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Ecco le tradizioni più famose in Italia nel giorno della festa dei defunti

La mappa della tradizioni regione per regione che si tengono il 2 novembre. Zucche, tavole imbandite, “ossa di morto”, processioni notturne: così viene ricordata questa giornata

Ecco le tradizioni più note in Italia nel giorno della festa dei defunti. Il 2 novembre, oltre e recarsi nei cimiteri per omaggiare e pregare le anime dei morti, in molte regioni si ripetono ogni anno anche eventi ancestrali e festosi.

Prima di raccontarvi le tradizioni, che si svolgono nel giorno della commemorazioni dei defunti, ecco tre curiosità poco conosciute, sulla festa del 2 novembre.

1) Chi ha scelto la data?

L’abitudine di pregare per i defunti è antica come la Chiesa, ma la festa liturgica risale al 2 novembre 998, quando venne istituita da Sant’Odilone (Mercoeur, 961 – Souvigny, 1049), monaco benedettino e quinto abate di Cluny, nel sud della Francia (Aleteia, 29 ottobre 2010).

Odilone era molto devoto delle anime del Purgatorio, al punto che tutte le sue preghiere, sofferenze, penitenze, mortificazioni e messe venivano applicate per la loro liberazione dal purgatorio. Si dice che uno dei suoi confratelli, di ritorno dalla Terra Santa, gli raccontò di essere stato scaraventato da una tempesta sulla costa della Sicilia. Lì incontrò un eremita, il quale gli raccontò che spesso aveva udito le grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta insieme a quelle dei demoni che gridavano contro lui, l’abate Odilone. 

Costui, all’udire queste parole, ordinò a tutti i monaci del suo Ordine cluniacense di fissare il 2 Novembre come giorno solenne per la commemorazione dei defunti. Da allora, quindi, ogni anno la “festa” dei morti viene celebrata in questo giorno (Famiglia Cristiana, 2 novembre 2018).

2) Perchè il giorno dopo la festa di Ognissanti?

La Chiesa ha scelto in maniera ponderata e non casuale di festeggiare la commemorazione dei defunti morti il giorno dopo la festa di Ognissanti.

Nella professione di fede del cristiano noi affermiamo: «Credo nella santa Chiesa cattolica, nella comunione dei Santi». Per “comunione dei santi” la Chiesa intende l’insieme e la vita d’assieme di tutti i credenti in Cristo, sia quelli che operano ancora sulla terra sia quelli che vivono nell’altra vita in Paradiso ed in Purgatorio. In questa vita d’assieme la Chiesa vede e vuole il fluire della grazia, lo scambio dell’aiuto reciproco, l’unità della fede, la realizzazione dell’amore».

Dalla comunione dei santi, scrive ancora Famiglia Cristiana, nasce l’interscambio di aiuto reciproco tra i credenti in cammino sulla terra i credenti viventi nell’aldilà, sia nel Purgatorio che nel Paradiso. La Chiesa, inoltre, in nome della stessa figliolanza  di Dio e, quindi, fratellanza in Gesù Cristo, favorisce questi rapporti e stabilisce anche dei momenti forti durante l’anno liturgico e nei riti religiosi quotidiani.

3) Quale è il significato?

La Chiesa è stata sempre particolarmente fedele al ricordo dei defunti. La speranza cristiana trova fondamento nella Bibbia, nella invincibile bontà e misericordia di Dio. «Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!», esclama Giobbe nel mezzo della sua tormentata vicenda.

Non è dunque la dissoluzione nella polvere il destino finale dell’uomo, bensì, attraversata la tenebra della morte, la visione di Dio. Il tema è ripreso con potenza espressiva dall’apostolo Paolo che colloca la morte-resurrezione di Gesù in una successione non disgiungibile. 

I discepoli sono chiamati alla medesima esperienza, anzi tutta la loro esistenza reca le stigmate del mistero pasquale, è guidata dallo Spirito del Risorto. Per questo i fedeli pregano per i loro cari defunti e confidano nella loro intercessione. Nutrono infine la speranza di raggiungerli in cielo per unirsi gli eletti nella lode della gloria di Dio.

