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Come trattare con i talebani

La discussione sulla possibilità di una “trattativa” con i talebani giunti al potere in Afghanistan, ha qualche cosa di irreale. Che sia ovvio il contatto con le nuove autorità afghane dovrebbe essere evidente, non solo per le ragioni esposte su questo giornale da Agnese Moro. Trattative sono state svolte prima della vittoria militare delle forze talebane ed anche ora dopo di essa, per consentire alle truppe americane di lasciare il paese senza subire attacchi. Una discussione su trattative con i talebani, per non essere priva di oggetto, dovrebbe allora muovere dalla risposta che ora o più tardi sarà possibile dare ad alcuni quesiti. Primo tra tutti naturalmente è quello che riguarda la disponibilità dei talebani rispetto a trattative con i governi che li hanno combattuti. Hanno essi interesse? E quale interesse? In quali campi, ora o più tardi, sono disposti a discutere e concedere? E quali contropartite chiederebbero? Quale peso avranno le necessità economiche del nuovo regime o una possibile aspirazione a legittimazione internazionale?

In secondo luogo, occorrerebbe sapere se, ora o più tardi, i talebani assicurino un grado di controllo del territorio e delle essenziali istituzioni statali, compatibile con i requisiti minimi di un governo, indipendentemente da formali riconoscimenti da parte di altri Stati. E quindi se il nuovo governo afghano sia o divenga interlocutore affidabile, capace di prendere impegni e rispettarli. Tutte domande che avranno risposte variabili nel tempo, legate come sono a situazioni concrete, suscettibili di evoluzione. Nel frattempo, naturalmente, in modo palese o segreto, andrà avanti l’interlocuzione con chi sul terreno ha la possibilità di decidere, per risolvere problemi specifici, gravi e urgenti come quelli che riguardano la vita e la sicurezza di persone.

Il versante talebano è essenziale poiché ovviamente è fuori della realtà l’idea che qualunque dialogo o trattativa sia nella disponibilità di questo o quello dei governi che escono sconfitti da un conflitto militare ventennale. È poi illusorio pensare che a trattare sia, per conto suo, il governo italiano, senza il peso economico e politico che potrebbe avere l’Unione europea, se riuscisse a prendere una posizione unitaria, in competizione con Cina, Russia, Iran ed altri ancora. Ma lo spazio per tentativi di trattative potrebbe aprirsi se l’attenzione si concentrasse su obiettivi specifici, con la disponibilità a pagare prezzi in termini politici ed economici e l’esclusione della pretesa di imporre alcunché.

Il terreno dei diritti umani, delle donne ma non solo, è certo quello su cui l’Italia potrebbe da subito impegnarsi cercando garanzie per le entità che sul terreno, indipendentemente da connotazioni nazionali, da anni hanno contatto diretto con la popolazione. Ora, ad esempio occorre ottenere che organizzazioni non governative come Emergency, Medici Senza Frontiere o la Croce Rossa Internazionale possano continuare ad operare. Un impegno italiano di tal genere potrebbe aver successo, mettendo insieme una possibile apertura da parte delle autorità con l’interesse politico e morale dell’Italia per una attività, che incide concretamente sui diritti fondamentali delle persone e non solo sulla loro salute fisica. È possibile tentare di fare accettare organizzazioni umanitarie, internazionali o sorte nella società civile afghana, che non portano bandiere governative e si legittimano per il loro agire.

Tutto ciò sarebbe importantissimo e nessuna discussione astratta avrebbe senso sul trattare o non trattare con un governo per tanti versi inaccettabile. Poiché, superata l’emergenza attuale, bisognerà pensare agli afghani che rimangono nel paese e rappresentano una società variegata per abitudini, attese, bisogni. Una larga parte della popolazione dopo il 2001 è cresciuta senza aver subìto l’oppressione talebana. Si tratta in particolare di quel 50% che ha meno di venticinque anni. L’alfabetizzazione della popolazione generale è molto cresciuta e quella femminile ha superato il 75%. Radio e televisione hanno potuto informare con maggiore libertà e molti hanno avuto accesso ai social media.

La società afghana in misura rilevante ha mutato fisionomia, affacciandosi a valori e culture propri dell’Occidente. Vi è ora una società civile cui far riferimento e da non abbandonare. Essa è frutto del lavoro dei tanti organismi che hanno operato nel corso di questi anni in Afghanistan. A quella parte della società è doveroso assicurare ogni possibile sostegno. Non farlo sarebbe un tradimento ancora più grave dell’abbandono precipitoso operato dal vecchio governo e dalle truppe che lo hanno appoggiato.

Fonte: LaStampa.it

 

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