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L’accento unico del carisma di don Giussani

Comunione e Liberazione, l’incontro con una fede «che ci convince», il decreto del Vaticano sui movimenti. La lezione di Giancarlo Cesana

Pubblichiamo una sintesi dell’intervento pronunciato da Giancarlo Cesana il 4 novembre scorso presso la Univesidad Abat Oliba di Barcellona, un utile contributo al giudizio sui problemi aperti nel movimento di Comunione e Liberazione dal decreto generale Le associazioni di fedeli promulgato dal Dicastero vaticano per i laici, la famiglia e la vita e dalle recenti dimissioni di don Julián Carrón da presidente della Fraternità di Cl.

Il video dell’incontro con Cesana, organizzato dall’associazione è disponibile qui sotto e su YouTube a questo indirizzo. Gran parte degli spunti sono sviluppati a partire dagli appunti della Giornata di inizio anno degli adulti e degli studenti universitari di Cl, tenuta dallo stesso Carrón sabato 25 settembre.

Sugli stessi argomenti, in particolare sul decreto vaticano relativo alle guide dei movimenti cattolici e ai loro carismi, Tempi ha ospitato nei mesi scorsi un altro contributo di Cesana e una riflessione di Alberto Frigerio, oltre alla spiegazione offerta dallo stesso papa Francesco agli interessati il 16 settembre scorso. Di utile lettura sono inoltre le ragioni della nomina di monsignor Filippo Santoro come delegato speciale del Pontefice per i Memores Domini, associazione dei laici consacrati di Cl, anche se la situazione dei Memores e quella del movimento di Cl in generale sono sovrapponibili solo in parte.

Che cos’è un carisma? Un carisma è ciò che fa vivere quello che altrimenti sarebbe morto. Anche laicamente si dice che una persona ha carisma quando è capace di affascinare e coinvolgere la vita di chi ascolta. Cristianamente il carisma è il dono dello Spirito Santo fatto attraverso persone particolari alla Chiesa per suscitare la vita cristiana. I santi sono dotati di carisma. L’autorità della Chiesa ha il carisma della guida, per aiutare a crescere.

L’attualità del carisma quindi in che cosa consiste? Nel fatto che ciò che ha suscitato come vita continua a vivere. Quindi l‘attualità del carisma di don Giussani cos’è? Il movimento che lui ha fondato e che è ancora vivo e che rende convincente la proposta cristiana per chi lo incontra. Qui potremmo finire perché è detto praticamente tutto. Vale tuttavia la pena di riprendere la lezione di inizio d’anno del presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Julián Carrón, il 25 settembre scorso, proprio sul carisma.

La grazia del carisma nella tempesta

L’inizio di Carrón è drammatico. Dice: «Nessuno avrebbe potuto immaginare che saremmo stati chiamati a rendere testimonianza della grazia del carisma», cioè del dono che ci è stato fatto della vita cristiana, «in mezzo alla tempesta». Nel fascicolo che riporta la trascrizione della lezione c’è un’immagine della barca di Gesù con gli apostoli durante la tempesta nel lago di Tiberiade: una tempesta molto pericolosa, i discepoli avevano paura di morire. Di che tempesta parla Carrón? C’è un accenno a una tempesta che riguarda tutta la Chiesa, più avanti nel testo: la «continua emorragia di adesioni a Cristo e alla fede». Anche il nostro movimento è colpito da questa crisi numerica. Ma la preoccupazione di Carrón probabilmente non è soprattutto questa. La preoccupazione di Carrón riguarda l’ultimo provvedimento del Dicastero dei laici, l’istituzione vaticana che si occupa delle associazioni laicali e delle famiglie. Il Dicastero chiede che le cariche di guida di dette associazioni siano limitate a 5 anni ripetuti due volte, quindi un massimo di 10 anni, dopo di che bisogna cambiare. Quindi la tempesta e la sua minaccia sembra essere la tentazione di sostituire con una regola il carisma.

