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Video-choc dall’Ucraina: i figli dell’utero in affitto parcheggiati in hotel
— 7 Maggio 2020— pubblicato da Redazione. —
Le coppie committenti straniere non riescono a raggiungere i neonati a causa della restrizione nei movimenti. Dagli Usa all’India, la domanda è: chi se ne prende cura?
In un hotel di Kiev alcune stanze sono state allestite a reparto nido: 46 neonati, accuditi da personale professionale, aspettano l’abbraccio di chi li ha commissionati. Sono i figli dell’utero in affitto: il contratto con la madre surrogata è scaduto con il parto e i genitori committenti stranieri non possono andarli a prendere a causa del blocco delle frontiere indotto dalla pandemia.
Il problema, in Ucraina, non riguarda solo coppie francesi, come raccontava l’altroieri il sito francetvinfo.fr: sono figli di coppie inglesi, spagnole, anche italiane, impossibilitate a raggiungere l’Ucraina dalla chiusura delle frontiere.
Il fatto, per quanto incredibile, è documentato da un video pubblicitario messo in rete il 30 aprile dalla clinica Biotexcom, che mostra decine di culle allineate ordinatamente e una torma di baby sitter, puericoltrici intente a nutrire e coccolare i bambini. “Cari genitori, se ora non potete attraversare il confine e venire in Ucraina per prendere il vostro bambino, non disperate”, dice una rassicurante giovane con la mascherina nella versione italiana del video. “Alcuni Stati sono già andati incontro ai propri cittadini ed hanno avviato il processo”. L’avvocato dell’agenzia fa da consulente alle coppie e cerca di velocizzare le pratiche, ma nel frattempo “l’amministratore dell’hotel Venezia, dove i nostri piccoli ospiti stanno aspettando i loro genitori, parla della vita quotidiana dei neonati”. Le immagini mostrano come vivono i bambini, chi si prende cura di loro. Un video pubblicitario utilizzato evidentemente per tranquillizzare i genitori committenti, ma che paradossalmente fa emergere una volta di più le storture della surrogazione di maternità.
In Italia la Rete Italiana contro l’Utero in Affitto ha inviato una lettera all’ambasciatore italiano in Ucraina Davide La Cecilia e, per conoscenza al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in cui si chiede «di verificare le effettive condizioni di salute dei bambini e quanti e chi siano gli italiani clienti di Biotexcom e di altre cliniche». L’altro elemento sottolineato dalla lettera è che la gestazione per altri in Italia è un reato, così come la pubblicizzazione e la commercializzazione di gameti, e quindi non può essere «concesso alcun permesso speciale, in deroga al lockdown, per recarsi a “ritirare” i bambini».
Ma la questione non riguarda solo l’Ucraina, dove sono attive decine di agenzia che offrono servizi di intermediazione tra madri surrogate e coppie di genitori intenzionali. Ogni anno, infatti, circa 2mila coppie straniere – soprattutto composte da due uomini vista la legislazione più favorevole rispetto a quella ucraina – si rivolgono a madri surrogate statunitensi.
Il 14 marzo negli Usa è scattato il travel ban, il bando ai viaggi, e nessuna esenzione è stata prevista per i «genitori intenzionali » di bambini non ancora nati. Il sito Nbcnews. com nelle scorse settimane ha dato voce all’avvocata Melissa Brisman, titolare dell’agenzia di intermediazione Reproductive Possibilities, secondo la quale almeno 200 coppie sono in situazione di stallo. E con loro altrettanti (anzi di più, considerati i gemelli) bambini parcheggiati in un limbo e accuditi non si sa bene da chi. L’avvocata ha spiegato di aver chiesto a «organizzazioni caritative» di prendersi cura dei neonati che non avevano nessuno.
Un’altra organizzazione, Circle Surrogacy, con sede a Boston, ha 15 clienti internazionali con bambini nati dopo il lockdown. Al New York Times il presidente Sam Hyde ha detto che alcune coppie sono riuscite a entrare prima del travel ban, ma ora sono bloccate per la quarantena. Altre hanno dovuto interrompere il viaggio in una tappa intermedia: una coppia cinese, ad esempio, è ferma in Cambogia.
La preoccupazione, ovviamente, è per i bambini: chi si prende cura di loro? Che status hanno? Sono apolidi? Chi paga per eventuali spese mediche? Will Halm, dell’International Reproductive Law Group, il primo di aprile spiegava al New York Times che «il Piano A è che i genitori committenti riescano a entrare negli Stati Uniti prima del parto per partecipare al lieto evento. Se non faranno in tempo, passeremo al piano B, C e D». Il che vuol dire: amici o familiari residenti negli Stati Uniti, oppure operatori professionali a cui affidare il neonato finché le restrizioni ai viaggi non saranno allentate. In ultima istanza ci sono le stesse madri surrogate, che però non hanno obblighi legali. «Questi bambini non saranno abbandonati», conclude Kim Bergman, fondatore di Growing Generations, un’altra agenzia con decine di clienti internazionali. A pagamento, s’intende, perché gli affari sono affari anche quando la merce è un bebè appena nato.
Il problema esiste però anche all’interno dei Paesi: The Indian Express ieri dava notizia di 17 neonati parcheggiati nell’Akanksha Infertility Center, nel Gujarat, uno dei centri di surrogata più grandi del Paese: i loro genitori committenti, tutte coppie indiane in virtù della recente legge che vieta l’utero in affitto agli stranieri, non possono raggiungere la clinica a causa del lockdown. E i bambini aspettano.
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