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«De Mari, condanna ingiusta: Mieli istigava alla pedofilia»

Dopo la condanna in Appello contro il circolo Mieli, parla alla Bussola l’avvocato della scrittrice Silvana De Mari: «Dietro la sentenza motivazioni sociologiche, c’è il sospetto di ambiti che non possano essere criticati», dice Giovanni Formicola: «A processo abbiamo sostenuto che il Circolo Mario Mieli finanziato dallo Stato pone come modello positivo un cantore di pedofilia e coprofagia e non ha mai preso le distanze da quelle posizioni. In Cassazione sarà una buona battaglia per la libertà di espressione: la De Mari ha esercitato un diritto di critica, anzi, un dovere».

«Andremo in Cassazione perché questa è una battaglia di libertà». Dopo la condanna in Appello per il reato di diffamazione nei confronti del Circolo Mario Mieli, il legale di Silvana De Mari commenta la sentenza che ha visto la scrittrice soccombere per la seconda volta nella causa mossale dal circolo intitolato al militante omosessuale. Ma l’ultimo grado di giudizio potrebbe ribaltare tutto.

La De Mari era stata querelata nel 2017 dopo la pubblicazione di alcuni articoli scritti su La Croce Quotidiano, sulla Stampa e sul blog silvanademaricommunity inerenti proprio all’opportunità di intitolare un circolo che si batte per i diritti degli omosessuali ad un uomo che – scriveva la De Mari – «è stato un cantore di pedofilia, necrofilia e coprofagia».

Sotto accusa negli strali della De Mari, infatti, era una frase in particolare di Mieli (ma poi nel processo si rivelerà anche come gran parte dell’unica sua opera contenesse riferimenti espliciti al tema pedofilia) scritta nella pubblicazione Elementi di critica omosessuale (pubblicata nel ’77 per Einaudi, poi per Feltrinelli nel 2002).

Questa: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l’Edipo, o il futuro Edipo, bensì l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. La società repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza, ma il periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una «vita» latente. La pederastia, invece, «è una freccia di libidine scagliata verso il feto».

Parole forti e inaccettabili sotto tutti i punti di vista, nei confronti delle quali la De Mari si era chiesta perché il circolo che porta il nome di Mieli non avesse mai preso le distanze. Il circolo non ha mai negato quelle frasi, ma si era sentito offeso per essere stato tirato dentro l’argomento della pedofilia.

Nella querela presentata dal presidente del Circolo di Cultura omosessuale Mario Mieli, Mario Colamarino, il circolo diceva che andava «contestualizzato il fenomeno dentro la sua opera e la sua epoca». Si riconosceva, però, che l’unica opera di Mieli «è un testo fondamentale del movimento omosessuale», ma sul tema pedofilia, l’associazione diceva: «È del tutto evidente che accusare il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli e i suoi soci di diretto sostegno alla pedofilia, necrofilia e coprofagia equivale a mettere in atto un sillogismo smentito dalla corretta interpretazione delle sue pagine. Un sillogismo volutamente diffamatorio che non ha mai trovato riscontro in alcuna esternazione, rivendicazione o azione concreta attribuibile alle associazioni LGBT del nostro Paese in generale ed al Circolo di Cultura Omossessuale Mario Mieli in particolare».

Alla denuncia è seguito il rinvio a giudizio e la condanna di primo grado presso il Tribunale di Torino pronunciata dal giudice Giulia Marzia Locati. La De Mari era stata condannata a pagare una multa di 1000 euro e un risarcimento di 5000 euro. Ora, con la sentenza di secondo grado del 18 marzo scorso e dopo la pubblicazione delle motivazioni previste entro 90 giorni, la partita sarà indirizzata alla Cassazione dove si svolgerà il terzo e definitivo grado di giudizio.

Giovanni Formicola del foro di Napoli è uno dei tre legali della De Mari (gli altri sono gli avvocati Gianluca Visca e Fabio Candalino) e ha accettato di rispondere alle domande della Bussola per spiegare qual è la posta in gioco di questa vicenda giudiziaria. Una posta in gioco che va al di là della battaglia di idee della De Mari, ma tocca il tema della libertà di critica sul tema omosessualità.

Avvocato, in attesa delle motivazioni della sentenza di secondo grado, è ragionevole sospettare che dietro la condanna ci siano delle motivazioni ideologiche?
Non voglio spingermi a tal punto, sicuramente però esistono delle motivazioni sociologiche che danno l’idea del clima che si respira, un clima in cui è forte il sospetto che ci siano ambiti che non possano essere criticati.

E uno di questi ambiti è proprio l’omosessualità?
L’omosessualismo, diciamo, è il termine più corretto.

