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Orientamento dopo le medie: l’aiuto di Dante, meno teoria e più realtà

L’orientamento dei ragazzi alla conclusione della scuola media è una gran bella sfida per tutti: docenti e famiglie. Un’ipotesi di lavoro

Prendiamoci una pausa da green pass e affini e occupiamoci un istante di una delle responsabilità più impegnative: quella di contribuire a orientare i nostri studenti delle medie nella scelta della scuola secondaria di secondo grado; un impegno notevole, in questo periodo, per giovani e adulti.

Va segnalato un grande paradosso: uno dei passaggi più significativi della vita è un passaggio e contemporaneamente una continuità. Fino al compimento del 16esimo anno siamo infatti ancora all’interno dell’obbligo scolastico; la normativa addirittura consente di passare da un indirizzo all’altro, al termine del primo anno, senza prove particolari. Si tratta di un tentativo, poi interrotto, di pensare a un biennio comune a tutti gli indirizzi, con materie obbligatorie e altre opzionali, una bella ipotesi poi rimasta nella penna del legislatore.

Ora comunque siamo di fronte a un sistema strutturato secondo l’articolazione dei licei, degli istituti tecnici e dei professionali: siamo ancora qui. Come aiutare i nostri ragazzi a scegliere? A decidere?

Questi sono giorni preziosissimi per ragazzi, genitori e docenti. È tutta una corsa agli open days, a una febbrile consultazione dei siti, per i docenti di scuola media di altrettanto frenetici impegni tesi alla compilazione del giudizio orientativo. Prendiamoci un po’ di respiro. Mi piace pensare al secondo canto dell’Inferno, quando il Poeta descrive fiorellini illuminati dalla luce del sole:

Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,
si drizzan tutti aperti in loro stelo.

E se lo sguardo amoroso del docente (ma non solo: lo sguardo del genitore, dell’allenatore, del/della catechista, dell’adulto, ma anche del pari) riuscisse ad illuminare la scelta del preadolescente, ad orientarlo davvero verso un’ipotesi luminosa che prenda in esame le sue peculiarità e lo accompagni a scegliere non ciò che banalmente “piace”, ma ciò a cui le sue attitudini sembrano essere più disposte, ad aiutarlo a “sbocciare”?

Lo si è già sottolineato, troppo spesso la scelta è determinata da pregiudizi che, alla prova dei fatti, generano enorme delusione e frequenti cambi di indirizzo. Il mondo delle professioni è radicalmente cambiato, ma pochi professionisti della scuola lo conoscono, non si tratta di piegare la scuola al mercato del lavoro, ma di guardare con stima la ragazza o il ragazzo e di scovare in lui quelle attitudini, quelle passioni che lo favoriranno nella scelta degli studi.

Invece, persino con i casi più clamorosi, quelli degli artisti per esempio, sono ancora gli stereotipi a vincere: se prende buoni voti lo si orienta al classico e allo scientifico, altrimenti “giù giù”, tecnici e professionali.

Ci sono musicisti forzatamente iscritti in indirizzi totalmente sordi alle loro capacità, pittori e scultori in pectore che frequentano svogliatamente corsi senza un’ora destinata alle arti…

Ancora Dante ha parole di fuoco per chi torce contro natura l’indole:

Sempre natura, se fortuna trova
discorde a sé, com’ ogne altra semente
fuor di sua regïon, fa mala prova.

 E se ’l mondo là giù ponesse mente
al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente.

Ma voi torcete a la religïone
tal che fia nato a cignersi la spada,
e fate re di tal ch’è da sermone;

onde la traccia vostra è fuor di strada.

Egli pensava inevitabilmente a una società gerarchica come quella della sua epoca, ma anche noi rischiamo di cadere negli stessi errori. Non si tratta di rinunciare a utilizzare i criteri di valutazione tipici del sistema scolastico, giudizi o voti che siano, ma di utilizzare i primi mesi dell’ultimo anno di scuola media in una prospettiva di valutazione formativa e dunque orientativa.

Lasciamo “parlare” la personalità di chi abbiamo davanti, non sovrapponiamoci alla ricchezza della sua originalità, osserviamo con rispetto e libertà, senza lasciarci determinare esclusivamente dalla visione scolastico-centrica.

Ho trovato nei giudizi della scuola d’infanzia competenze valutative molto acute, attente ad aspetti che nei gradi superiori appaiono trascurate, quasi che i giudizi dei gradi superiori di scuola non riescano a scovare attitudini e stili cognitivi che aiuterebbero ragazzo e famiglia a decidere con maggior cognizione di causa.

È evidente come questo tema incroci quello delle life skills e del character di cui si è letto molto anche di recente. La scuola, se vuole continuare ad essere un luogo capace di orientare, di illuminare il futuro di chi le sia affidato deve trovare il tempo per una didattica orientativa. Ancora un’altra materia? No, un modo più responsabile di accompagnare i ragazzi, valorizzando, apprezzando ciò per cui sono più dotati, non semplicemente operando scelte selettive, anche un po’ anacronistiche.

Professioni che un tempo potevano sembrare facili, e quindi aggredibili anche da chi non esprimesse particolari attitudini, ora sono diventare estremamente complesse.

Paghiamo una cultura fortemente idealistica, davvero fuori moda: abbiamo provato ad analizzare il manuale utilizzato in un’officina meccanica? E quello di un floricultore? E le procedure di una cena di gala di uno chef? Professioni da istituti professionali, ma con competenze sicuramente paragonabili a tanta licealità.

Che il greco, il latino possano costituire una forma mentis tuttora molto stimata anche dal mondo delle professioni, oltre che ovviamente dall’Accademia, e che di logica matematica ci sia un gran bisogno (non solo nel Pnrr) non c’è dubbio, ma l’osservazione sistematica può servire ad un accompagnamento più autorevole e responsabile nella scelta.

Penso soprattutto a chi non abbia accanto genitori molto “attrezzati”, soprattutto ai nostri ragazzi non nativi, per i quali le carenze linguistiche (di norma destinate ad essere colmate con buoni supporti) rischiano di impedire scelte più “ambiziose” e coerenti ai talenti.

Per chiudere: colleghi (ma non solo), prendiamo sul serio questo preziosissimo tempo per accompagnare i nostri ragazzi. È un’occasione unica di costruzione di bene comune a cui la scuola, ma anche la società tutta, non possono sottrarsi.

Qualche istruzione per l’uso: più lavoro d’équipe, anche con professionisti esterni, un accompagnamento privilegiato a genitori di studenti non italofoni, una maggiore conoscenza da parte dei docenti delle caratteristiche dei curricula e delle nuove professioni, ore di laboratorio “orientative”, uno sguardo più “spregiudicato” a quello che il ragazzo è, non solo a ciò che sa.

Chiediamo in questa sfida, con modestia, aiuto anche ad altri professionisti: si fa cultura anche altrove, non solo a scuola.

Fonte: Maria Grazia Fornaroli | IlSussidiario.net

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