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Crisanti: test e tracciamenti, troppi errori. L’Italia ha perso un’occasione

L’ordinario di microbiologia all’università di Padova mette il dito nella piaga: possiamo continuare a chiudere bar, ristoranti, negozi, scuole? L’impatto sulla vita delle persone è distruttivo

Ma possiamo continuare all’infinito a chiudere bar, ristoranti, negozi, tenere i figli a casa da scuola? L’impatto è distruttivo sulla qualità della vita delle persone”. Andrea Crisanti, ordinario di microbiologia all’università di Padova, mette subito il dito nella piaga: possiamo andare avanti così? “Tutte le misure che adesso sono state prese e che prenderemo avranno un effetto sul numero degli infetti e speriamo anche dei ricoverati in terapia intensiva, ma non possono essere imposte e accettate a tempo indeterminato. Il problema non è abbassare il numero dei contagi, perché questo siamo stati bravi a farlo con due mesi di lockdown. Il problema è che poi non siamo stati in grado di tenerli bassi. Se non si risolve non ne usciremo più”.

Per fare un esempio in Lombardia si era arrivati a 5 contagi su 9.000 tamponi. “Sa che significa? Che tutti i contatti di quelle cinque persone li avremmo dovuti individuare, e ogni caso lo avremmo dovuto seguire con la stessa determinazione. Perché un fatto è seguire cento casi, ben altro è doverne inseguire migliaia: non c’è nessun sistema in grado di farlo”.

Dunque oggi che siamo a 12mila contagi giornalieri?

Paradossalmente le dico che la App Immuni, che con pochi casi in giro sarebbe stata utilissima, oggi ci butterebbe nel caos più totale, con 12mila contagi invierebbe 150mila messaggi al giorno, ma ce l’abbiamo in Italia un sistema in grado di trattare 150mila contagi?

Ma allora che fare?

La soluzione passa attraverso la creazione di una efficace logistica per fare 400mila tamponi al giorno e farli in modo mirato. Ho presentato questo piano al governo già due mesi fa. L’investimento? 40 milioni di euro per creare il laboratorio e un milione e mezzo al giorno di reagenti: bazzecole rispetto a quello che stiamo spendendo adesso, visto che i 150mila tamponi al giorno che vengono fatti costano 30 euro l’uno… faccia lei i conti. Fanno 4 milioni e mezzo al giorno: spendiamo troppo e in maniera non razionale.

Anche le persone hanno contribuito a far risalire i contagi con i comportamenti estivi?

Non è stata ribadita con la dovuta evidenza la necessità di mantenere i comportamenti adeguati. Fondamentalmente non è stata detta agli italiani la verità, si è voluto dire che l’epidemia era finita. Poi purtroppo ci si è messa anche quella politica incomprensibile di alcuni miei colleghi che hanno avallato comportamenti irresponsabili, non me lo spiego proprio… Obiettivamente, anche a livello politico, si è creduto davvero che fosse finita, perché io non posso immaginare che ci fosse malafede.

Siamo ancora in tempo per rimediare?

Abbiamo ancora un margine di azione e gli strumenti per abbattere il numero dei contagi. Come ci siamo riusciti in passato, con misure restrittive i contagi via via diminuiscono, non c’è dubbio. Ma il problema è che così si paga un prezzo economico e sociale che obiettivamente molti non sono più disposti a pagare. Se bisogna fare un sacrificio, questo dev’essere assolutamente l’ultimo: ok con misure progressivamente restrittive che diano risultati, purché poi si metta in piedi un sistema di sorveglianza e di tracciamento affinché, quando i casi saranno scesi, restino bassi. In Italia il lockdown è stato fatto bene, ma non si è stati in grado di prevedere che cosa sarebbe successo i mesi successivi.

Altri Paesi invece lo hanno fatto?

Sì, si può abbattere la trasmissione virale come in Nuova Zelanda, Corea del Sud, Taiwan, Giappone e altri Paesi… non dico la Cina perché è un regime totalitario. Loro hanno saputo mantenere e consolidare il vantaggio acquisito. Paragoniamoci con questi: farlo con Francia, Spagna e Germania è un po’ da vigliacchi.

Ormai è chiaro a tutti che il virus non era clinicamente morto e neppure attenuato. Ma rispetto a mesi fa abbiamo almeno farmaci decisivi o siamo ancora a un livello empirico?

Ci sono dei farmaci che migliorano sicuramente il decorso, ma al momento nessuno che sia risolutivo. Il vaccino è la misura più efficace nel rapporto costi/impatto, ma i tempi per svilupparlo purtroppo non dipendono dalla nostra volontà né dalla montagna di quattrini che si investono.

Sarebbe l’unico vaccino scoperto contro un coronavirus…

In effetti non è scontato. Contro tubercolosi, malaria e Hiv sono state spese montagne di risorse senza risultati.

In questi giorni la Lombardia è corsa avanti, Fontana ha predisposto il coprifuoco. Un’amministrazione di centro destra che supera in severità il governo stesso, anziché fargli opposizione…

È una cosa positiva. In situazioni di emergenza è la condivisione delle responsabilità a far diminuire le polemiche e aumentare la possibilità che i risultati vengano raggiunti.

Anche tra accademici non sempre accade. Da un collega lei è stato definito un “esperto di zanzare”.

