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Quegli “imprenditori artigiani” che sfidano la crisi dei tour operator

C’è un “caso”, nel panorama dell’industria turistica italiana, davvero singolare e che nasce da un’intuizione importante negli anni Novanta

C’è un “caso”, nel panorama dell’industria turistica italiana, davvero singolare. Un’impresa dove il Presidente qualche tempo fa disse “Il nostro lavoro fa del bene, contribuisce ad abbattere i pregiudizi. Il paradosso è che siamo considerati venditori del fatuo, quando dovremmo essere il ministero dell’Istruzione”. Lui, il presidente, è Michele Serra, “intellettuale di belle speranze prestato al turismo” (che poi lo ha conquistato), come si autodefinisce.

Presidente, non è che paragonandovi al ministero dell’Istruzione abbia esagerato un tantino?

Ovviamente, ma fino a un certo punto. Oggi si parla tanto di competenze, ma credo che al di là di quello che si possa “insegnare”, occorra provvedere anche e soprattutto a stimolare quello che un ragazzo può nascondere dentro, parlo di skill non cognitive, di attitudini, di curiosità, di disponibilità, di empatie. Se mi si presenta qualcuno che non sa dov’è la Birmania può andare bene, glielo insegnerò, ma se arriva qui uno che cerca un lavoro qualsiasi, senza traccia di passione, diventa tutto più difficile.

Certo che di questi tempi, con la penuria del personale

È vero, si fatica. Per fortuna noi riusciamo a suddividere le nostre forze, aiutando chi si trova più in difficoltà, anche per quanto riguarda il personale, al quale non imponiamo niente, ma spieghiamo la situazione. E abbiamo sempre risposte positive.

Ecco, allora veniamo subito a raccontare questa singolare sorta di mutualità. Come e perché è nata l’avventura del Quality Group?

Devo fare un passo indietro, a metà degli anni ’90. Mistral Tour Internazionale era un piccolo TO fortemente specializzato (praticamente Medio e Estremo Oriente). In quegli anni, grandi gruppi industriali e finanziari cominciavano ad interessarsi al turismo: era l’epoca delle acquisizioni a getto continuo di società e marchi, che venivano poi concentrati in grandi holding, dotate di forti mezzi finanziari, commerciali e tecnologici, con controllo della filiera, standardizzazione del prodotto e dei processi, invasione del mercato con potenti leve commerciali e di marketing. Mistral cercava di difendersi da questa politica così aggressiva sopperendo con la specializzazione, l’agilità operativa e la creatività artigianale alla evidente disparità di mezzi e di risorse. Ma non potevamo non puntare a crescere di dimensioni e di fatturato: avevamo bisogno di consistenti investimenti tecnologici, commerciali e strutturali. In più, la mancanza di un ventaglio adeguato di prodotti non ci consentiva di diventare un partner adeguato per la rete delle agenzie di viaggio. D’altra parte, eravamo consapevoli che più si cresce meno si è specialisti e padroni del prodotto. Eravamo ad un bivio.

E siete arrivati così a Quality Group?

Con un’intuizione: se non volevamo (e non potevamo) crescere da soli, perché non provavamo a crescere insieme ad altri? L’idea era suggestiva: contrapporre al modello delle holding (un solo padrone, tanti brands, organizzati in modo verticale e gerarchico) una “confraternita” di piccoli tour operators artigianali, completamente indipendenti e orizzontali, ma estremamente integrati e compatti; in tal modo, potevamo permetterci tutti i servizi di una grande azienda, mantenendo allo stesso tempo una qualità e un’efficienza che solo i veri specialisti possono offrire. Fu la quadratura del cerchio: sfruttare tutte le caratteristiche vincenti della piccola impresa garantendoci allo stesso tempo tutti i vantaggi dimensionali di una grande azienda: prodotti di qualità artigianale creati con mezzi industriali.

Ma tra il dire, o immaginare, e il fare…

Beh, il passo fu breve: in poco più di sei mesi, i colloqui ad ampio raggio con diversi imprenditori simili a noi portarono alla nascita del Quality Group: era il settembre del 1999. Facevano pare della squadra originale cinque aziende: Mistral Tour Internazionale (Asia e, da qualche anno, anche Perù è Messico), il Diamante (Africa, Russia e Nord Europa); Patagonia World (America Latina e Antartide; poi sostituita da Latitùd Patagonia nel 2012), Brasil World (Brasile, Venezuela, Mesoamerica), Wellington/Australia World (Oceania; poi sostituita da Discover Australia nel 2012). Negli anni successivi, si vennero ad aggiungere America World (Stati Uniti e Caraibi), Europa World (Turchia ed Europa occidentale), Exotic Tour (Malesia, Filippine ed Indonesia). E infine Italyscape, specialista nell’incoming, il brand che oggi, tra i nostri di QG, va decisamente meglio.

Come funziona questa “confraternita”?

Il meccanismo è semplicissimo. Dal 2003 il Quality Group (guidato da me, da Renato Bomben e da Marco Peci) è diventato una società consortile a responsabilità limitata; il peso azionario di ogni singola azienda è determinato dalle dimensioni e dall’anzianità di associazione; i prodotti di ogni singola azienda sono complementari: salvo eccezioni (da valutare di volta in volta), non esiste concorrenza interna, visto che ogni azienda si occupa di una parte diversa del mondo. A inizio anno, l’assemblea societaria determina il budget: i costi vengono suddivisi non in base alle quote societarie, ma alla proporzione del proprio fatturato rispetto al fatturato del gruppo: chi più vende, più paga. Questo vuole anche dire che, in un anno di magra, un’azienda vede proporzionalmente ridotti tutti i costi più importanti, con il risultato di una elasticità straordinaria. Le singole aziende, con i rispettivi marchi, delegano di fatto ogni iniziativa commerciale e di marketing al consorzio, impegnandosi a seguire una politica comune, interfacciandosi con il mercato in modo univoco e coerente.

