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EUTANASIA GRAZIE AL SSN/ “Anna, la solitudine rende vulnerabili e il partito della morte ne approfitta”

La morte per eutanasia assistita dal SSN di “Anna”, a Trieste, è una sconfitta per tutti. Lo Stato deve finanziare chi aiuta la vita e la vera libertà di autodeterminazione

Anna, nome di fantasia, è la prima donna italiana ad aver completato tutta la procedura prevista dalla Corte Costituzionale per accedere al suicidio assistito con l’assistenza diretta del Servizio sanitario nazionale, che ha fornito sia il farmaco che la strumentazione necessaria, su mandato del Tribunale di Udine, emesso il 4 luglio 2023.

Anna nelle ultime ore della sua vita è stata assistita da un medico, indicato dalla ASL, che ha supportato l’intera procedura volontariamente, rimanendo nei limiti previsti dalla ordinanza del tribunale. L’Associazione Coscioni, che in questi ultimi mesi aveva accompagnato la donna, in una nota ha sottolineato come tutta la procedura è rimasta di esclusiva spettanza di Anna.

Anna era affetta da sclerosi multipla, una malattia autoimmune cronica demielinizzante, che colpisce il sistema nervoso centrale causando una complessa sintomatologia la cui gravità non è prevedibile e varia da individuo a individuo; in alcuni casi risulta fortemente debilitante e crea un grave disagio alla persona malata e alla sua famiglia. È una patologia di cui non sappiamo ancora molto: potrebbe avere una componente genetica, che dipende dalla suscettibilità individuale, e potrebbe essere influenzata da vari fenomeni ambientali. Una malattia che richiede ancora molta ricerca scientifica e un forte impegno sul piano dell’assistenza socio-sanitaria, con un adeguato coinvolgimento non solo di professionisti competenti, ma anche dei caregivers familiari.

Attualmente, non esiste una cura che permetta di guarire dalla sclerosi multipla. Tuttavia, sono disponibili diversi farmaci che sono in grado di rallentare il decorso della malattia.

Pur sapendo che non esistono mai casi uguali, pur in presenza di una stessa malattia, davanti a casi come quello di Anna potremmo dire che esistono due alternative: una è quella scelta da Anna, a cui va tutta la nostra comprensione per le sofferenze affrontate nei lunghi anni della malattia e il massimo rispetto per la decisione presa; l’altra è quella, del tutto diversa, che percorrono migliaia di malati affetti da sclerosi multipla.

Secondo il ministero della Salute in Italia i casi di sclerosi multipla diagnosticati sono 122mila; la malattia colpisce, mediamente, 1 persona ogni 500 e ogni anno 3.400 persone ricevono una diagnosi di sclerosi multipla. Per tutti questi malati, per le loro famiglie, per i professionisti che se ne prendono cura, la strada scelta è quella dell’assistenza e della ricerca scientifica. Il binario su cui da sempre si muove la medicina: assistere e fare ricerca; accompagnare i malati sostenendone la speranza, intervenendo sui loro sintomi per migliorare la qualità di vita e lavorare notte e giorno in laboratori di tutto il mondo per sconfiggere questa patologia, cercando di capirne meglio l’origine e il meccanismo d’azione.

Anna, in un messaggio diffuso dopo la sua morte, afferma: “Ho amato con tutta me stessa la vita, i miei cari e con la stessa intensità ho resistito in un corpo non più mio. Ho però deciso di porre fine alle sofferenze che provo perché oramai sono davvero intollerabili”. Dalla storia di dolore e sofferenza di Anna e dal suo tragico epilogo è partita l’ennesima raccolta di firme a sostegno della proposta di legge regionale sul fine vita, in discussione nella regione del Friuli-Venezia Giulia. Anna conclude il suo messaggio dicendo: “Io oggi sono libera, sarebbe stata una vera tortura non avere la libertà di poter scegliere”.

Ma la domanda che è lecito porsi, sia pure in via di ipotesi, riguarda proprio la sua libertà: quanto è stata libera di decidere Anna in un contesto socio-politico che ha fatto della legge sull’eutanasia la propria battaglia politica e culturale. Quando e perché Anna ha deciso che le sue sofferenze erano diventate intollerabili non spetta certo a noi dirlo, ma è molto probabile che anche lei, come tutti i malati, presentasse una vulnerabilità emotiva che richiede un sostegno costante da parte di chi li assiste e non l’eco continuo di una campagna per un’autodeterminazione, che quando si radicalizza ha come naturale conclusione la morte.