Io mi occupo fondamentalmente di genetica delle popolazioni, un campo chiave per combattere le epidemie. Il fatto che io mi sia occupato di zanzare è perché trasmettono una malattia gravissima che è la malaria. Insieme ad altri collaboratori all’Imperial College di Londra abbiamo sviluppato una tecnologia rivoluzionaria che è in grado di ribaltare veramente le leggi dell’ereditarietà e trasmettere dei caratteri genetici in tutta una popolazione, che può essere delle zanzare o di qualsiasi altro organismo pericoloso. E’ una tecnologia complessa da spiegare, ma diciamo che nel caso delle zanzare sono geni che impediscono loro di trasmettere la malaria e tecniche che ne riducono la fertilità: riducendo il numero delle zanzare si riduce la trasmissione della malaria. Sono progetti che a livello internazionale sono stati considerati una delle scoperte più importanti della genetica negli ultimi anni.

Il virus se non trova un ospite umano muore in pochi giorni. Scendendo nel concreto, se noi non lo tenessimo in vita passandocelo l’un l’altro come in una staffetta, sarebbe spacciato. Dunque se per assurdo tutti ci chiudessimo in casa per un mese, con un lockdown simultaneo sul pianeta, usciti di casa il virus non esisterebbe più?

Esatto, teoricamente se le cose andassero così sarebbe finita lì. Ma è utopia, perché ci sono in Italia come in America o in India persone che non si possono permettere di andare in lockdown, senza il dovuto sostentamento da attività giornaliere morirebbero di fame. Realistico invece è fare i tamponi mirati, arginare immediatamente qualsiasi focolaio quando ancora è minimo.

I tolleranti (o asintomatici), persone contagiate dal virus ma senza sintomi, possono trasmettere il virus?

Le rispondo così: noi sappiamo che una persona infetta è in grado di contagiare dalle due alle tre persone. Visto che gli asintomatici sono il 95%, mi spiega come fanno 5 persone a infettarne 95? E’ chiaro che anche gli asintomatici diffondono il virus.

Fernando Gaviria, ciclista al Giro d’Italia, è stato fermato perché di nuovo positivo. Infatti si era già contagiato a marzo. Possiamo definitivamente dire che l’aver preso il virus non dà immunità?

Sulla base dei dati attualmente a disposizione, possiamo dire che non tutte le persone infette sviluppano un’immunità duratura. Per ora solo questo.

Ma allora su che base Trump sostiene di essere immune?

Su nessuna base.

Per minimizzare la gravità attuale, c’è chi paragona questo ottobre a marzo, quando c’era il picco di decessi, anziché all’ottobre 2019, quando il virus era già in giro ma non lo sapevamo.

A marzo presumibilmente i casi erano 50mila al giorno, quindi non si può fare questo confronto. E poi erano quasi tutti concentrarti in Lombardia. Oggi abbiamo 750 persone in rianimazione in tutta Italia, lei pensi se fossero tutti concentrati in Lombardia come a febbraio quanto saremmo tutti più preoccupati.

L’elaborazione computazionale informatica usa algoritmi per prevedere l’andamento della pandemia grazie al contributo di matematici alleati alla scienza. E’ una marcia in più che dall’Imperial College di Londra ha portato con sé a Padova?

Sicuramente è stata una risorsa che ci ha permesso di fare delle analisi che altrimenti sarebbero state impossibili, per mancanza proprio di conoscenza e di risorse umane. Ho sfruttato i miei rapporti con l’Imperial College, uno dei centri di epidemiologia e di statistica più imponenti al mondo. Così è stato elaborato il modello di diffusione del virus utilizzando i dati di Vo’ e appunto proponendo il modello rivoluzionario che non è solo contact tracing ma questo network tracing che di fatto funziona molto meglio.

Riavvolgiamo il nastro all’inizio dell’epidemia: il peccato originale è stato non fare il tracciamento immediato dei primi contagiati, cosa che fece Carlo Urbani nel 2003, salvando così il pianeta dal coronavirus della Sars.

Di cosa è successo all’inizio sappiamo troppo poco, ma il virus circolava in Cina già a ottobre scorso. Le autorità cinesi sono state costrette a dircelo sulla base sia dei report dell’Imperial College sia degli allarmi lanciati da Taiwan, ma ormai era gennaio 2020, erano passati mesi e a quel punto c’era ben poco da fare. Inoltre i cinesi non ci hanno detto che c’era questa altissima percentuale di asintomatici: sapendolo avremmo usato precauzioni completamente diverse per difenderci. Pure l’Oms dovrebbe essere ripensata, se è un’organizzazione mondiale della sanità non può permettere di porre veti, come quello che la Cina mette sulla partecipazione di Taiwan introducendo interessi politici in un settore in cui veramente il bene pubblico, che è la salute, dovrebbe prevalere.

Il suo appello, per concludere?

La cosa più importante in questo momento, al di là delle misure restrittive utili per diminuire il contagio, è parallelamente attrezzarsi per far sì che una volta basso il contagio non riparta: occorre cioè una rete di logistica per fare il tracciamento e testare tutte le persone che sono coinvolte, altrimenti non ne usciremo mai. La Cina adesso per un focolaio di 15 casi ha fatto 11 milioni di tamponi e questo le dà un vantaggio competitivo, perché le loro industrie vanno a mille. Quando qui si parla di competitività e ripresa economica chiediamoci: qual è lo strumento che ci porterà a questo? Sicuramente non la libera circolazione del virus!

Fonte: Lucia BELLASPIGA | Avvenire.it

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