Sopra La Notizia

La foglia che ho posto sull’albero

Scienza e divulgazione per Massimo Sandal.

uarantena. Mio cugino settantenne è preoccupato perché sono a Milano. Mi manda pdf di testate giornalistiche importanti ogni giorno, ma anche segnalazioni di dirette (fantastica quella tra Jared Diamond e Telmo Pievani) e articoli che ritiene significativi. Tra questi un articolo scritto da Massimo Sandal (La Spezia, 1981), mi dice: “È una bella testa, è giovane, è spezzino!”. L’articolo in effetti è una lucida descrizione della comunicazione della pandemia in quei primi mesi, che ora sento lontani, perché così voglio che sia. Però mi rimane in mente che Massimo è biologo, vive ad Aquisgrana (Aachen, Germania), è nato alla Spezia. Scopro che ha recentemente pubblicato un libro: La malinconia del mammut: specie estinte e come riportarle in vita, Il Saggiatore. Lo cerco su FaceBook e mi capita di vedere dei suoi post sulla pagina de La Skaletta. Mi compro il libro su IBS libri che mi viene recapitato a casa, gli scrivo su Messenger, gli propongo l’intervista. Accetta. Ci conosciamo via Skype e chiacchieriamo per almeno un’ora. Questo quello che ci siamo detti agli inizi della Fase 2 (ma ora in che fase siamo?).

FC: Caro Massimo, ci racconti brevemente il tuo percorso di studi? Dalle scuole elementari e medie in Piazza Verdi, al Liceo a Sarzana e all’Università Bologna, fino ad Aachen…
MS: “Sono cresciuto nel pieno centro città, subito dietro Piazza Verdi dove appunto ho fatto elementari e medie alla Mazzini. Al liceo con i miei genitori ho deciso di cambiare città e di fare il pendolare per frequentare il Liceo Scientifico T. Parentucelli di Sarzana. Mi dicevano che – erano gli anni ’90 – c’era un’atmosfera meno caotica rispetto al Pacinotti e avrei potuto frequentare un programma sperimentale scientifico-naturalistico, con più ore di scienze: queste erano una vocazione fin dall’infanzia, e non potevo dire di no. Devo dire che non me ne pentii, il liceo di Sarzana è stato uno dei posti dove sono stato meglio nella mia vita e ho creato amicizie che durano tuttora. Alla Spezia, dopo la scuola, invece frequentavo i punk che si riunivano davanti al Teatro Civico. Una scuola di vita anche quella! Nel 1999, La Spezia era ben più morta di oggi, specie per i giovani, e decisi di staccare andando a studiare a Bologna, dove mi sono iscritto a Biotecnologie. Laureato nel 2004, faccio il dottorato sempre a Bologna e infine nel 2009 vinco una borsa per un postdoc a Cambridge, UK. Esperienza di certo formativa, ma catastrofica sotto vari punti di vista, torno in Italia, e mentre inizio a scrivere ricomincio a lavorare nella ricerca, finché nel 2013 si apre una possibilità per la Germania. Dove non contavo affatto di restare, ma poi mi sono sposato con una tedesca…”.

FC: E ora hai anche un bambino, Gustav…Ci spieghi, se ti va, il tuo lavoro di ricerca, cioè cosa studi e di cosa ti occupi?
MS: “Non sono più ricercatore dal 2016. Mi occupavo di biologia strutturale delle proteine, che suona ermetico, ma alla fine vuol dire: le macchinette che fanno le cose nelle nostre cellule, come acquisiscono la forma che consente loro di funzionare e cosa succede quando lavorano”.

FC: Come sei passato dalla ricerca universitaria alla lodevole professione del giornalista/divulgatore scientifico?
MS: “Quasi per caso. Ho sempre avuto il pallino della scrittura, ma non ho mai pensato di scrivere di scienza, finché non mi sono trovato, nel 2011, con un mio post, in cui criticavo il sistema della ricerca, diventato di colpo virale, in Italia e all’estero. Tuttora, ogni tanto, ritorna a fare il giro. Da lì il giornale online Il Post mi chiese di collaborare, e iniziai a scrivere qualche pezzo qua e là. Poi cominciai a collaborare con Wired, Le Scienze e altre testate, sempre mentre facevo il ricercatore. Nel 2016, decisamente stanco della ricerca accademica, ho deciso di farne un lavoro a tempo pieno. È un percorso, il mio, comune ad altri, ma che non consiglio: la comunicazione della scienza non è una cosa che si improvvisa facilmente (che io ci sia riuscito è un bizzarro miracolo) e chi volesse intraprenderla, oltre ad aspettarsi ben poco denaro e fama, è bene che studi in uno dei vari corsi universitari oggi disponibili in Italia”.