Perché noi siamo rimasti

Il Dicastero dice esplicitamente che la nuova norma è introdotta per prevenire abusi, perché in effetti nei movimenti si sono determinate delle situazioni abbastanza difficili e a volte incresciose. Carrón al timore della tempesta reagisce immediatamente dicendo che anche l’esperienza di questi ultimi due anni – cioè l’esperienza del Covid con tutto quello che ha determinato di isolamento e di ostacolo all’incontro –, ci ha insegnato che «niente può impedire che possa accadere quello che il nostro cuore attende». Perché il carisma è la risposta a quello che il nostro cuore attende. E il primo fatto da cui noi comprendiamo che non c’è nessun impedimento all’incontro con ciò che aspettiamo e desideriamo, è che siamo rimasti. Siamo qua. Nonostante così tanta gente abbia perso la fede e vada via dalla Chiesa, noi siamo qua.

Carrón cita san Paolo quando dice alla comunità dei Colossesi: «Nessun dono di grazia ci manca». Cioè quello che cercavamo ci è stato dato e ci ha preso. E aggiunge: «Se noi siamo qui, se non apparteniamo al deserto», al nulla, all’assurdo come molti, «è per la grazia che abbiamo ricevuto, per la grazia del carisma donato dallo Spirito Santo a don Giussani in funzione di tutta la Chiesa». Perché i casi sono due: o Dio c’è, o la vita è assurda. C’è un romanzo che don Giussani ci aveva invitato a leggere anni fa, si intitola Ilia ed Alberto di Angelo Gatti; questo romanzo è la storia di due coniugi: il marito è agnostico, la moglie credente. La moglie muore; il marito si dispera e va a parlare con il direttore spirituale della moglie, il quale dice al marito (cito a senso): “Vede, se Dio non esiste, tutto è assurdo. La vita è assurda, non ha scopo. Se Dio esiste la vita è un mistero. Io preferisco questa seconda ipotesi”. Noi se siamo qui è perché abbiamo percepito la concretezza di questa seconda ipotesi.

Per me il cristianesimo era morto o pressappoco. Incontrando don Giussani mi sono entusiasmato, non solo alla proposta di don Giussani, ma anche a tutto quello che lui rappresentava: la Chiesa di Dio, con il suo popolo e il suo clero, le cui prediche sopportavo a fatica. Infatti dice don Giussani: «Ero profondamente persuaso che una fede che non potesse essere reperta e trovata nell’esperienza presente», che non interroghi la ragione e la libertà – perché l’uomo è ragione e libertà –, «non sarebbe stata in grado di resistere in un mondo dove tutto, tutto, diceva e dice l’opposto».

Il carisma secondo don Giussani

Che cosa ha attratto me nella proposta di don Giussani? Che cosa caratterizza il carisma? Il dono che è stato fatto a don Giussani in che cosa consiste? In che cosa consiste la capacità di don Giussani di coinvolgere così tante persone? Cito Giussani medesimo dall’appendice di Alla ricerca del volto umano (BUR Rizzoli, 2007). «Il carisma di Comunione e Liberazione potrebbe essere descritto così», sono tre punti.

Primo, «un’insistenza sulla memoria di Cristo come affermazione dei fattori sorgivi dell’esperienza cristiana». La memoria è ciò che costituisce il mio presente adesso, non è semplicemente un ricordo, ma quello che so di essere. Il fattore costituente della mia vita è questo fatto: Gesù Cristo come senso della vita. Il senso è quello che mette insieme le cose, che lega le cose l’una all’altra. Il senso è il rapporto che mette in relazione il particolare col tutto.