Le tradizioni in Italia

Ecco invece, alcune tradizioni che si ripetono in Italia, nel giorno della festa dei defunti.

In Valle d’Aosta si preparano delle pietanze in più da lasciare sui davanzali per i morti, che in caso contrario alzano un vento che fa circondare la casa di un gran rumore, chiamato “tzarivari”.

Nel Piemonte, si era soliti lasciare per la cena un posto in più a tavola riservato ai defunti tornati a visitare la casa. In Val d’Ossola, dopo la cena, tutte le famiglie si recavano al cimitero, lasciando ai morti la possibilità di ristorarsi in pace nelle case vuote. Il rientro dei vivi si annunciava dal suono delle campane affinché i defunti potessero ritirarsi prima del loro arrivo.

“Pan dei morti” e tavola apparecchiata

In Lombardia, a Bormio (Sondrio), la notte del 2 novembre è d’uso mettere sul davanzale, per le anime dei morti, una zucca scavata e piena di vino mentre in casa si imbandiva la tavola per la cena. Nella zona di Vigevano e in Lomellina vi è invece l’usanza di lasciare in cucina un secchio d’acqua fresca, una zucca piena di vino e nel camino il fuoco acceso, con le sedie lasciate attorno al focolare. Sulle tavole milanesi non è inusuale trovare quello che viene chiamato “il pan dei morti”. E’ preparato sostanzialmente con biscotti tritati, amaretti, mandorle, cannella e noce moscata. Vengono fuori una specie di “biscottoni” che ricordano in parte gli amaretti natalizi.

In Trentino le campane suonano per richiamare le anime. Dentro casa si lascia una tavola apparecchiata e il focolare acceso per i defunti. Lo stesso capita in Piemonte e in Val d’Aosta.

Processioni notturne e la “carità di murt”

In Friuli, è diffusa la credenza nelle processioni notturne dei morti verso certi santuari così come nella loro scomparsa alle prime luci dell’alba. Troviamo la tradizione di intagliare le zucche in forma di teschio. Così come non dissimile dalle tradizioni di altri luoghi è l’abitudine dei contadini friulani di lasciare per i defunti la sera di Ognissanti un lume acceso, un secchio d’acqua e un po’ di pane sulla tavola.

In Emilia Romagna invece il cibo da lasciare ai defunti si scambia di casa in casa. E se ne lascia anche ai poveri che vengono a bussare alle porte delle varie abitazioni (“la carità di murt”, la carità dei morti).

Bacilli e “ossa di morto”

In Liguria , vengono preparati i bacilli (fave secche) e i balletti (castagne bollite). Tanti anni fa, la notte del 1 novembre, i bambini si recavano di casa in casa, come ad Halloween , per ricevere il “ben dei morti “. Era un intreccio di fave, castagne e fichi secchi. Dopo aver detto le preghiere, i nonni raccontavano loro storie e leggende paurose.

In Toscana, nel senese, con origine da Montepulciano, i biscotti detti “Ossa di morto” sono dolci rotondi, di consistenza friabile, impastati con le mandorle tritate.

In Umbria, tra le tradizioni per la festa dei defunti, si preparano gli stinchetti dei morti, dolci a forma di fave.

La festa della “Mort cazzuta”

In Abruzzo, oltre al tavolo da pranzo apparecchiato, si lasciano tanti lumini accesi alla finestra quante sono le anime care. Ma era anche tradizione scavare e intagliare le zucche e inserire una candela all’interno e usarle come lanterne, proprio come ad Halloween (Focus Junior, 2 novembre).

