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Cosa succede se la scuola non riparte. L’allarme di suor Anna Monia Alfieri

Fra smentite e conferme, gaffe e ritrattazioni, l’allarme è sempre più reale: il 14 settembre il governo non riuscirà a far ripartire il diritto all’istruzione per tutti, un diritto che va garantito in modo gratuito e libero.
L’analisi di suor Anna Monia Alfieri

L’emergenza Covid-19 si è imposta evidenziando la drammaticità di un sistema scolastico che sta diventando sempre più iniquo: 1.600.000 gli alunni non raggiunti dalla DaD – e sono le categorie più povere per provenienze familiari e territoriali svantaggiate; 300 mila gli allievi disabili che hanno vissuto in condizione di isolamento con una conseguente regressione per alcuni irreversibile; le donne meno emancipate e più bisognose hanno dovuto abbandonare il lavoro perdendo anni di pari opportunità; senza scuola in molte aree del centro sud evidentemente si è ripresentato il rischio di consegnare i ragazzi alla mafia e alla camorra.

L’allarme di queste ore, fra smentite e conferme, gaffe e ritrattazioni, è sempre più reale: il 14/09/2020 il governo non riuscirà a far ripartire il diritto all’istruzione per tutti che è un diritto da garantire a tutti in modo gratuito e libero, come richiamano la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo e numerosi documenti internazionali e accordi Ue che vedono l’Italia fra gli Stati firmatari. È a rischio la democrazia e l’Italia disattende quelle azioni che tutti gli Stati firmatari della Dichiarazione si impegnano a compiere al fine di garantire il godimento di questo diritto.

Evidentemente l’allarme e il rischio è molto più grave della parete che manca, della sedia, del tavolo. In estrema sintesi in queste ore sono due gli allarmi seri strettamente collegati: a) il diritto all’istruzione (fatto di progettualità di visione, di programmazione, di contenuti ma anche di obiettivi) riparte solo per pochi privilegiati e, data la situazione, non potrà essere altrimenti; b) ai giovani daremo solo “i sussidi che servono a sopravvivere, a ripartire”, sottolinea Mario Draghi. Ma quando si esauriranno, il rischio è che ai giovani resti “la mancanza di una qualificazione professionale, che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e i loro redditi futuri”. Il rischio reale è quello di una “distruzione di capitale umano di proporzioni senza precedenti dagli anni del conflitto mondiale” – dichiara Draghi. Parole che pesano come un macigno: è un governo che ruba il futuro ai figli e come il Conte Ugolino se ne sfama.

Mario Draghi, all’apertura del Meeting di Rimini, proprio nei giorni in cui il governo sprofonda nell’ennesimo caos sulla ripresa delle scuole a settembre, rivolge l’appello che “ai giovani bisogna dare di più: dopo la catastrofe della pandemia bisogna affrontare la fase difficile e disseminata di insidie della ricostruzione, che dovrà essere improntata alla flessibilità, al pragmatismo, ma anche alla trasparenza. E i giovani vanno messi al centro di ogni riflessione per rimettere in moto i loro percorsi formativi”.

Un invito, una proposta di tale buon senso stride con il dramma in cui versano le famiglie, 8 milioni di studenti, due milioni di docenti e di conseguenza le imprese, l’economia, la nazione, a causa – è lampante – di ideologia e supponenza, figlie di un baratro culturale. Come dimenticare Luigi di Maio che, dopo aver incontrato Draghi, afferma: “È stato un incontro cordiale e proficuo, mi ha fatto un’ottima impressione”. L’approccio approssimativo regna sovrano dai giorni del vaffa ed è chiaro che non c’è spazio, perché non c’è capacità, per il confronto nelle aule del Parlamento o con chi sa di cosa si sta parlando.

