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Penrose, il teorico ateo dell’esistenza di Dio

«La coscienza quantistica di ogni essere vivente è indipendente dal corpo e potrebbe sopravvivere alla morte del cervello, per sopravvivere sotto diverse forme. Come? Nell’esistenza infinita…»

«La coscienza quantistica di ogni essere vivente è indipendente dal corpo e potrebbe sopravvivere alla morte del cervello, per sopravvivere sotto diverse forme. Come? Nell’esistenza infinita…». Sir Roger Penrose, 89 anni, è ateo, per sua stessa ammissione. Ed è considerato come una delle menti più originali della scienza contemporanea. Ha lavorato assieme a Stephen Hawking, con il quale aveva stretto un forte legame professionale. Ma a differenza di Hawking, non si ferma solo alle teorie scientifiche e alle leggi ineluttabili delle sue ricerche nel campo della cosmologia e dell’astrofisica. In un dibattito recente, non ha negato l’esistenza di Dio. Anzi: «Ci sono tre grandi misteri nei campi della matematica, della coscienza e del mondo fisico che la scienza deve ancora spiegare» ha affermato Penrose, che nel suo libro recente La strada che porta alla realtà oppure in La mente nuova dell’imperatore (pubblicato da Rizzoli), ha riproposto il suo concetto di “multiverso”, in cui cerca di dimostrare che alla base della coscienza vi sarebbero fenomeni di natura quantistica. I tre misteri?: «Il numero uno è che la fisica è guidata in modo incredibilmente preciso da equazioni matematiche. Il numero due è relativo a come l’esperienza consapevole può sorgere quando queste circostanze sembrano essere giuste. Non è solo questione di calcoli, c’è altro, in corso… Il numero tre è la nostra capacità di usare una comprensione cosciente per comprendere la matematica e straordinarie idee autocoscienti ma profonde che sono lontane dalle mie esperienze».

Il filosofo delle religioni William Craig, che sostiene la tesi di un Creatore dietro l’universo, ha suggerito che ciò che dice Penrose è un «piccolo passo» nel credere che una risposta unificante ai «tre grandi misteri» sia Dio. Penrose ora, a quasi 90 anni e 55 anni dopo le sue prime, importanti scoperte, ritira il premio più prestigioso, dopo il Premio Wolf, già di per sé importante, che gli fu conferito nel 1988 assieme a Hawking. Fa parte di una famiglia di scienziati e artisti, ed è figlio di uno psichiatra e genetista, Lionel, celebre per i suoi studi sul ritardo mentale. Prima dei suoi studi sul Big Bang e la singolarità gravitazionale, è stato un sostenitore della teoria “dello stato stazionario” di Fred Hoyle (il “papà delle comete”). Una teoria che postula che l’universo mantiene le stesse priorità nello spazio e nel tempo e che non abbia né fine, né inizio. «L’ho incontrato in alcune occasioni – racconta ad “Avvenire” Attilio Ferrari, astrofisico, per molti anni direttore dell’Osservatorio astrofisico di Torino e con cattedra di astrofisica all’Università di Chicago (Usa) – . Direi che è davvero molto “britannico” e sempre molto originale nelle sue teorie, che ti portano a discorsi lunghi e interessanti. Un autentico super-teorico, ed è interessante che i Nobel di recente vadano più a teorici che a sperimentali. Un fatto è certo, il suo lavoro e le sue scoperte sono straordinarie, davvero importanti per l’astrofisica, così come quelle di Ghez e Ghenzel».

Fonte: Antonio LO CAMPO | Avvenire.it

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