Presentata a Roma in anteprima la mostra che sarà al Museo Marino Marini di Firenze da settembre prossimo: dopo secoli torna nel capoluogo toscano un altare donato da Ferdinando I de Medici al Santo Sepolcro nel XVI secolo
La storia ha sempre legato Firenze alla Terra Santa, ad esempio durante le Crociate. Un filo che non si è mai spezzato e che anzi si è nutrito di rapporti incessanti, diventati particolarmente evidenti quando Giovanni di Paolo Rucellai commissionò a Leon Battista Alberti, tra il 1457 e il 1467, un monumento funebre, copia in scala del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Il monumento si trova nell’unica parte rimasta consacrata della chiesa di San Pancrazio, attuale sede del Museo Marino Marini, dedicato al grande scultore pistoiese del secolo scorso. Abbiamo quindi due caposaldi: il Sepolcro e il suo doppio, l’originale e la sua imitazione, l’uno a Gerusalemme, l’altro a Firenze.
Leon Battista Alberti, Tempietto del Santo Sepolcro ex-chiesa di San Pancrazio. a Firenze
Presentata ieri in anteprima, a Palazzo Grazioli, la mostra che aprirà i battenti il 12 settembre prossimo, “Il Tesoro di Terrasanta al Museo Marino Marini. La bellezza del sacro: l’Altare dei Medici e i doni dei Re”. Non si tratta soltanto di una mostra, ma di un vero e proprio evento”, sottolinea Carlo Ferdinando Carnacini, presidente della fondazione Marino Marini San Pancrazio. “All’inizio l’idea era quella di portare una serie di opere e manufatti regalati dai re italiani alla Custodia di Terra Santa e realizzarla nelle cantine della cripta. In corso d’opera però ci è venuta l’idea di far tornare a Firenze l’Altare dei Medici che si trova sul Santo Sepolcro. Non è una cosa che in un momento così difficile possa accadere tutti i giorni, cioè svuotare il Santo Sepolcro dell’altare dei Medici, metterlo dentro delle casse, portarlo in Italia, restaurarlo, esporlo a Firenze e poi riportarlo sul Santo Sepolcro per i prossimi 500 anni”.
Ascolta l’intervista a Carlo Ferdinando Carnacini, presidente della fondazione Marino Marini San Pancrazio
Si tratta dell’“Ornamento”, dell’Altare del Calvario donato da Ferdinando I de’ Medici, Granduca di Toscana, al Santo Sepolcro di Gerusalemme. È la recinzione che incapsula la Pietra dell’unzione: un monumento di bronzo argentato, che si trova nella navata latina del Calvario, in uno dei luoghi simbolo della cristianità, ideato nel 1588 e fuso nel 1590 da Fra’ Domenico Portigiani nel convento fiorentino di San Marco, testimonianza di devozione della città medicea, ma anche come dimostrazione del potere dei Signori fiorentini nel contesto politico e religioso del Rinascimento. Carnacini osserva che questa mostra “nonostante quello che sta succedendo in quelle zone, ha un valore di grande simbolismo molto importante perché la pace può passare soltanto attraverso la cultura e noi parliamo di cultura, parliamo di manufatti importantissimi, parliamo di opere di Leon Battista Alberti, parliamo del Rinascimento italiano, parliamo dei Medici”.
Oltre a questo altare sarà esposta la collezione della Custodia di Terra Santa, conservata dai frati francescani, e altre opere provenienti dai musei italiani. Una selezione che traccerà le linee del rapporto complesso tra patrocinio artistico ed espressione religiosa. Inoltre, molti di questi preziosi oggetti non presentano confronti con altri nelle collezioni dei musei occidentali, perché andati distrutti durante i rivolgimenti storici dei tempi. E’ come se una parte del patrimonio artistico al centro del mondo si fosse preservata, protetta da quelle che erano le periferie culturali del tempo.
Un momento della conferenza stampa a Palazzo Grazioli
Ascolta l’intervista a Stéphane Milovitch ofm, presidente del santo sepolcro di Gerusalemme e direttore dell’Ufficio Beni culturali della Custodia della Terra Santa.
