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Quegli “arresti domiciliari” che fanno scoprire la vera libertà

In questo tempo di domiciliazione quasi forzata per fermare i contagi da coronavirus, i carcerati hanno molto da insegnare a tutti

Fu così che, d’improvviso, ci siamo trovati tutti in una sorta di carcere a cielo aperto: “Hai visto: sono tutti agli arresti domiciliari pubblici” mi ha detto ieri in carcere il nostro Carmine. Che, alla sua maniera, ha detto ciò che tutta l’Italia, in questi giorni di coronavirus, sta percependo: vivere con la limitazione della libertà non è poi una cosa così bella da sopportare. La libertà, per l’appunto, quella che Cicerone descrive così: “Nessuno può dire che cos’è la libertà se prima non l’ha perduta anche solo per un istante”.

In questi giorni le nostre abitazioni sono diventate il domicilio presso il quale scontare questa forma di arresto domiciliare: dentro, le porte chiuse, gli spostamenti limitatissimi, quasi negati. Le numerose infrazioni di cui l’informazione ci racconta – corredate delle più varie scusanti – mostrano quant’è difficile non poter fare tutto ciò che si vuole. Che il quotidiano chiede: è facile dare la libertà per scontata se nessuno ce l’ha mai tolta. È l’impotenza, al tempo della massima forma di potere (“Della mia vita faccio quello che voglio”).

Il massimo dell’impotenza, poi, è l’impotenza di assistere un nostro parente che è sul punto di lasciarci: “Che strazio, don: mi sento persino in colpa: è morta mia madre e non ho nemmeno potuto starle vicino in queste ore. Sono impotente”.

La medesima impotenza che, per tutt’altre ragioni, fa di una persona libera una persona detenuta: costretta alla privazione degli affetti, impotente di fronte all’imprevedibilità della vita famigliare, frustrata per vedersi capace di fare e non poterlo fare. Il carcere, prima che essere uno spazio fisico, è una evenienza del vivere: a tutti, prima o poi, capita di vedersi limitata la libertà. Fatto strano è che la gente, quando è libera di fare ciò che vuole, sovente si comporta imitandosi a vicenda: per poi recriminarsi le occasioni perse che, fatalità, si riaffacciano alla nostra memoria quando veramente siamo costretti a fare ciò che il Governo ci chiede di fare.

Sono giorni stranissimi, questi: difficili, impantanati, scompigliati. Eppure, proprio in queste giornate, stiamo vedendo un’esplosione di creatività e di fantasia: le canzoni dai balconi, le confidenze da una parte all’altra della via, il vecchio telefono di casa che squilla, la casa che torna casa smettendo di esser nascondiglio. La gente che legge (#chileggenonsiferma), che si riunisce nella lontananza (#chiciseparerà), che ricerca contatti (#iononsonounvirus): l’hashtag, al tempo del coronavirus, ha sostituito i vecchi graffiti sui muri.

Mai, a memoria di questo secolo, il carcere ci è apparso così sotto casa, dentro casa, a portata di mano: “Mi pare di essere come i carcerati, don: è pazzesca la somiglianza tra noi e loro in questi giorni” mi hanno scritto in un messaggio. Scherzi della vita.

Le persone detenute, dunque, potrebbero essere d’aiuto. L’intelligente, sorpreso da un’emergenza, cerca di vedere come altri, prima, hanno risposto ad una simile. A chi abita le carceri, l’emergenza della carcerazione è nota: “No questo, no quello, nemmeno quest’altro”. “No” è la strategia che usa il Governo per arginare il pericolo: delimita uno spazio, da quello spazio non si può uscire. È la fine? No! Alla strategia si può rispondere con una tattica: “Non è problema: dentro quello spazio, però, decido io come vivere. Devo stare in casa? In casa m’invento come vivere-diverso”.

E così una cella di galera diventa, giocoforza, un laboratorio di scrittura, artigianato, cucina. Cella claustrale. Non si evade con il corpo (l’ordinanza è rispettata) ma con l’anima: “Obbedisco: ti lascio il corpo, verrò a riprendermelo finita l’emergenza. Intanto vado a spasso con l’anima”. Ecco perché una tattica, se è intelligente, rende vana una strategia. O, come in questi giorni, rispetta la strategia rendendola fruttuosa. Grandi strateghi, nella storia, sono stati fregati da uomini capaci di incursioni a sorpresa, di tattica. Il carcere, al tempo del virus, per chi lo desidera è un’occasione: nelle galere, da tempo, ci si sta allenando all’emergenza della libertà limitata. Torna utile, oggi.

Fonte: Marco POZZA | IlSussidiario.net

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