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Far dialogare scienza e società contro i pericoli della tecnologia

Yuval Harari, il celebre storico israeliano, una volta ha detto che se qualcuno vi descrive il mondo della metà del XXI secolo (ossia tra meno di 30 anni) e vi sembra fantascienza, è probabile che sia falso; ma se qualcuno vi descrive il mondo della metà del XXI secolo e non vi sembra fantascienza allora è certamente falso. È così. Sviluppo scientifico e tecnologico hanno assunto un ritmo talmente elevato che vere e proprie rivoluzioni nei nostri costumi, nel modo di vivere e di stare insieme avvengono non più su scale di secoli o di decenni, ma di una generazione, a volte di pochi anni. In meno di trent’anni siamo passati dalle cabine telefoniche a gettone, ai telefoni cellulari per arrivare ad avere in tasca un potente computer con cui possiamo interagire in tempo reale col resto del pianeta.

Quale sarà il prossimo passo? Lo stesso è avvenuto in tutti i campi. Oggi nei laboratori e nei centri di ricerca di tutto il mondo si studiano e sviluppano tecnologie che cambieranno profondamente il nostro modo di vivere in un prossimo futuro. Si chiamano editing genetico, interazione uomo-macchina, cibernetica, macchine molecolari e nanomedicina, neuroscienze, ingegneria tissutale, intelligenza artificiale e via discorrendo. Se l’attenzione si incentra spesso solo su alcuni di questi sviluppi (come non rimanere affascinati da qualcosa che si chiama sia pure impropriamente ‘intelligenza artificiale’?), è l’insieme di tutte queste tecnologie che porteranno a un nuovo tipo di sapiens, con vite lunghissime e capacità aumentate, in grado di vivere esperienze impossibili sino ad oggi grazie a realtà virtuali del tutto indistinguibili da quelle reali. Ma attenzione: queste tecnologie non saranno accessibili a tutti allo stesso modo. Alcuni, i tecno-sapiens, una minoranza ipertecnologica e privilegiata, le dominerà e utilizzerà a fondo; i più, i vetero- sapiens, saranno fortemente attratti da queste tecnologie ma non potranno accedervi restandone esclusi e con un ruolo marginale nella società.

Se non faremo nulla le disuguaglianze saranno destinate ad aumentare, non a restringersi, con tutti i problemi etici e sociali che questo comporta. uesto scenario, forse un po’ inquie-Qtante ma piuttosto realistico, mo- stra chiaramente come il dialogo tra scienza, società, e istituzioni sia fondamentale affinché la ricerca scientifica e lo sviluppo delle tecnologie che da questa derivano aiutino effettivamente a soddisfare i bisogni umani e migliorare gli standard di vita per tutti, e non solo per pochi. Il problema è che i cambiamenti avvengono ormai con un tale ritmo che la società fatica a registrarne gli effetti e a adottare provvedimenti, sotto forma di leggi o protocolli, che ne limitino gli impatti negativi. Faccio un esempio: una quindicina di anni fa abbiamo cominciato allegramente a regalare molti nostri dati sensibili a società private dando l’accesso ai nostri computer e smartphone, ai nostri profili social, alla nostra posta elettronica, alle nostre foto. Ora scopriamo che questi dati sono una vera e propria miniera ad uso di aziende che, grazie a sofisticati programmi di intelligenza artificiale, conoscono le nostre abitudini, preferenze, persino orientamenti sessuali o politici. Quando abbiamo cominciato a preoccuparci di tutto ciò era tardi, i buoi ormai scappati dalla stalla. I tempi con cui la società e le sue istituzioni decidono sono troppo lenti rispetto a quelli dei cambiamenti tecnologici.

 

E qui arriviamo al tema del dialogo tra scienza e società civile. Ci sono aspetti, alcuni dei quali emersi durante l’emergenza del Covid, che rendono difficile questo dialogo. Il primo è che la scienza non ha risposte certe a tutto. Ci sono cose su cui l’insieme di teorie ed esperienze fornisce solide e non discutibili basi interpretative (le mele cadono dall’albero a terra, non viceversa; il calore passa da un corpo caldo a uno freddo; la Terra è rotonda e non piatta). Ma alle frontiere della conoscenza non ci sono certezze, le evidenze sono parziali e le opinioni possono divergere. La scienza è dubbio ragionato. Sono le ideologie a non avere spazio per i dubbi, non la scienza.

