Media, cinema e fotografia
Di media si è parlato nel pomeriggio. Massimo Morelli, regista Rai, si è interrogato sullo tsunami di cambiamenti accaduto negli ultimi venticinque anni e con impatti significativi su tutta la società. L’avvento delle piattaforme streaming, l’intelligenza artificiale e l’accelerazione tecnologica in generale hanno promosso alcuni rischi tra cui la perdita di profondità narrativa, la standardizzazione dei contenuti e l’omologazione culturale.
Luca Fiore, critico e curatore di fotografia, ha poi guidato la discussione attorno all’opera del fotografo statunitense Walker Evans, figura importante per comprendere la natura enigmatica della fotografia del XX secolo. Forgiando un approccio che ha simultaneamente abbracciato la documentazione diretta delle periferie americane e la profonda aspirazione artistica, tanto da definire il suo stile come “documentary style”. Con la visione di alcuni scatti di Evans, per esempio quelli degli anni della grande Depressione negli Stati Uniti su incarico della Farm Security Administration, si è potuto assistere nuovamente alla trasformazione della realtà visibile in una forma d’arte duratura e significativa.
Educare attraverso musica e letteratura
Non solo di pittura, architettura e fotografia, ma anche di letteratura e musica si è parlato a Brescia. Nella terza giornata, il maestro Massimo Mazza, Direttore d’orchestra e docente, ha esordito dicendo che la musica semplicemente «è». Attraverso alcuni video, per esempio della la Quinta sinfonia di Beethoven o della n. 40 di Mozart, ha illustrato come possiedano una “chiave di lettura”, un insieme di note, un ritmo che, dichiarato già nelle prime battute, ne guida lo svolgimento in tutta la loro profondità.
Il maestro Pippo Molino, compositore e direttore di coro, ha poi spiegato, attraverso una sua opera, come nasce una composizione musicale. «Quello che mi ha sempre colpito e mi colpisce nella musica è che, nei casi migliori, è un incontro – ha detto -. Capire, riconoscersi nella vera musica, esattamente come farla (è quasi l’unica arte in cui non basta il creatore, ma occorre l’interprete) è certamente legato al senso religioso di ognuno. Certo, per alcuni, vuol dire aver bisogno di Dio e pregare».
Dal testo musicale al testo scritto: a Brescia si è parlato della scrittrice americana Flannery O’Connor. In una grande storia, come ha ricordato lo scrittore Luca Doninelli, non esistono dettagli, quindi la cravatta di un personaggio di un romanzo o la sua pettinatura non sono qualcosa di superfluo, perché ogni aspetto concorre al tutto. Le parole di un libro svelano, rivelano, e gli artisti si occupano dell’invisibile nel visibile, in un equilibrio in cui il tutto è sempre più della somma delle parti. Eppure per quanto si possa penetrare un’opera e per quanto essa ci possa far conoscere, alla fine resta sempre un ultimo segreto, quel mistero che abita il mondo.
Ed è proprio la scrittrice americana di Savannah che ci rivela come questo segreto può essere scomodo, ma allo stesso tempo necessario per conoscere. Dopo una vita nella quale non sono mancati momenti di sofferenza, racconta Elisa Buzzi, docente all’Università di Brescia, per Flannery O’Connor è chiaro che il mistero abita la vita di ogni cosa. Questo mistero (scritto con la “m” minuscola nei suoi testi), incarnato nella materia, si rivela nel quotidiano, nel dolore, può avere il volto deforme della malattia, si manifesta insomma come e dove non ce lo aspettiamo.
L’arte in tutte le sue forme dunque innanzitutto c’è e con la sua stessa esistenza chiede all’uomo di conoscerla, prima ancora di formulare ipotesi o discorsi, e di incontrare l’artista che si cela dietro e dentro l’opera.
Fonte: Maddalena Colozzi – Nicola De Bei | Clonline.org