Ieri si è tornati a parlare di rinuncia del Papa. Cosa è successo? Due giornalisti del quotidiano spagnolo ABC hanno chiesto a Francesco “cosa succede se un pontefice resta improvvisamente impedito da problemi di salute o da un incidente”. E lui ha risposto tranquillamente: Io ho già firmato la mia rinuncia. Era quando Tarcisio Bertone era segretario di Stato”.

Accadde nel 2013, subito dopo il Conclave. In quello stesso anno Bertone andò in pensione e lasciò il posto a Parolin. “Ho firmato” ricorda il papa “e gli ho detto: ‘In caso di impedimento medico o che so io, ecco la mia rinuncia’. Io l’ho data a lui. Sicuramente lui l’avrà consegnata al nuovo segretario di Stato”.

Dando per la prima volta questa notizia, il Papa ha ricordato che lo stesso avevano fatto Pio XII – in caso deportazione da parte dell’esercito hitleriano che aveva occupato Roma – e Paolo VI che scrisse, anch’egli poco dopo la sua elezione, una lettera di rinuncia “nel caso di infermità, che si presuma inguaribile, o di lunga durata, e che ci impedisca di esercitare sufficientemente le funzioni del nostro ministero apostolico”.

Giovanni Paolo II – secondo alcuni testimoni – espresse l’intenzione di scrivere una rinuncia analoga. Forse lo fece. Ma nei suoi ultimi anni – con l’aggravarsi della malattia – decise di continuare a portare la croce del pontificato.

Probabilmente perché – in un’epoca che ha scandalo della sofferenza – volle dare la sua testimonianza personale sulla grandezza e la nobiltà del dolore umano che è poi la croce portata con Gesù Cristo. Lo fece per confermare il suo “sì” a Dio e come supremo atto di magistero sulla sacralità della vita.

Benedetto XVI, compiuti 85 anni, decise di rinunciare (il primo papa dopo secoli) e, probabilmente dopo aver meditato sulle scelte dei predecessori, così motivò la sua scelta:

“sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro”.

La riflessione sulla rinuncia ormai s’impone a tutti i pontefici perché il loro ministero non ha un termine temporale e – con l’allungarsi della vita media – i papi si trovano a governare la Chiesa, una realtà planetaria  molto impegnativa da guidare, anche negli anni in cui l’avanzata età e le malattie gravano più pesantemente. Siccome solo il Papa può prendere questa decisione che lo riguarda (in piena libertà) ormai accade normalmente che ciascuno – in coscienza – rifletta su cosa fare in caso di malattia. Tenendo presente anzitutto il bene superiore della Chiesa, come scrisse papa Francesco nella prefazione al libro che rese nota la lettera di Paolo VI.

Sono scelte drammatiche. Negli ultimi anni il cinema ha tentato di scandagliare il mondo interiore dei papi dei tempi moderni, ma con superficialità, senza mai comprendere veramente questi uomini che sono, sì, esseri umani come tutti, ma sono anche “uomini di Dio”.

Come dice un antico e bellissimo inno di san Bernardo di Chiaravalle “expertus potest credere/ quid sit Jesum diligere” (solo chi ne ha fatto esperienza può comprendere cosa sia amare Gesù”). Si potrebbe aggiungere: solo chi ne ha fatto esperienza può capire cosa sia essere amato e scelto, chiamato da Gesù.

Nel loro caso sono uomini chiamati addirittura a un compito sovrumano: essere il Vicario di Cristo sulla terra.

Non c’è un solo papa dei nostri anni che – pur con il suo linguaggio e la sua personalità – non abbia espresso sgomento per la propria piccolezza e la propria miseria davanti a un compito così immenso.

Ma tutti sono accomunati dalla consapevolezza che è Gesù Cristo che guida e sostiene la sua Chiesa. È la sua grazia che la vivifica, è lo Spirito Santo che suscita continuamente germogli sul suo tronco bimillenario. Sempre in modo sorprendente. E i Papi hanno il compito di riconoscerli.

In fondo chi mai poteva “inventarsi” un Francesco d’Assisi se non la creatrice “fantasia” dello Spirito Santo che continuamente fa fiorire nuovi santi nel giardino della Chiesa?

Il fatto che – nei secoli passati – ci siano stati papi molto discutibili e che la Chiesa abbia vissuto momenti catastrofici di buio, persecuzioni, scismi ed eresie, è la prova che – umanamente parlando – la sua esistenza oggi, nel XXI secolo, è inspiegabile. Se fosse solo opera umana sarebbe già crollata. Com’è accaduto a tanti imperi antichi.

Il mondo considera i Papi uomini di potere, ma – diceva Stalin – non hanno eserciti. Se non quelli degli angeli chiamati a soccorrere l’umanità nel suo cammino e nelle sue sofferenze.

I Papi hanno il potere di servire. Infatti uno dei titoli propri del Papa è “Servus servorum Dei” (Servo dei servi di Dio). Nell’antico rito della Chiesa, quando veniva eletto un nuovo Pontefice, il cerimoniere accendeva della stoppa – che brucia in un istante – e ripeteva queste parole: “sic transit gloria mundi” (così passa la gloria del mondo).

Oggi non ce n’è bisogno perché è evidente che salire sulla Cattedra di Pietro significa salire su una croce (l’accostamento è stato fatto spesso da Benedetto XVI) e d’altra parte, nel mondo, il gregge che il Pastore romano guida è un popolo di perseguitati.

Non a caso i papi del nostro tempo vengono spesso riconosciuti santi (Francesco nell’intervista lo ha detto anche di Benedetto XVI: “è un santo. È un uomo di alta vita spirituale”).

Gli anni di Benedetto e di Francesco sono molto drammatici: sembra quasi che la fede sparisca e la Chiesa crolli. Diverse volte, nei secoli, la Chiesa è stata considerata finita, ma la guida l’unico che abbia mostrato il potere di uscire dal sepolcro vincendo la morte.

E il mondo non conosce i tanti germogli che sta facendo sbocciare, come non si accorse della sua nascita in una grotta (che gli angeli annunciarono a dei poveri pastori).