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Il papà dell’aggressore invita a cena l’aggredito. Un gesto raro e importante (con Video)

A Treviso, due adolescenti aggrediscono per strada un uomo, intervenuto a difendere una donna messa in pericolo dalle loro scorribande. Il padre dell’aggressore invita a cena l’aggredito, l’epilogo migliore possibile. Ecco perché

A Treviso, due adolescenti aggrediscono un uomo per strada, intervenuto a difendere una donna con due bambini messa in pericolo dalle loro scorribande in bicicletta. In questa storia di enorme confusione dove ci sono minori che non sanno cos’è il senso civico (hanno picchiato l’adulto che li ha rimproverati proprio di questo) e adulti che non temono di intervenire per strada per ripristinarlo e richiamare i ragazzi a un comportamento più consono, l’epilogo sembra essere il migliore possibile.

Infatti, il padre di uno dei due ragazzi non solo ha chiamato l’uomo vittima delle botte di suo figlio e si è scusato personalmente, ma ha fatto una di quelle cose che oggi proprio non ti aspetti: lo ha invitato a cena perché possa stare davanti a suo figlio e chiedergli il motivo di tanta rabbia e violenza. È un intervento in cui il ragazzo sarà costretto a “metterci la faccia”. Ovvero a prendersi le responsabilità del proprio gesto, a chiedere scusa e a verificare in prima persona con la propria vittima quale sarà la richiesta che verrà fatta a scopo riparativo. Non sarà una richiesta economica, a quanto l’adulto ha lasciato intendere nell’intervista rilasciata al Corriere veneto. Ma sarà una richiesta di risarcimento “etico”. Qualcosa che avrà a che fare proprio con quel “senso civico” richiamato nel rimprovero da cui ha avuto origine tutta la triste faccenda.

Penso che questa storia valga la pena di essere divulgata e commentata. Perché, partendo dall’azione molto maldestra di due minorenni, vede invece un’alleanza – oggi quanto mai inaspettata e sempre più rara – del mondo adulto. Ciò che colpisce è la capacità di fare squadra tra i genitori del colpevole e la sua vittima. Oggi è merce rara, perché nel mondo adulto si è instaurata questa abitudine – davvero malsana – di difendere l’operato del figlio anche di fronteai comportamenti più disfunzionali. Le cronache sono piene di famiglie che, di fronte alle malefatte dei propri figli, sono scese in arena per rivendicarne la presunta innocenza. I minori non capiscono più nulla, quando di fronte ai propri errori vedono i genitori avallarli e trovare motivazioni a loro discolpa.

È il percorso più diseducativo che ci possa essere perché provoca due conseguenze che nel medio e lungo termine possono provocare danni ancora peggiori. Da una parte il ragazzo è spinto sempre più a normalizzare le azioni disfunzionali di cui si rende protagonista. Se gli adulti ne giustificano l’operato, ergendosi a paladini della loro innocenza, ogni gesto violento diventa un gesto che sembra essere giustificabile e senza conseguenze e che troverà il ragazzo poco coinvolto nella sua riparazione. Il conflitto si sposta infatti al piano alto, dove gli adulti cominciano ad affrontarsi per vie legali, spesso lasciando il minore in un angolo, come se fosse lo spettatore passivo di ciò che è avvenuto, e non l’autore e l’attore principale. La seconda conseguenza è la de-responsabilizzazione che ne deriva.

Il minore viene difeso dagli adulti e non si confronta mai, faccia a faccia, con la sua vittima. Non sente raccontare da quest’ultima lo sgomento, il disorientamento e il dolore che quell’azione maldestra (nella logica del minore) e al tempo stesso criminale (nella logica della legge) ha prodotto. In tale vicenda, invece, gli adulti si sono alleati proprio perché avvenga questo: ovvero, che il colpevole si confronti con la sua vittima, ne ascolti il vissuto, ne venga interpellato dalle domande e dal bisogno di chiedere «Perché mi hai fatto questo?».

È un passaggio importantissimo, perché solo mettendo il proprio sguardo nello sguardo di chi ha patito le conseguenze e il dolore di un gesto violento, si può trovare il modo di chiedere sinceramente scusa, di assumersi la responsabilità per aver fatto avvenire qualcosa che non avrebbe mai dovuto accadere. È così che si aiuta un figlio a comprendere la natura del proprio sbaglio, evitando che egli stesso si trasformi in una “persona sbagliata”.

Fonte: Alberto Pellai | FamigliaCristiana.it

Approfondimenti:
Qui il VIDEO dell’intervista a Luca Gobbo

Corrieredelveneto/corriere.it

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