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MADRE SUICIDA CON IL FIGLIO/ L’ultimo abbraccio gli “restituisce” il dono della vita

Una madre nel trevigiano ha voluto mettere fine alla propria vita e anche a quella di suo figlio, ma alla fine l’amore per lui ha battuto la disperazione.

Il ponte Vidor si trova nel Trevigiano e ha una campata di quasi venti metri sopra il Piave. Nella serata di ieri due genitori di Caerano San Marco aspettavano la figlia, una giovane di 31 anni che doveva recarsi da loro con il nipote. Sapendola sofferente di depressione, prima hanno chiamato il marito e poi i carabinieri. Una pattuglia così si è attivata e, notando l’auto parcheggiata vicino al ponte, ha fatto scattare le ricerche che in breve tempo hanno portato al ritrovamento del cadavere della donna mentre il bimbo era ancora vivo, avendo riportato fratture multiple. La ricostruzione della dinamica ha detto che la donna, nel buttarsi, in un gesto disperato quanto istintivo, abbia abbracciato a sé il figlio e in questo modo lo ha protetto dalla caduta, salvandolo. È stato un miracolo, se si pensa che il volo è di quasi venti metri.

Il bimbo sopravvissuto è segno di speranza, è una scommessa verso la vita, un invito a non mollare mai anche se sembra impossibile rialzarsi in piedi. Ma non posso dimenticare che il bimbo è vivo grazie all’abbraccio della madre. Con una parte della sua testa, quella disturbata, la donna voleva che il bimbo la seguisse nell’al di là perché non voleva separarsene. Ma la parte sana del suo essere madre lo ha salvato.

Mi immagino quei secondi eterni prima del terribile impatto sul greto del Piave. In quei momenti la mamma stringeva a sé il bimbo. Lo abbracciava per proteggere il corpo del figlio dalla terribile scelta che la parte malata della mamma aveva appena fatto. E quell’abbraccio è stato più vero, più reale, più forte, del salto nel buio nella quale la mamma si era fatta attrarre dalla disperazione.

Speriamo che tra un po’ di anni, quando sarà grande, qualcuno racconti al bimbo il bello di sua madre. La forza di quelle braccia che stringevano per proteggere. Che qualcuno gli dica che l’azione con cui quel corpo moriva era anche quella con cui la madre donava di nuovo la vita al figlio, attutiva l’impatto con il fiume. Faceva vincere la realtà dell’amore rispetto all’irrealtà della follia.

Tra poche settimane, per Pasqua, canteremo che “la vita e la morte si sono affrontate in un prodigioso duello”. Ed avremo ragione. Perché il combattimento del Triduo Pasquale accade ogni giorno dentro il cuore di ciascuno di noi. E, nella sua malattia, quella mamma ha vinto.

Fonte: Mauro LEONARDI | IlSussidiario.net

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