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Recalcati: attaccati al proprio Io, più difficile diventare genitori

«Ogni amore degno di questo nome è per sempre e scommette sulla propria eternità. Ma gli amori finiscono, spesso male. La funzione genitoriale trascende la fine di quell’amore»

Dopo anni di crisi caratterizzata tuttavia da una sostanziale tenuta della famiglia come istituzione, oggi ci troviamo a tutti gli effetti in una società ‘postfamiliare’. A rilevarlo è il rapporto del Centro internazionale studi sulla famiglia (Cisf), pubblicato in questi giorni: la famiglia classica, composta di madre, padre e figli naturali o adottivi è diventata solo una delle tante possibilità di dire famiglia, in un contesto sociale, culturale, economico, caratterizzato da incertezza e fluidità, dove la crisi demografica esprime tutta la difficoltà di compiere scelte definitive.

Di «crisi di civiltà» ha parlato non a caso il presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, riferendosi al drammatico calo delle nascite.

Lo psicoanalista Massimo Recalcati è osservatore e testimone di questa trasformazione in atto anche nella società italiana. La sua analisi può essere discussa, ma esprime una larga parte della cultura che rappresenta e caratterizza il nostro tempo. A lui chiediamo di spiegare e provare a interpretare questo passaggio. «Come psicoanalista non sono preoccupato dalle trasformazioni che hanno investito la cosiddetta famiglia naturale per il semplice motivo che non ritengo che la famiglia sia un evento della natura. Al contrario, penso che la famiglia sia un evento profondamente umano, legato alla forza della parola e della promessa, un evento etico centrato sulla responsabilità illimitata nei confronti dei figli e sull’amore tra chi ne fa parte».

Una famiglia che coincide sempre di più con il privato delle relazioni affettive e che ha rotto il legame tra relazione sponsale e relazione genitoriale, come scrivono i curatori del rapporto Cisf, che cosa restituisce alla società?

Il problema ha tanti risvolti. Io credo nell’utilità di differenziare la funzione materna da quella paterna, ma non credo che queste funzioni debbano coincidere con delle realtà anatomiche. Sono funzioni psichicamente differenti: madre è il nome della cura che sa ospitare la singolarità del figlio, che sa non essere anonima, che sa essere particolareggiata. Padre è il nome del simbolo della Legge, del limite, di ciò, come diceva Lacan, che unisce e non oppone il desiderio alla Legge. Ma i progressi della tecnica hanno separato l’evento della nascita di un figlio dal rapporto coniugale e anche da quello sessuale.

Il 36% dei giovani tra i 25 e i 34 anni dichiara che non vuole sposarsi, il 40% non pensa di avere figli, solo il 13% dei maschi e il 25% delle femmine pensa a un progetto che prevede il matrimonio e la genitorialità. Perché oggi è così difficile immaginarsi genitori, e poi nascere come genitori?

L’esperienza della genitorialità è un’esperienza di decentramento del proprio Io. Il vero ostacolo a diventare genitori è l’attaccamento al proprio Io che a volte porta anche verso la volontà di avere un figlio che però non ha nulla a che fare con il desiderare un figlio. La nascita di un figlio comporta sempre una certa rinuncia di godimento da parte dei genitori. Rinuncia che nel nostro tempo può essere vista come una sciagura.

Una famiglia centrata soprattutto sulle relazioni, quasi-liquida, post- moderna: è ciò che resta al ‘turbo-consumatore ipermoderno’ di cui parla in ‘Le nuove melanconie’? È un sintomo della crisi del capitalismo?

Una famiglia è sempre centrata sulle relazioni. Ma questo non significa smarrire il senso del legame familiare. L’identità di padre e di madre non viene mai dalla biologia. È un’illusione materialistica. Un padre non è uno spermatozoo, una madre non è un ovulo. La famiglia è il luogo dell’accoglienza, dell’ospitalità, della casa. Dove c’è accoglienza c’è sempre famiglia. Il discorso del capitalista tende invece a sputare sulla famiglia o a pensarla solo come occasione di vendita dei suoi prodotti. Io credo fortemente nel fatto che la vita umana necessiti di radici, di essere accolta, di avere una famiglia.

È vero, «un padre non è uno spermatozoo e una madre non è un ovulo», ma è pur vero che senza un padre e una madre biologici, la vita semplicemente non c’è. Lei ha scritto che per essere madri o padri, ci vuole sempre «un supplemento ultra-biologico, un atto simbolico, una decisione, un’assunzione etica di responsabilità». Come può avvenire questo passaggio se la famiglia non ha confini precisi e non ha più nemmeno un solo tetto?

Non dobbiamo fissare la pagliuzza e ignorare la trave. La trave è che il discorso del capitalista vorrebbe distruggere il discorso educativo come tale inculcando come unico discorso possibile quello del profitto e del successo individuale. La trave è l’assenza dell’amore come ingrediente fondamentale dei legami umani. La trave è il primato dell’Io su ogni cosa. La pagliuzza è la metamorfosi storica della famiglia contemporanea che oggi non è più nucleare, formata da una coppia bianca eterosessuale con un paio di figli, ma si è stratificata, complessificata, emancipata dalla natura…

Perché la ricerca della felicità riesce sempre meno a coincidere con il desiderio di una relazione che duri ‘per sempre’ e con una famiglia, magari numerosa? Tutti evocano la felicità e l’amore, ma ciascuno attribuisce a queste parole significati diversi. Come ritrovarsi almeno sui termini?

Che amore e felicità siano parole alle quali ciascuno di noi dà un significato singolare è inevitabile. Guai se esistesse una misura universale della felicità e dell’amore. Saremmo in un regime totalitario. Io penso che ogni amore degno di questo nome voglia essere per sempre, che scommetta sulla propria eternità. Nondimeno sappiamo che gli amori finiscono, e spesso finiscono male. Ma quando accade che dei genitori si separino è essenziale pensare che la funzione genitoriale trascende la fine di quell’amore. Nel sacrificio non c’è mai bene, non c’è mai gioia. Il sacrificio mortifica la vita. I nostri figli hanno bisogno di testimoni vivi della vita e non di sacrifici senza speranza.

Mi definisca in breve il significato della parola ‘amore’.

L’amore non è niente se non i suoi atti. Darsi, donarsi, tuffarsi, saltare nel vuoto, disarmarsi.

Fonte: Massimo Calvi | Avvenire.it

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