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Demografia malata grave

Negli ultimi nove anni si sono persi in Italia un milione e 561mila residenti, come se avessimo cancellato dalla mappa del popolamento l’equivalente degli abitanti di due grandi città tipo Milano e Brescia. Il vero responsabile di tale “scomparsa” è indubbiamente quel persistente e intenso fenomeno di denatalità, identificato come elemento caratterizzante del così detto “inverno demografico”.

È il tratto finale di un percorso che parte da lontano: si è andati dal milione e 35mila nati del 1964 alla rapida discesa e appiattimento ai 500550mila negli anni Novanta, per poi passare, dopo una modesta ripresa nella fase iniziale del nuovo secolo, al recente crollo intenso e continuo che ci ha portato dai 577mila nati del 2008 ai 393mila nel 2022. A ben vedere anche l’avvio del 2023 non è affatto confortante. Se estrapoliamo il calo dell’1,9% già registrato nei primi sei mesi (rispetto allo stesso periodo del 2022), tutto lascia supporre che a fine anno avremo modo di stabilire l’ennesimo, ulteriore nuovo record al ribasso. Non sorprende osservare come impietosamente i confronti internazionali – ne ha dato conto recentemente il World Fatbook della Cia – posizionino l’Italia al sest’ultimo posto al mondo per frequenza di nati ogni mille abitanti. In una graduatoria dove ci sono ben 218 Paesi che fanno meglio di noi.

Il freno alla vitalità della popolazione italiana resta dunque fortemente inserito nonostante vi sia ormai una crescente sensibilità circa le dinamiche in atto – e i relativi problemi che ne derivano – e nonostante siano già state attivate alcune interessanti iniziative volte a produrre una qualche inversione di tendenza. In realtà sembrano ancora attivi quegli elementi di disagio più volte ricordati – dai costi, alle difficoltà nella cura e nella conciliazione dei tempi di vita di lavoro – che hanno via via spinto le coppie italiane ad assumere l’atteggiamento di un “figli sì, ma non adesso”, che da intenzionale semplice rinvio di un (o un altro) figlio, si è spesso trasformato in accantonamento definitivo del progetto.

Eppure, se azzardiamo un confronto storico – pur con tutti i necessari distinguo tra il mondo e i valori di generazioni ed epoche differenti – affiancando i 243.191 nati nel primo trimestre del 1943 ai 91.423 del primo trimestre del 2023, nasce spontanea la domanda su quale dei due periodi debba essere visto come più problematico nel condizionare al ribasso i modelli riproduttivi degli italiani. In particolare, ciò su cui conviene riflettere non sono i molti bambini messi al mondo da coloro che nei primi anni Quaranta opponevano una scelta di vita alle desolazioni della guerra, bensì i pochi neonati che oggi ricorrono in una popolazione che beneficia del dono della pace e vive in un contesto di indubbio maggior benessere.

La spiegazione è che forse oltre alle ben note cause materiali che inducono alla denatalità, abbiano consistente peso alcuni fattori culturali che suggeriscono, soprattutto nell’universo giovanile, una visione della vita in cui il ruolo dell’essere genitori è presente ma non è necessariamente prioritario. Vince ancora il “non adesso”, talvolta con l’illusione di aver sempre il pieno controllo delle proprie scelte riproduttive “quando poi voglio…”, ma senza fare i dovuti conti con un orologio biologico che avanza inesorabilmente, anche per i giovani.

In conclusione, si ritiene che per rilanciare la natalità sarebbe necessario creare le condizioni per accrescere l’autonomia, l’uscita di casa, dei nostri giovani. Oggi per ogni 100 residenti 3034enni che hanno una loro autonomia familiare ce ne sono ben 444 che vivono ancora nella famiglia d’origine, mentre nel 1991 il rapporto era un terzo (per ogni 100 autonomi 152 in casa). Il passaggio successivo dovrebbe poi essere quello di mettere questi giovani in grado di operare senza ritardi la scelta genitoriale.

Oggi si calcola che per ogni 100 30-34enni già genitori ce ne siano 279 ancora nella condizione di figli entro la loro originaria famiglia. Ed è una situazione che ultimamente è decisamente peggiorata: fino al 2018 il valore era nel complesso attorno a 150-200 in condizione di figli per ogni 100 già genitori. I numeri ci dicono che l’impegno per rilanciare la natalità è grande, ma anche che la posta in gioco è particolarmente alta. Contrastare l’inverno demografico e governarne le conseguenze è una delle grandi sfide che ci attendono.

Conforta osservare che a diversi livelli e nei differenti ambiti è andata crescendo decisamente la consapevolezza dei problemi, così come di alcune delle possibili soluzioni. La diagnosi di questa nostra demografia malata è ben chiara e sono ben note le conseguenze che rischieremmo di dover affrontare. Avviamo dunque in fretta la giusta terapia, attivandoci e accettandone, se necessario e ognuno per la sua parte, gli eventuali costi.

Fonte: Giancarlo Blangiardo | Avvenire.it

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