Quindi bando agli inviti del Presidente Mattarella che invoca la collaborazione; si ignorano gli inviti di Draghi – una brava persona ma tutto lì – e sì il sistema scolastico, da iniquo, oggi si avvia a diventare un sistema che fa del diritto all’istruzione un privilegio. Mancano gli ambienti: per il 15% di allievi non c’è la scuola e “occorrono tre mila edifici” dichiarò la stessa ministra Azzolina il 26/06; mancano i docenti: 85 mila le cattedre vacanti. In queste ore i presidi dichiarano che servono 20mila aule per 400 mila studenti; intanto le scuole pubbliche paritarie, unici presidi di libertà in certe zone d’Italia, hanno chiuso: il sito www.noisiamoinvisibili.it ha censito le 100 scuole che hanno chiuso e per 3.800 allievi non c’è, nelle vicinanze, nessuna scuola disponibile ad accoglierli essendo full; insomma, senza ambienti, senza docenti, con un reale problema per i mezzi di trasporto, è chiaro che il diritto all’istruzione per quel 15% pari a 1.139.000 di allievi non può essere garantito.

È evidente che per le classi sociali più avvantaggiate economicamente non sussiste il problema: potranno pagare la baby-sitter, potranno permettersi le homeschooling (la scuola parentale, con i precettori a casa – si spera in regola), potranno permettersi di frequentare la scuola statale raggiungendola a piedi o in auto (la scarsità dei mezzi di trasporto colpisce i poveri che vivono nelle periferie e guarda caso sono quelli esclusi dalla DaD); potranno permettersi la DaD godendo degli strumenti più evoluti; potranno permettersi la scuola paritaria, confessionale o meno, che con rette da 7.000 euro annui ha combattuto la crisi. Le scuole paritarie che hanno chiuso sono quelle che si sono indebitate per tenere rette nei corsi dell’infanzia di euro 2.500-3.000 annui; nella scuola primaria di 3.500 annui e di massimo 3.800 euro per i licei (considerato che lo Stato stesso considera un costo simbolico quello sotto i 6.000) che probabilmente di confessionale non avevano nulla.

Ma questo problema è talmente fuori tempo che addirittura la laicissima Francia trova che è bene favorire il pluralismo educativo, tanto da ritenere normale il pagare i docenti della statale e della paritaria confessionale allo stesso modo. In Europa la scuola riparte proprio perché il rapporto pubblico e privato è virtuoso.

Quindi il risultato è che il povero avrà sempre meno strumenti di pensiero, non riuscirà ad emanciparsi, legato da una logica di assistenzialismo sociale, mentre il ricco avrà sempre più la capacità di comprendere se stesso, gli altri e la storia, e potrà comandare. Si badi bene che il diritto all’istruzione va garantito in quanto dà a tutti gli stessi strumenti per partecipare alla vita civica e per favorire la tolleranza, il rispetto, la pace tra i popoli. E per contribuire consapevolmente al miglioramento della società.

È questo scenario che si impone con tutta la propria evidenza e diventa quell’opportunità che – se non incontra il talento – è un’occasione persa. Ecco perché è drammatico pensare che la ministra Azzolina e il governo con lei (Conte ha affermato che la responsabilità delle azioni sulla scuola è di tutti i ministri) stiano sprecando quell’unica occasione per rimettere la scuola sul binario corretto. Sia chiaro: per pura ideologia, nonostante la ministra abbia voluto chiarire con una ormai celeberrima nota: “La precisazione si rende necessaria – spiegano da Viale Trastevere – a seguito di prese di posizione e notizie in cui si fanno tali affermazioni e si asserisce anche che il governo non voglia utilizzare le paritarie per pregiudizio ideologico. Le scuole paritarie fanno parte del Sistema nazionale di istruzione e non c’è pregiudizio alcuno nei loro confronti”.