Secondo, «l’insistenza sul fatto che la memoria di Cristo non può essere generata se non nella immanenza ad una comunionalità vissuta». Voi perché credete a Gesù, lo avete visto? Lo sognate di notte? Quando Lo pregate vi appare in una grande luce? A qualcuno è successo, di norma no. A me no. Io credo in Gesù perché ho visto una unità, un’affezione tra gli uomini assolutamente insolita e imprevista. La gloria umana di Cristo, e cioè l’umanità rinnovata da Cristo. Perché la gente crede, perché la gente si converte? Perché trova un’umanità più vera. E in che cosa consiste questa umanità più vera? Nel fatto che «vi amate gli uni gli altri come io ho amato voi», in un affetto e in un sostegno reciproco nella comunione. Quando andiamo a prendere l’eucarestia che cosa facciamo, un gesto magico? O riconosciamo che nell’ostia c’è la presenza che tiene viva questa esperienza di umanità diversa; presenza senza la quale questa umanità non ci sarebbe? Don Giussani è colui che io ho sentito unico, praticamente, a sottolineare l’importanza della comunione in cui si capisce chi è Gesù.

Il terzo punto: «Un’insistenza sul fatto che la memoria di Cristo inevitabilmente tende a generare una comunionalità visibile e propositiva nella società», cioè la presenza nell’ambiente. Da che cosa, diceva Gesù, riconosceranno che io sono venuto? Dalla unità che vivete tra di voi. Dove? Nella città, nel lavoro, nella scuola.

Dal grido alla preghiera

Carrón, procedendo nella sua lezione, cita Lady Gaga nella canzone Shallow dove dice: «Dimmi una cosa ragazza:/ sei felice in questo mondo/ o hai bisogno di qualcosa di più?/ C’è qualcos’altro che stai cercando?». Questo per indicare che in tutti gli uomini c’è una tensione, un grido, un anelito che don Giussani chiama senso religioso, a cui si rivolge la proposta cristiana. Voglio solo avvertire di una questione. Nel suo testo più importante e noto, Il senso religioso, Giussani dice che cos’è l’esigenza umana a cui il carisma, la proposta di Cristo risponde in modo così efficace da coinvolgere le persone? Non è semplicemente un grido… Sì, è anche un grido, almeno come inizio. Il grido è l’espressione di colui a cui sembra di annegare e non sa più cosa fare. Ma questo non basta, perché il grido è carico di ambiguità, determinate dall’ambiente in cui viviamo e determinate anche da noi stessi. La profondità del nostro cuore, quello che sta dietro il nostro grido è la domanda di bello, di giusto, di vero. Ma tale domanda dev’essere liberata, ripulita dalle scorie dell’ambiguità e della confusione. È necessaria un’ascesi. Ascesi vuole dire salita: fatica, come quando si va in montagna.

Per questo noi dobbiamo vivere la memoria di Cristo nella comunione e nella presenza nell’ambiente, così che il nostro cuore si purifichi confrontandoci con gli altri, gli altri che sono nostri fratelli, e coloro che nell’ambiente ci provocano e ci sfidano. Se uno è innamorato di una ragazza ma non lo dice, vuol dire che non è sicuro, che la sua esigenza e quello che ha incontrato non è ancora vero. Il grido dev’essere trasformato in domanda, e poi, ancora di più, in preghiera. Perché è la domanda che individua l’interlocutore, che nella preghiera è Dio, da cui la vita e tutto dipendono. Questo è il senso religioso.

Alla ricerca di «presenze significative»

Carrón continua affermando che è fondamentale trovare – «intercettare», dice Giussani – delle «presenze significative». Cioè: la cosa più importante nella vita, più importante di tutto – di tutto! –, è avere qualcuno a cui domandare, avere qualcuno di cui ci si fida per la risposta. Se no come facciamo a stare al mondo? Per intercettare presenze significative non basta star lì seduti ad aspettare che succeda chissà chi, bisogna muoversi, bisogna alzarsi, bisogna mettersi in azione. Perché è così che si forma la coscienza di quello che siamo, quella che poi Carrón chiama autocoscienza, la cui spiegazione affida a don Giussani in un audio che pure è stato presentato alla giornata di inizio d’anno.