Qual è il punto del contendere?
Fondamentalmente questo: la De Mari ha subito un giudizio e poi un secondo perché ha detto in più occasioni che il circolo Mario Mieli inneggia a un cantore della pedofilia e coprofagia e che i suoi aderenti non sono nauseati da questo.

La De Mari scrive: «Non intendo tollerare che un circolo sovvenzionato con denaro pubblico inneggi a pedofilia, necrofilia e coprofagia». Il problema sta in quell’inneggiare.
Abbiamo sostenuto in dibattimento che inneggiare è un effetto ovvio al fatto che il circolo è intitolato a Mieli, il quale non solo disquisiva teoreticamente, ma invitava, anzi istigava è il termine corretto perché sono reati, a praticare quegli atti. La logica ci dice che se io intitolo un circolo a Adolf Hitler, non lo intitolo perché amo gli animali, ma per lo sterminio degli ebrei.

Ha fatto questo esempio in tribunale?
Sì, il giudice, anche nella sentenza di primo grado, ha argomentato con un contro esempio: se uno intitola un circolo a Baudelaire non è che per forza debba inneggiare all’uso degli stupefacenti visto che il poeta faceva largo uso di assenzio.

E come ha replicato?
Che se uno pensa a Baudelaire istintivamente non pensa alla droga, ma alla poesia.

Invece per Mieli?
Invece bisogna inquadrare il personaggio di Mieli: ha scritto un solo libro e ha portato avanti questi temi. E in questo mi sento di criticare la motivazione del giudice di primo grado che riconosceva quei passaggi sulla pedofilia come «problematici» ma aggiungeva che «questi passaggi non caratterizzano il suo pensiero». Invece le cose non stanno così.

Si spieghi?
Nella sua opera Mieli parla più volte di «fare l’amore con i bambini», di pederastia come desiderio erotico, di rapporti sessuali di bambini con adulti. Ma c’è dell’altro.

Cosa?
Lo psicanalista Tim Dean, che redasse l’appendice dell’edizione 2002 di Elementi, ha affermato che «nel processo politico di ristrutturazione della società (…) Mieli non esita a includere nel suo elenco di esperienze redentive la pedofilia, la necrofilia e la coprofagia». Ora che questo aspetto sia caratterizzante mi sembra palese…

Eppure, il giudice di primo grado ha ritenuto che così non fosse, in attesa di capire se anche il secondo giudice la pensa nello stesso modo.
Ma non tocca al giudice dirlo né può avventurarsi in una ermeneutica filosofica, ma verificare solo se la critica abbia un fondamento fattuale e nel caso c’è tutto, come la semplice lettura di Elementi… attesta chiaramente. Mieli incitò a queste pratiche tanto che un suo commentatore le ha inserite nell’esegesi. La questione è questa, tutto il resto è ideologia.

Secondo lei, dunque, il Mario Mieli dovrebbe prendere le distanze da quelle frasi?
Sarebbe il minimo, ci chiediamo come mai non abbiano mai fatto una postilla di questo genere… In ogni caso, queste parole sono dominanti nel pensiero di Mieli e inscindibili dalla sua figura. Non sappiamo se abbia praticato la pedofilia, ma l’ha teorizzata, questo è sicuro e nella sua disperata vita ha inneggiato ad essa. Da parte della De Mari, più che un diritto di critica c’è un dovere, che stupisce sia stata solo lei ad osservare.

Dove sta la gravità?
L’ho chiesto durante il dibattimento: pensate se anche solo una persona avesse preso sul serio Mieli e si sia dedicato a queste pratiche. Pensate anche a solo una persona. Ecco, dare il nome, vale per una piazza ma anche per un circolo, significa attribuire un titolo positivo, proporlo come modello.

C’è poi il tema dei finanziamenti dell’Unar di cui gode il Mario Mieli. Erano intervenuti anche diversi deputati e senatori come Giovanardi, Malan, Gasparri e Formigoni
Per le sue attività il Circolo riceve un contributo statale e in questo modo dignifica vieppiù il nome di cui è portatore. Se lo Stato lo finanzia significa che lo Stato ne legittima anche il pensiero.

Che cosa si aspetta dalla lettura delle motivazioni della sentenza?
Non molto per la verità, di sicuro ricorreremo in Cassazione perché questa è una buona battaglia. La De Mari non andrà in carcere, ma non può essere condannata, anzi semmai bisognava premiarla per aver denunciato che un circolo intitolato a uno che inneggia alla pedofilia prende soldi dallo Stato.

Fonte: Andrea ZAMBRANO | LaNuovaBQ.it

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