Dalla Terra Santa sono state portate in occidente, e in particolare a Roma, le reliquie. Questa volta, invece si parla di un ritorno storico, anche se solo per un periodo, di un dono custodito da secoli a Gerusalemme. Un vero e proprio viaggio a ritroso dal Santo Sepolcro al suo gemello, il tempietto del’Alberti, perché, Milovitch riflette che “La vita è fatta di movimento, va, viene, va. E questo è anche un simbolo di vita: le cose sono sempre in movimento. Noi in quanto custodi di Terra Santa custodiamo i luoghi santi e siamo legati sia ai cristiani locali che vivono all’ombra dei luoghi santi, la Chiesa di Gerusalemme, sia alla Chiesa universale che è presente attraverso i numerosi pellegrini che da sempre vengono sui luoghi dove è nata la Chiesa. Noi frati lavoriamo con queste due entità e il nostro patrimonio è composto anche da quello che abbiamo prodotto insieme ai cristiani locali e anche insieme a quello che viene dal mondo intero. Vogliamo creare un museo perché in questo momento la situazione anche difficile tra le varie persone che compongono la Terra Santa è da molto tempo complicata, ma da sempre la Chiesa ha cercato di essere un ponte tra le differenti popolazioni. In modo particolare nel nostro museo sarà presente una grande farmacia offerta dall’Italia, Genova, Venezia. Già dal 1400 i frati avevano la più grande aphoteke del Medio Oriente. I frati curavano ebrei, musulmani, cristiani, pellegrini perché Cristo è il Salvatore di tutti e quindi tutti gli uomini, anche il loro corpo, vengono trattati bene, sono soggette alla redenzione”, osserva il presidente del Santo Sepolcro.
Un luogo d’incontro aperto al mondo
Fin dal 1500 abbiamo aperto delle scuole dove erano presenti cristiani, ebrei, musulmani, quindi per noi è molto importante poter avere rapporti con tutti gli altri e questo ci permette anche di essere elementi di pace. Oggi la Chiesa è molto piccola, in Terrasanta siamo l’1% e mezzo. Nonostante questo, le istituzioni cristiane hanno sempre la volontà di essere aperte agli altri e quindi all’educazione, all’assistenza sanitaria, così come la cultura deve essere qualche cosa che promuove un dialogo in quanto opere cristiane che noi abbiamo in custodia. Questo è un modo per facilitare il dialogo con gli altri”, dice Milovitch che continua: “Abbiamo moltissime opere europee di grande qualità che talvolta l’Europa ha perso. Molti di coloro che vivono oggi in Terra Santa sono ebrei che hanno una mentalità occidentale e quindi è molto importante pensare che molti di loro riconoscano e ritrovino nel patrimonio del Museo le loro radici europee e siano interessati a vedere un’opera offerta da un re o un’opera di artigianato. Abbiamo avuto molti rapporti anche con i musulmani, per esempio dei documenti dei Firmani sono dei mamelucchi o dei turchi. Quando i turchi sono venuti hanno distrutto tutta la civiltà mamelucca, ma le chiese conservavano ancora molti di questi documenti. Attraverso la Chiesa i musulmani possono conoscere meglio una città, una civiltà che fu sovrana nel Paese per 250 anni. Il nostro patrimonio può interessare sia gli uni che gli altri: per dialogare è importante che ci sia interesse a incontrarci attraverso la cultura. Lo facciamo già, ad esempio, attraverso la musica, abbiamo un conservatorio di musica frequentato da ebrei, musulmani e cristiani, studenti e professori. Cerchiamo di creare delle occasioni di ponte tra i popoli”, conclude il direttore dell’Ufficio beni culturali della Custodia di Terra Santa.
Simbolo di unione
A proposito di queste parole, occorre notare come l’Altare dei Medici sia la parte superiore di una struttura in ferro battuto di periodo più recente, della fine dell’Ottocento. Si tratta di due fasi l’una sovrapposta all’altra, i sei rilievi con le scene dalla Passione alla Risurrezione e i simboli dei Medici sovrapposta a un giro inferiore opera di maestranze locali: un vero simbolo tangibile, materiale, l’unione della Chiesa locale con quella universale.
Una mostra giubilare, “pellegrina di speranza”
Milovitch afferma che “I pellegrini, nonostante i problemi, cominciano già a ritornare in Terra Santa. Ogni giorno abbiamo cinque sei gruppi che celebrano al Santo Sepolcro. Però è anche importante manifestare delle opere legate alla morte e alla resurrezione di Cristo, che possano essere anche un segno della Terra Santa nei vari luoghi di Europa e anche nel mondo. Abbiamo in programma cinque o sei mostre che sono richieste per i due anni a venire prima dell’apertura del nostro museo e per noi anche un modo di far conoscere un patrimonio importante perché le opere maggiore del nostro museo avremo difficoltà a esporle una volta che sarà aperta avremo abbiamo tanto materiale che non sarà nel museo, che potremo anche mandare in mostre, ma le opere maggiori sarà più difficile che possano partire”.
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