In Molise ed andiamo a Carovilli (Isernia), dove la sera di Ognissanti ha luogo la festa della “Mort cazzuta” in occasione della quale viene organizzato ‘R’cummit’ (il convito). Si tratta di una cena particolare il cui piatto principale sono le “Sagne e jierv”. Cioè delle lasagnette preparate con farina e acqua, condite con della verza a cui la prima gelata dell’anno abbia conferito particolare tenerezza, e insaporite con pancetta di maiale. Al termine della cena, condivisa con parenti e amici, un piatto della pietanza viene messo sul davanzale di una finestra. E’ cibo peer i parenti defunti, che durante quella notte in cui tornano a visitare la casa. Accanto al piatto viene posta una zucca svuotata e intagliata con all’interno una candela accesa. L’espressione della zucca può essere sorridente, piangente, spaventosa o beffarda rispecchiando la visione personale che l’intagliatore ha della morte (famedisud.it).

“O morticello” e i “Sasanelli”

A Roma la tradizione voleva che, il giorno dei morti, si tenesse compagnia ad un defunto consumando un pasto vicino alla sua tomba.

A Napoli si prepara invece un torrone speciale chiamato comunemente in terra partenopea “o morticiello”. E’ glassato con cioccolato, che può essere gianduia o aromatizzato al caffé a seconda dei gusti.

In Puglia con il “grano dei morti” e i “Sasanelli”, biscotti tipici di Gravina, la commemorazione si fonde con la gastronomia tipica.

Il mazzo di carte e i “Frutti di Martorana”

In molte località della Calabria, ad esempio, oltre a lasciare la tavola apparecchiata per i cari defunti nella notte tra il 1 e il 2 novembre, si usava lasciare anche un mazzo di carte nel caso di familiari di sesso maschile. Mentre nel Vibonese e nel Catanzarese non era raro trovare persino delle lanterne ricavate dalle zucche intagliate (“coccalu d’u mortu”) proprio come nella festa di Halloween dei Paesi anglosassoni. Nella zona di Cosenza, invece, la celebrazione era più solenne. Prevedeva, infatti, la partecipazione ad una processione durante la quale veniva recitato il rosario, e poi alla Santa Messa. Al ritorno da essa, si concludeva la commemorazione con cibo e bevande per tutti (turismo.it).

“U Cannistru”

In Sicilia la festa dei morti del 2 novembre ha origini antichissime, probabilmente legate al rito pagano della commemorazione dei defunti, quando si pranzava sulle tombe dei cari estinti. Un’usanza risalente al rito pagano del pranzare sulle tombe dei cari estinti.

Era ed è tuttora la festa dei bambini, in passato ancor più sentita del Natale. Nonni, zii ma anche fratellini morti prematuramente (prima il tasso di mortalità infantile era più alto) portavano dei doni ai bambini che durante l’anno si erano comportati bene. Di fatto erano i genitori che, la sera del primo novembre, si recavano al mercato della Vucciria di Palermo per la fiera dei morti e acquistavano giocattoli e dolci per i più piccoli.

La mattina del 2 novembre i bambini balzavano fuori dal letto, impazienti di cercare dappertutto le cose dei morti, che solitamente si nascondevano nei luoghi più insospettabili. Si frugava in ogni angolo della casa, finché sul punto di abbandonare la ricerca infruttuosa ecco venir fuori la sorpresa. Cioè giocattoli, scarpe e abiti nuovi e poi un vassoio di dolci o di frutta secca (U Cannistru)” (Agrodolce.it).

Nel cannistru oltre alla frutta secca (nocciole, noci, mandorle, mortella, castagne, carrube, fave o frutti di stagione come melograni) c’erano anche fruttini di martorana (marzapane), ossa di morto o crozzi ‘i mortu (biscotti di pasta croccante aromatizzata con chiodi di garofano). E ancora taralli (ciambelline ricoperte di zucchero), tetù o catalani (biscotti rivestiti con glassa di zucchero e cacao), mustazzola (realizzati con mosto o vino cotto), biscotti regina ricoperti di sesamo. Non mancavano neppure i pupaccena o pupi di zucchero fuso raffiguranti guerrieri a cavallo, soldati, signore, trombe, scarpette.

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