Il secondo aspetto critico è quello del rapporto rischi-benefici. Nessuna attività umana è a rischio zero. Va sempre valutato il beneficio complessivo. Produrre elettricità causa moltissime perdite umane ogni anno (guerre per assicurarsi le fonti energetiche, incidenti agli impianti, incidenti domestici, ecc.). Ma saremmo disposti a rinunciarvi? Sappiamo bene come ci sentiamo inermi e sperduti quando per qualche ragione si verifica una interruzione di corrente a casa nostra. Qui non abbiamo dubbi, i benefici compensano tutti gli aspetti negativi. Noi vorremmo i benefici delle tecnologie con rischi nulli. Questi si possono e si devono ridurre al minimo, ma pretendere di azzerarli è un po’ difficile.

Infine c’è la domanda centrale: la scienza è democratica? E qui la risposta è sì, se si intende che la scienza è un processo dialettico in cui esperti confrontano le proprie conoscenze e le evidenze raccolte per proporre nuovi modelli di interpretazione dei fenomeni naturali. Ma la risposta è no se si intende che nella scienza valgono gli stessi meccanismi decisionali delle ‘democrazie’. Non si vota se è la Luna a ruotare intorno alla Terra o viceversa. Ci vogliono anni e a volte vite intere per conoscere a fondo un problema. Per questo servono gli esperti. La scienza deve fornire pareri informati, sono poi le istituzioni e gli organi politici che devono prendere le decisioni.

E qui interviene un meccanismo psicologico davvero sorprendente. Se si rompe la pompa della benzina della nostra automobile la portiamo dal meccanico; se scopriamo una carie andiamo dal dentista. Non ci verrebbe mai in mente di portare l’automobile a riparare dal dentista o di farci togliere una carie dal meccanico. Lo facciamo perché abbiamo fiducia nel fatto che questi ‘esperti’ ne sanno più di noi e possono risolvere il nostro problema. Tutto cambia quando si passa ad azioni collettive. Di fronte all’evidenza che un vaccino ci può proteggere da una malattia grave molti di noi hanno preferito ignorare il parere degli esperti e assumersi un rischio consistente di ammalarsi piuttosto che uno bassissimo di qualche effetto collaterale. Tutto questo mostra quanto delicato sia il rapporto tra scienziati, decisori politici, e popolazione. Ci affidiamo al meccanico e al dentista perché li conosciamo, ma alcuni di noi (una consistente minoranza) non credono a quanto ci viene suggerito per un generale senso di sfiducia verso la scienza. I risultati sono sotto i nostri occhi.

Come ovviare a questo? La risposta non è facile. Ma una cosa la possiamo fare. Occorre un dialogo più stretto su questi temi. Occorre sviluppare nell’opinione pubblica un interesse su come evolve la scienza, sui suoi meccanismi, su quali sono i cambiamenti che ci aspettano, in una parola occorre aumentare il livello di conoscenza. Questa è la premessa fondamentale per poter sviluppare una consapevolezza sui risvolti sociali, economici, politici ed etici che i cambiamenti in atto produrranno. E sperare che questa consapevolezza si traduca in controllo attraverso l’azione che le istituzioni possono esercitare, non come forma di censura o di freno allo sviluppo delle tecnologie, ma come elemento di indirizzo affinché si minimizzino gli usi potenzialmente dannosi a favore di quelli decisamente positivi. Solo se riusciremo a sviluppare queste tre C, Conoscenza, Consapevolezza, Controllo, potremo sperare che dal nostro enorme bagaglio di saperi emergano anche le soluzioni che servono al Pianeta per garantire in futuro uno sviluppo sociale equo, sobrio e sostenibile per tutti.

 

IL FESTIVAL
Da oggi a domenica le Istituzioni al centro

L’intervento di questa pagina è una sintesi della lectio magistralis su ‘Scienza e istituzioni in un mondo che cambia’ che il Paolo Pacchioni, professore ordinario di Chimica all’Università di Milano-Bicocca, terrà domenica nell’ultima giornata del Festival delle istituzioni che si apre oggi a Catania, organizzato dal Mulino con la Scuola superiore di Catania. Il Festival, alla prima edizione, propone a un pubblico ampio una serie di incontri, lezioni e dialoghi intorno all’idea di istituzione, nelle sue molteplici declinazioni. È disponibile una serie di podcast a questo link: www.mulino.it/podcast/festival-delle-istituzioni

Fonte: Gianfranco Pacchioni | Avvenire.it

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