio Oriente come lui la vorrebbe. Non c’erano né la Cisgiordania né Gaza. Solo Israele. Gli israeliani stanno attualmente espandendo i confini e occupando sempre più territorio nella Siria occidentale e nel Libano meridionale. Fino a dove si spingeranno? Nel 2023 il ministro Smotrich, parlando in occasione di un evento, ha mostrato una mappa di Israele che include la Giordania.
La formazione politica guidata da Smotrich, il Partito Sionista Religioso, affonda le sue radici in un movimento di coloni, Gush Enumin, che amava citare la Bibbia, in particolare Genesi 15:18, dove si afferma: “In quel giorno il Signore stipulò un patto con Abramo, dicendo: Ai tuoi discendenti darò questa terra, dal Wadi d’Egitto al Grande Fiume, l’Eufrate”. Per loro, le due linee blu nella parte superiore e inferiore della bandiera israeliana rappresentano il Nilo e l’Eufrate come confini dati da Dio allo Stato di Israele.
Si può quindi comprendere quanto siano sconvolti gli egiziani e i giordani per l’impegno del primo ministro Netanyahu a favore della visione di una Grande Israele.
In ogni caso, si tratta di terra. Non è complicato. Un’entità più potente la vuole e la sta prendendo, ripulendo la terra dai suoi abitanti. E non ha alcuna intenzione di fermarsi.
Fonte: Vincent Nagle | IlSussidiario.net