L’incongruenza è evidente a chi ragiona: se le scuole paritarie fanno parte del sistema nazionale di istruzione – e quindi svolgono un servizio pubblico – perché le famiglie non sono libere di sceglierle, dovendo pagare sia le tasse (8.500 costa un allievo della statale), sia le rette (solo 500 euro ricevono dallo Stato) e quindi devono pagare due volte il pizzo della libertà? Perché gli insegnanti di queste scuole pubbliche sono discriminati? I loro alunni superano egregiamente esami pubblici di Stato. Tutto ciò avviene solo in Italia e non in Europa, dove il diritto di apprendere è per tutti libero e gratuito. È questo che la tragedia del Covid-19, incontrando il talento (ma l’incontro non c’è stato), avrebbe potuto regalare all’Italia: con i patti educativi avremmo avuto un sistema più giusto ed equo. E invece no: mentre la ministra afferma che “le scuole paritarie fanno parte del Sistema Nazionale di istruzione e non c’è pregiudizio alcuno nei loro confronti”, lo nega nei fatti, e con lei quelli del suo colore. Anche un gatto lo capisce, anche il cittadino più distratto e senza figli…

I patti educativi non si fanno con gli affittacamere… I patti educativi si devono siglare anzitutto (non “poi”, non “se non si può fare altro”, non perché “aiuto! ci sono le elezioni che incombono…”) fra scuole facenti parte del medesimo sistema scolastico integrato.

La logica e l’onestà intellettuale impongono che, se la ministra considera le scuole paritarie come una delle due gambe del sistema nazionale di istruzione, deve immediatamente – acquisiti i dati del fabbisogno di aule, arredi e docenti delle 40 mila sedi scolastiche statali – stipulare patti educativi con le scuole paritarie. Dovrà rendere conto del perché non l’ha fatto, e con lei tutto il governo.

I patti educativi si potranno tradurre concretamente nelle seguenti opzioni: a) si sposti una classe (allievi e docenti) dalla statale alla paritaria vicina; e/o b) si destini a quel 15% di allievi delle statali che non potranno più frequentarle, una quota capitaria che abbia come tetto massimo (ben inferiore agli 8.500 euro annui) il costo medio studente o il costo standard di sostenibilità per allievo.

Nel breve periodo si proceda con la stabilizzazione dei docenti precari che sono in classe da più di 5 anni, senza la costosa e inutile procedura del concorsone. Questo permetterà di ripartire celermente, se non a settembre, almeno a ottobre.

In due anni si completi l’operazione introducendo i costi standard di sostenibilità per allievo. Un processo obbligato ancor più per un governo che in queste ore, con il Decreto Agosto e tutti i futuri, agirà in scostamento di bilancio e non deve arrogarsi il diritto di indebitare il futuro dei figli negando loro anche gli strumenti per ripagarlo. Senza scuola l’Italia è condannata ad una “distruzione di capitale umano di proporzioni senza precedenti” (Draghi) e non potrà ripagare il debito.

Non garantire il diritto all’istruzione significa condannare il povero e il più fragile impedendogli l’emancipazione.

Inoltre le fantasie quali recuperare 3mila edifici dismessi, il milione di tavoli tecnologici, e le varie acrobazie (parola di sindacati), sappiamo che necessitano di 8 miliardi di euro, che in un momento storico nel quale la gente si suicida per la disperazione sono un oltraggio. Se il governo è consapevole (dovrebbe, se ha cultura e non ideologia) che questa operazione gli farebbe risparmiare diversi miliardi di euro consentendo a tutti di ritornare in classe e di dare un futuro alla nazione, non farlo sarebbe il gesto più irresponsabile della storia degli ultimi 50 anni.

A riprova si ripresenta lo studio elaborato con l’Istituto Bruno Leoni (già sottoposto nei mesi scorsi all’attenzione dell’opinione pubblica e del premier).

A questo punto – ricevuta la benedizione della ministra e del governo con cui condivide la responsabilità sulla scuola – è chiaro che anche il significato delle parole è univoco: i patti educativi, stipulati tra scuole pubbliche statali e scuole pubbliche paritarie sono propedeutici ad un sistema scolastico integrato, equo, pluralista, di qualità. Che al M5S piaccia o no.

Fonte: LeFormiche.net

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