FC: Come è oggi la tua relazione con La Spezia e il suo territorio? Quali le caratteristiche della vita di provincia o spezzina ti porti dietro?
MS: “Al mio retaggio spezzino ci tengo. Sono una persona abbastanza sradicata: la mia famiglia è una famiglia di emigranti (mio padre nacque praticamente durante l’esodo istriano; la famiglia di mia madre veniva da Arcidosso, in Toscana) e anche alla Spezia ho vissuto meno di metà della mia vita. Però con questa città ho sempre un legame: ci vive la mia famiglia, ho amicizie, vi torno ogni anno. Una delle prime presentazioni del libro l’ho fatta alla libreria Ricci, in Via Chiodo, presentato da Susanna Raule, scrittrice affermata, spezzinissima e mia amica d’infanzia. La Spezia mi ha consegnato quel sottofondo, un po’ cinico e disilluso, ma schietto e dritto al punto, tipico di questo aspro angolo di Liguria. Essere cresciuto in provincia ha i suoi svantaggi, ovviamente – Bologna fu veramente lo sbarco su un altro mondo – ma lo ricordo come qualcosa che paradossalmente ti rendeva più libero. Non c’erano scene già affermate dove dovevi sgomitare per incastrarti, non c’era idea di come funzionasse il mondo fuori, la gente faceva quello che passava per la propria testa senza farsi troppo influenzare dall’esterno. Dovevi reinventare tutto da zero, e se agli altri non andava bene erano affari loro. Questo atteggiamento selvatico, nel bene e nel male, mi è rimasto”.

FC: Quali sono gli ambiti più specifici di cui ti occupi come scrittore?
MS: “Il bello di fare questo mestiere è poter spaziare intellettualmente – a volte scherzo dicendo che ho trasformato il mio procrastinare, impiegato nella lettura di cose astruse online, in un lavoro. Dicono che specializzarsi sia necessario anche per chi scrive di scienza, ma per me sarebbe abbastanza avvilente. Però giocoforza ci sono dei temi su cui uno si ‘sedimenta’, e per ora sono principalmente due: l’aspetto sociologico della scienza, ovvero non tanto cosa fa la scienza ma come lo fa; e la storia della vita passata e presente, tra cui appunto l’evoluzione e l’estinzione delle specie”.

FC: Perchè un libro sull’estinzione?
MS: “Un po’ per caso un po’ perchè rientrava in una mia passione. Avevo scritto per Il Tascabile, la rivista online della Treccani, un articolo sulla de-estinzione, ovvero l’idea un po’ folle di ricostruire specie estinte con l’ingegneria genetica. Tempo dopo mi contattano da Il Saggiatore per propormi di scrivere un libro, e mi dicono che in particolare si erano entusiasmati per quell’articolo. Da lì ho pensato di farne un libro, in cui parlare anche e soprattutto dell’estinzione. Che è un tema che mi affascina fin da bambino: la malinconia del mammut è in fondo la mia malinconia di quando tengo in mano un’ammonite fossile e so che non potrò rivederla nuotare in mare. Le estinzioni sono un pretesto, volendo, per parlare della storia della vita sulla Terra e di come dipenda, per dirla con Jacques Monod (biologo, 1910-1976), dal caso e dalla necessità. Ma sono anche uno specchio: nell’estinzione, nell’affrontare l’estinzione in corso che stiamo causando, siamo costretti a guardare in faccia il nostro rapporto con i viventi e con l’ambiente, un rapporto che spesso rimuoviamo, di cui parliamo in modo o moralistico o venale o fumettistico. La nostra convivenza con le specie è difficile e conflittuale, eppure noi abbiamo bisogno di loro (loro, di noi, assai meno…). L’estinzione è quando i nodi vengono al pettine”.

FC: Nel tuo libro ho apprezzato molto il corredo iconografico, non banale, non noioso. Mi chiedevo, visto che mi occupo di immagini, se sia difficile reperire questo tipo di materiale.
MS: “Ah, è un commento curioso il tuo perché onestamente lo trovo un difetto del libro, io avrei voluto un apparato di immagini molto maggiore e molto più curato, ma ahimé ho avuto pochissimo tempo e modo per dedicarmici! Mi consola sapere che non è visto così. Non è particolarmente difficile, sono in gran parte immagini liberamente disponibili online, basta sapere dove scartabellare. Purtroppo molte immagini che avevo proposto sono dovute sparire per motivi di copyright, prova ulteriore del fatto che la proprietà intellettuale è spesso un ostacolo”.