È una osservazione che si estende anche alla sua famiglia. Anna nella sua ultima lettera afferma: “Ringrazio la mia famiglia che mi è stata vicina fino all’ultimo” e certamente sarà stato così, ma chi era vicino alla sua famiglia per sostenerla ed aiutarla in tutti i modi possibili, non solo sul piano socioassistenziale, ma anche psicologico e spirituale?

L’Associazione Coscioni non esita ad affermare: “Anna è la prima persona malata che ha visto riconoscere, da parte dei medici incaricati di effettuare le verifiche sulle condizioni, il principio che l’assistenza continua alla persona è assistenza vitale, così anche la dipendenza meccanica non esclusiva garantita attraverso l’impiego di supporto ventilatorio (Cpap) nelle ore di sonno notturno”. E giudica non fondato e paradossale il diniego ricevuto nel Lazio da Sibilla Barbieri, anche lei dipendente da trattamenti vitali, costretta a morire in Svizzera.

Per l’Associazione Coscioni l’ASL friulana ha semplicemente applicato la decisione del giudice del Tribunale di Trieste che a sua volta ha applicato la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale. Ma l’Associazione Coscioni non esita a rivendicare il “merito” di questa operazione dicendo: “Abbiamo vigilato sull’intera procedura, a volte sollecitando alcuni passaggi”. Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Coscioni, non ha dubbi. Lui sta promuovendo su tutto il territorio nazionale la campagna regionale “Liberi subito”, affinché le regioni approvino una legge che introduca tempi e procedure certi per accedere al suicidio medicalmente assistito. Dopo aver riportato i dati relativi ad alcuni sondaggi regionali, tutti a favore dell’introduzione del suicidio assistito, metafora dell’eutanasia, afferma: ”Ora occorre lavorare sui tempi. Non deve più essere consentito di far attendere quasi un anno fra sofferenze intollerabili e condizioni che peggiorano con il rischio – come stava accadendo ad ‘Anna’ – di perdere le ultime forze necessarie per l’auto-somministrazione del farmaco letale”.

Anna, forse suo malgrado, è diventata la testimonial di una grande battaglia per l’eutanasia, la battaglia della Associazione Coscioni e di Marco Cappato, recentemente sconfitto nelle ultime elezioni sul seggio di Monza-Brianza, dove aveva fatto dell’eutanasia il core business dell’intera campagna elettorale, sostenuto da Pd e M5s. Segno abbastanza probabile che i dati dei suoi sondaggi meriterebbero qualche approfondimento in più, per lo meno sulla modalità in cui è posto il quesito.

La posizione di milioni di italiani potrebbe essere molto diversa se chiedessimo loro: “Ritieni più opportuno che i pazienti che lo desiderano abbiano accesso al suicidio assistito con l’assistenza completa del SSN, che fornirebbe loro il farmaco letale e un medico di supporto, oppure ritieni che il SSN debba dare precedenza assoluta a tutti quei pazienti che desiderano curarsi, che aspirano ad una migliore qualità di vita, anche attraverso l’attivazione di attività di ricerca più avanzate?”.

Non dimentichiamo che il SSN, di cui tra pochi giorni, il 28 dicembre, ricorderemo i 45 anni dell’istituzione, è stato fortemente voluto per curare i malati, per migliorarne le condizioni di vita, per assisterli soprattutto nelle condizioni di maggiore fragilità. È questa la risposta che ricaviamo anche dalla vicenda di Anna: il fallimento del SSN, che ha stravolto la sua mission specifica.

Lungi dall’essere una battaglia vinta, questa battaglia è un ulteriore segnale di come occorra rivedere molte cose nel nostro SSN, per dare precedenza a chi vuole vivere e per sostenere tutti coloro che ad un certo punto della loro vita ritengono insopportabili le loro sofferenze.  Penso in concreto anche alla legge 38/2010, per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, che avrebbe bisogno di risorse ben più cospicue di quelle su cui può contare attualmente.

Monsignor Trevisi, vescovo di Trieste, si spinge anche più avanti e segnala tutti “i dubbi sulla corretta interpretazione e applicazione della sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale”. E, personalmente, voglio ricordare anche le lunghe battaglie condotte in Parlamento a proposto della intrinseca ambiguità di alcuni passaggi della legge 219/2017, la legge sulle “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”. Quella per intenderci a cui si riferisce la Consulta per la depenalizzazione del reato di aiuto al suicidio, che nei fatti apre le porte all’eutanasia.

Forse dovremmo ripartire da qui a garanzia della libertà di autodeterminazione dei malati e della responsabilità del SSN di raggiungere gli obiettivi che gli sono propri. “Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio” (legge 833/1978, art. 1).

Fonte: Paola Binetti | IlSussidiario.net

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