Autocoscienza come amore a un altro

«La novità della vita», dice don Giussani, «è in proporzione del maturarsi di questa coscienza di sé, di questo sentimento di sé, di questo sguardo e gusto di sé»: l’io, questo fatto irriducibile che sono io. Ma dice don Giussani: c’è una legge che determina l’insorgenza di questa coscienza di sé. La legge è amare un altro. La coscienza di un innamorato è nel rapporto che lui ha con lei, perché è da lei che dipende lo sviluppo della sua persona; può dire di sé “sei tu che mi fai”. Noi siamo fatti per un rapporto, non siamo fatti per vivere come monadi. Non ci siamo fatti da noi, noi non ci facciamo da noi adesso. C’è qualcosa, o meglio qualcuno, che tiene su la nostra vita e che è più grande di noi. La coscienza è la consapevolezza di questa presenza.

Noi dobbiamo imparare ad amare, ma per imparare ad amare gli altri bisogna amare se stessi. Perché, come dice Gesù, la misura dell’amore che hai per l’altro è l’amore che hai per te. «Ama il prossimo tuo come te stesso». Non “all’infinito” o “più di quello che puoi”, ma «come te stesso». Però per amare te devi essere amato, devi riconoscere chi ti vuole bene. Don Giussani cita un poeta italiano, Gabriele D’Annunzio, che afferma di sé: «Io ho quello che ho donato». È la frase che dicono tutti quelli che si occupano di dare agli altri: io do agli altri, e quindi io sono perché do agli altri. Giussani dice che «la frase giusta» è un’altra: «Io ho, io sono, io consisto, io ho quello che sono stato donato». Sono stato voluto. Questa è la coscienza, o l’autocoscienza come la chiamano don Giussani e Carrón, da cui scaturisce l’affezione a sé e all’altro. Cioè: il fondo della nostra coscienza, che poi è il fondo del senso religioso, non è semplicemente il nostro pensiero, è un nucleo di domande ed esigenze che ci è stato messo dentro. È l’avvertimento di quello per cui siamo fatti, del destino, di Chi ci attende.

Il contrario dell’arbitrarietà

Quindi la coscienza è il contrario dell’arbitrarietà, del “mi pare e piace”, è il riconoscimento del vero, anche se ciò che è vero può essere contro di noi. Nel perseguire le cose vere, nel cercare le cose vere, non c’è niente di spontaneo. Non è che non sia semplice, non è spontaneo perché richiede sacrificio, cioè richiede di amare la verità più di se stessi. Come dice il salmo delle lodi del lunedì: «La Tua grazia vale più della vita», perché se non c’è la Tua grazia non c’è neanche la vita. Io per essere devo essere voluto. Noi facciamo tutto quello che facciamo perché gli altri ci apprezzino, perché ci vogliano bene, e carichiamo noi stessi e gli altri di un enorme ricatto affettivo. Come sarebbe diversa la vita se noi agissimo non per essere voluti bene, ma perché noi siamo voluti bene! È una coscienza completamente diversa dell’io, della realtà e del senso delle cose.

«È diventato uno»

Questo mistero che è Dio, «questo Dio ineffabile», dice don Giussani, «questo Tu» a cui noi ci rivolgiamo, «senza occhi, naso e bocca», «è diventato un uomo», si comunica attraverso degli uomini, attraverso la comunità cristiana. L’«autocoscienza, dunque, è coscienza della Sua presenza», della Sua presenza tra di noi. «Un Altro che mi costituisce dal fondo di me, questo Altro è diventato uno a cui dire: “Tu”, ma col volto, con gli occhi, il naso e la bocca!». Per cui noi, come gli apostoli possiamo dire: “Anche noi non comprendiamo niente di quello che Tu dici, anche noi comprendiamo molto poco del grande mistero che è la vita, ma se andiamo via da Te, se andiamo via dalla nostra comunione, dalla nostra amicizia, dall’affetto reciproco tra di noi, dove andiamo? Dove troviamo altre parole che diano la vita?”. «Insomma», dice don Giussani, «l’autocoscienza è la fede». E che cos’è la fede? La fede è riconoscere una presenza cui ci si affida, come avviene anche nei momenti fondamentali della vita, nel matrimonio, nell’amicizia, nella compagnia di un lavoro comune.

