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Lezione di storia, perché la (utile) AI non può sostituire prof e studenti

L’AI sembrerebbe essere lo strumento ideale nella didattica della storia a scuola. Ma uno sguardo più ravvicinato ne evidenzia i limiti

Pochi dubbi sussistono sul fatto che l’intelligenza artificiale (AI) sia entrata nella nostra vita. Se ancora qualche perplessità si oppone all’uso dell’AI nella didattica, pressioni e suggerimenti provenienti dal mondo del digitale valgono a tentare di superare le ultime remore.

Nel campo della didattica della storia, per esempio, l’AI può avere innumerevoli applicazioni che effettivamente possono rendere la lezione di storia utile, interessante e partecipata. Le infinite risorse messe a disposizione dagli assistenti virtuali di AI possono orientare lo svolgimento di lezioni immersive, dove i concetti sono corroborati dalle immagini, dai suoni, dalle voci.

Su un altro versante, quello dell’apprendimento, l’universo del digitale intelligente può consentire modalità di partecipazione dell’alunno alle lezioni del tutto impensabili fino a qualche anno fa. Gli alunni possono impegnarsi in dibattiti storici, assumendo un ruolo che sarà rinforzato o contrastato dall’AI; possono creare oggetti multimediali; possono inventare percorsi nel tempo passato mediante il facile reperimento di mappe e testimonianze.

Siamo entrati, di fatto, in una nuova era del rapporto tra conoscenza e comprensione, che implica nuovi scenari e nuove modalità di assimilazione dei dati sottoposti all’attenzione dei ragazzi. Non a caso, le Nuove Indicazioni 2025 per la scuola primaria e secondaria di primo grado recitano che “L’impiego del multimediale e la conoscenza dell’intelligenza artificiale generativa sono ormai ineludibili.

Si tratta di chiedersi, nello specifico della didattica disciplinare, se le competenze dello studente, che in qualche modo dovranno essere valutate, si riferiscano alla capacità di governare la complessità del linguaggio e della strumentazione informatica, oppure all’abilità nel predisporre successioni logiche di contenuti informatici, previa predisposizione delle necessarie ricerche.

Per quanto riguarda la didattica della storia, che rischia di essere completamente sovvertita dall’AI, come si è anticipato, i problemi riguardanti la ricaduta nel campo dell’insegnamento-apprendimento non sono pochi. Basta chiedersi quali sono i fattori portanti del lavoro dello storico: ricostruzione dell’ambiente storico, recupero di testimonianze del passato, ricerca dei documenti o, non piuttosto, la messa in atto di una comprensione degli eventi passati che ne faccia cogliere la ragionevolezza, intendendo con quest’ultima parola il nesso tra un insieme di cause e le loro relative conseguenze?

L’AI chiama in causa la storiografia proprio a questo livello. Posto che il tempo passato non è più sotto i nostri occhi e può essere raggiunto solo dall’immedesimazione con l’avvenimento già trascorso tramite un complesso lavoro sulle fonti, ne deriva che queste ultime devono essere verificate nella loro attendibilità, comprensibilità e pertinenza rispetto alle domande che, nel presente, lo storico si pone.

In fondo, la storiografia (e ogni tipo di insegnamento ha un valore storiografico) ha sempre avuto a che fare con il mondo “virtuale”, proprio perché la ricostruzione storica è anche debitrice della capacità dello storico di estraniarsi dal proprio contesto per delinearne un altro che non esiste attualmente, ma è come se fosse presente. Una lezione cattedratica o una trasmissione televisiva su un determinato fatto storico contengono a tal punto dosi più o meno consistenti di virtualità, che alcuni storici, sbagliando (proprio perché accecati dalla virtualità), hanno sostenuto che non esiste alcuna verità storica.

Non rischia, dunque, l’artificialità, per quanto intelligente, della ricostruzione di distruggere completamente la percezione di un’oggettività in campo storico, così da differenziare il mondo del fantastico dal mondo del vero storico?

Bisognerebbe precisare, a questo punto, che l’oggetto della storia non sono tanto (o soltanto) i fatti, bensì gli avvenimenti, cioè quelle costellazioni di fatti disposti nel tempo e nello spazio che hanno cambiato un certo tratto del percorso umano, posto tra due fasi definibili come cura della memoria (fase 1) e progettazione dell’aspettativa (fase 2).

Posta la questione in questi termini, potremmo dire che l’AI è utile per ricostruire ambienti in cui si sono posti i fatti (una determinata battaglia, un’incoronazione, un crollo economico, un’invenzione di successo), ma che difficilmente può giungere a ricostruire la complessità di un avvenimento nella totalità dei fattori che lo compongono. Non avendo l’AI un’anima, se non virtuale, essa non può mettersi in rapporto con l’avvenimento nel senso di comprenderlo e restituirlo alla lettura del presente come può fare l’essere umano, che è generato culturalmente e storicamente dagli avvenimenti.

La storiografia, così come la lezione di storia, implicano la ragione: quella dell’insegnante e quella dell’alunno. Una ragione in grado di assumere la profondità di un certo avvenimento o una serie di avvenimenti, di acquisirne l’importanza, di sviluppare la coscienza di una loro effettualità causale, di produrre un’immedesimazione nel presente che assuma l’avvenimento passato come radice del presente, di trasmettere la sua centralità in un certo arco temporale attraverso una comunicazione improntata alla narratività.

È forse banale dire che l’AI non può sostituire l’uomo, ma nel caso della didattica della storia, più che una ovvietà, è una evidenza difficilmente controvertibile.

Fonte: Fabrizio Foschi | IlSussidiario.net

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