FC: Come hai vissuto il periodo della quarantena, cosa hai scritto e cosa ci vuoi dire sul Covid-19 dal tuo punto di vista scientifico e non opinionistico!?
MS: “La quarantena in Germania è stata meno dura che in Italia – potevamo passeggiare, e vivendo in campagna non era un gran problema da un lato e rinfrancante dall’altro – ma certo passare due mesi abbondanti con un bimbo di due anni da tenere 24 ore su 24, senza parchi giochi e amici, è difficile, per lui e per noi. Però poteva andare molto peggio. La mia famiglia non è stata toccata per ora dal virus, non ho smesso di lavorare. È andata bene, come prima ondata. Diciamo che ho invidiato vari miei amici che ne hanno approfittato per leggere e vedere serie tv, ma certo non ho invidiato le persone costrette a lavorare in una situazione di alto rischio per garantire servizi essenziali (e, purtroppo, a volte anche per servizi non così essenziali). Durante la fase acuta della prima ondata ho scritto relativamente poco sul Covid: un paio di articoli in cui parlavo di come sia cambiata la comunicazione della scienza e la scienza stessa durante la pandemia, uno dei primi articoli sull’impatto psicologico del lockdown. E un articolo su Le Scienze in cui racconto dei problemi legati agli esperimenti ad alto rischio su virus con potenziale pandemico, un argomento purtroppo oggetto di tesi cospiratorie infondate, ma che in realtà non è da sottovalutare. Sul Covid, premesso che i ‘punti di vista scientifici’ sono magari informati ma non sono di per sé adamantinamente oggettivi – tutti i dati e i fatti sono passibili di interpretazioni – posso solo dire, oggi, di fare attenzione. Di tenere alta la guardia, perché come da un caso sono diventati centinaia di migliaia ieri, può ricapitare anche oggi, i numeri bassi attuali e le voci su virus ‘indeboliti’ non illudano, l’attuale situazione è sotto controllo solo grazie alle misure che abbiamo preso. Diffidate di chi sparpaglia ottimismo in pillole, di chi vuole spalancare tutto come se fosse passata la tempesta. Non è finita”.

FC: Una delle domande di rito: quali sono i tuoi progetti futuri?
MS: “C’è un altro libro da scrivere, e per il resto navigo ancora un po’ a vista. Ho dei piani, ma scritti a matita, diciamo”.

FC: Quali letture in questo ambito scientifico, ma di divulgazione, ci consiglieresti?
MS: “Sulla crisi ecologica in corso, consiglio di sicuro La sesta estinzione di Elizabeth Kolbert, un libro molto personale e umano e allo stesso tempo scientificamente interessante. A lato, consiglio un libro che è uscito solo di recente in italiano, Mercanti di dubbi di Naomi Oreskes ed Erik M. Conway, su come la nostra percezione della crisi climatica, tra le altre cose, sia stata sedata da gruppi economici e politici che ne avevano interesse, portandoci ad affrontare il problema in serio ritardo”.

Nel suo libro, Massimo ci racconta un sacco di storie di animali che non abbiamo mai visto, né di cui sapevamo l’esistenza, ci porta a considerare, anche se non dobbiamo dimenticare le nostre colpe, che estinguersi è purtroppo nell’ordine naturale e che la scoperta di ossa, resti, non sempre è stata subito compresa, ci vogliono menti appassionate e costanti, che dedicano la loro vita a dare spiegazioni a quelli che possono solo sembrare, ai più, dei rompicapi poco interessanti. In effetti, potremmo anche augurarci che tutto questo blaterare in tv e sui social media, possa far venire la voglia di leggere e ascoltare – Massimo è stato chiamato a parlare di insetti a Radio3 Scienza, un programma divulgativo in onda tutti i giorni su Rai Radio Tre ai primi di giugno– qualcuno che parla di scienza in modo diretto e onesto. Alla radio, si è dilungato su uno degli insetti che incontrava spesso durante la sua infanzia, il cervo volante, un coleottero con due lunghe corna, che ora non si vede più così spesso nei nostri boschi e che ha una lunga storia che attraversa l’Antico Egitto, l’Impero romano fino ad assumere una simbologia cristiana. A riprova che la Natura, nella sua varietà e grazie allo studio e alla osservazione appassionati e attenti, può suggestionare e intrigare. La conoscenza è preziosa e chi ce la racconta, bilanciando nozioni con una narrativa fluida e accattivante, come fa Massimo, rende un servizio importante a tutti noi, in grado, chissà, di incidere sulla nostra visione del e azione sul mondo.

Fonte: Francesca Cattoi | CittadellaSpezia.it

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