Riconoscere un maestro

Don Giussani insiste molto sul mattino, e fa bene perché al mattino, come dice il canto delle suore di Vitorchiano, le cose «si destano dal buio», vengono fuori dal buio della notte com’era al principio del mondo, e quindi è un mondo che noi dobbiamo riscoprire da capo. Dobbiamo fare memoria, ricordarci quello che siamo, di che cosa siamo fatti: «Il tradimento più ignobile è la dimenticanza, la distrazione», vivere come se il problema e la domanda del destino non ci fossero. Ma allora cosa possiamo fare? E qui don Giussani torna a quello che diceva Carrón: dobbiamo riconoscere un maestro, dobbiamo riconoscere qualcuno da seguire, perché questo mistero grande non ci ha lasciati da soli, ci ha indicato una strada, la strada della Chiesa, della comunità cristiana.

A questo punto don Giussani parla dell’autorità, che garantisce lo svolgimento ordinato della ricerca della vita, e che segnala i punti di riferimento. Però, l’autorità «non è affatto l’immedesimarsi con la persona», intendendo con questo “io faccio tutto quello che l’autorità dice, e faccio tutto quello che fa lei, così sono a posto”, che è il modo in cui il 90 per cento, anche di più, vive il rapporto con l’autorità, una sottomissione acritica, opportunistica e quindi sleale. Bisogna invece essere leali, dire e fare quello che si pensa in un confronto deciso e continuo. L’autorità può essere una persona «più pidocchiosa di te, possessiva di te, con la testa piccola». Bisogna immedesimarsi non con lei ma con i valori che porta e che segue. I valori sono «tutto ciò che ti fa capire e ti allena a proporzionare al destino», al suo significato, «l’istante».

L’autorità nella Chiesa

Anche l’autorità nella Chiesa è un dono fatto da Dio al suo popolo per aiutarlo nel cammino. Essa indica e garantisce lo sviluppo ordinato dei carismi, presenze significative, non nominate né elette, ma sante , fattori di conversione, convincimento e correzione, magari anche di papi come fece santa Caterina da Siena. E in questo modo, «col tempo che passa», cioè partecipando di questa comunione, di questa autorevolezza, di questo modo concreto di essere e di vivere, «diventa sempre più evidentemente e direttamente Cristo l’unico maestro», cioè l’origine di tutto quello che viviamo, dell’amicizia che viviamo, della coscienza di noi stessi.

Carrón allora conclude, individuando la natura della tempesta che ci ha sorpreso. Come dice Giussani: «L’importante nella vita è riconoscere il maestro! Perché non lo si sceglie il maestro: lo si riconosce!». Ma, sottolinea Carrón, «come riconoscerlo in questo momento in cui la Chiesa ci chiama a cambiare la guida secondo i criteri indicati da decreto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita a tutti i movimenti e aggregazioni laicali, dopo il necessario e conseguente adeguamento dello statuto?». Risponde lo stesso Carrón, citando don Giussani. Il maestro e la sua autorevolezza non si identifica solamente con ruoli e funzioni istituzionali, ma «è il luogo dove il nesso tra le esigenze del cuore e la risposta data da Cristo è più limpido, più semplice e più pacifico». Attraverso «uomini che Dio ci ha fatto incontrare», procediamo nella strada di «un movimento guidato in cui vive la sequela di Cristo». «Il Signore è venuto a portare una vita, non una organizzazione… in una società come questa non si può creare qualcosa di nuovo se non con la vita… è solo una vita diversa e nuova che può rivoluzionare strutture, iniziative, rapporti, insomma tutto».

Così anche il timore di una tempesta legata all’introduzione di regole che ridefiniscono l’esercizio della guida non scalfisce «l’accento unico del carisma», che si è diffuso segnando le persone che lo hanno e abbiamo incontrato, che ci corrisponde, che ci convince, che ci trascina e che «rende persuasive tutte le dimensioni della» nostra «vita», per noi e per gli altri. Conclude Carrón tornando alla certezza piena di speranza con cui ha aperto la lezione: «Per questo, possiamo dire: nessun dono di grazia più ci manca per affrontare la nuova tappa del nostro cammino».

Fonte: GianCarlo CESANA | Tempi.it

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