Sembra tutto molto bello. Ma il mercato vi ha dato ragione?

Lo sviluppo del Quality Group è stato favorito anche da un tempismo provvidenziale: proprio mentre la domanda turistica si faceva sempre più articolata ed esigente, le grandi holdings, che puntavano ai volumi, si strutturavano in maniera industriale, con prodotti rigidi e standardizzati. Ma il mercato, alla ricerca sempre più esasperata di personalizzazione, flessibilità e competenza, ha accolto con grande interesse la proposta del Quality Group. Le agenzie di viaggio, dopo un attimo di iniziale titubanza, hanno sposato con entusiasmo l’idea della “confraternita di artigiani”, promuovendola a punto di riferimento primario per il turismo di qualità: con un solo contratto, potevano stringere un accordo con i migliori specialisti di ogni singolo angolo della terra, avendo tra l’altro garanzia di adeguata solidità finanziaria, coordinamento e assistenza commerciale e operativa a 360 gradi. Il fatturato di Mistral del ’94 era 3,6 mln, nel ’99 con l’inizio del QG era di 25,9 mln, nel 2010 di 103,5 mln. Oggi usciamo da due anni di stop, ed è tutta salita, ma il QG resta il primo gruppo in Italia per dimensioni nel segmento del turismo non di massa (intendendo con questo termine il turismo non operato mediante l’utilizzo di voli charter, villaggi turistici o crociere).

Diceva della salita. Come siete riusciti a superare i due anni di buio totale?

Il nostro è il segmento del turismo che ha sofferto di più, tra frontiere bloccate e voli off limits. Sono stati 18 mesi durissimi, senza lavoro. Siamo sopravvissuti solo grazie agli aiuti che sono arrivati dai decreti di sostegno statale, alle nostre riserve e alla nostra solidarietà. Nel 2021 il fatturato è sceso al 2,5% rispetto al 2019; siamo ripartiti praticamente dallo scorso marzo, e prevediamo di chiudere il 2022 con il 50% sul 2019, che è parecchio di più di quanto temevamo. Personalmente, con Mistral, penso farò il 35%, sarò in coda, visto che il mio riferimento principale è la Cina, con Giappone, Birmania e via dicendo, tutte mète che restano ancora parecchio difficili.

In questo caso, l’osmosi del QG aiuta?

Usciamo tutti dalla pandemia con le ossa rotte e ora siamo in un’altra fase complessa con la guerra in Ucraina. Fare il budget in queste stagioni è dura, ma le prospettive esistono e bisogna guardare oltre. Ma far parte del consorzio Quality è un valore aggiunto incredibile: in questi anni ci siamo scoperti più solidali di un tempo. Sono consapevole del fatto che in questi periodi il peso più grande lo affrontano quelli che sono soli. Siamo in un momento delicato dove stare fermi in attesa degli eventi è un errore. Ma allo stesso tempo ripartire è complesso, visto che stiamo parlando di fatturati ancora fragili. Questo è il momento per finanziare la ricostruzione.

Dalla vostra esperienza sembra che si possa individuare una nuova filosofia.

È vero. Un effetto collaterale non previsto (che è forse l’esito più bello della nostra avventura) è lo sviluppo di una cultura imprenditoriale nuova. Il fatto di aver creato un’aggregazione di imprenditori artigiani, che lavorano fianco a fianco mettendo in comune esperienze, competenze, conoscenze e tentativi, crea un clima umano diverso: viene superata la tradizionale solitudine dell’imprenditore, forzatamente prigioniero dei propri limiti e delle proprie concezioni; c’è un forte stimolo a creare, inventare e rischiare. Personalmente, cerco anche di impiegare gli utili per fini belli, tra sostegni a ONG, riserve accantonate per i tempi bui (che prima o poi arrivano sempre, come abbiamo visto), dare un senso al lavoro, mio e degli altri, insomma.

L’unione fa la forza, dunque, ma fa anche team building…

In realtà, non esiste nulla di simile a QG nel panorama del turismo italiano. Questa constatazione può sorprendere, visti gli evidenti vantaggi e la apparente banalità di un simile modello. Credo che la causa vada ricercata in una ragione di ordine morale (o di buon senso, più semplicemente): se ci si mette insieme, bisogna avere il coraggio di dire addio al delirio di onnipotenza tipico dell’imprenditore italiano: bisogna disporsi a camminare insieme, condividendo le scelte, anteponendo la politica comune al proprio capriccio. Il vantaggio, economico e imprenditoriale, è enorme, ma alle volte l’ambizione può confondere le idee. Ma l’individualismo è una brutta bestia, e gli italiani ne sono spesso schiavi. Non si dice (elaborando il detto di Massimo d’Azeglio) che Dio, accortosi di aver fatto l’Italia troppo bella, volendo compensare, ha fatto gli italiani?…

Fonte: Alberto Beggiolini int. Michele Serra | IlSussidiario.net

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