Sopra La Notizia

In memoria di Augusto Del Noce (che aveva capito tutto già trent’anni fa)

Nell’anniversario della scomparsa del grande filosofo cattolico pubblichiamo un estratto del volume di Luca Del Pozzo dedicato al ’68

Il 30 dicembre 1989, a poche settimane dal crollo del Muro, moriva Augusto Del Noce, uno dei più grandi filosofi cattolici del XX secolo. Il crollo dei regimi comunisti dell’Est europeo fu un evento imprevisto e imprevedibile, almeno per molti. Non fu così per Del Noce, che anzi aveva intravisto con estrema lucidità e in (quasi) totale controtendenza rispetto alla vulgata di allora – anche cattolica – come il comunismo si sarebbe “suicidato” per arrivare al potere e gestirlo a favore degli interessi della sua burocrazia pseudo-rivoluzionaria, divenuta nel frattempo radical-chic. E se il fallimento del socialismo reale (ma qui bisogna ricordare che per Del Noce parlare di “fallimento” a proposito del comunismo era ambiguo) suonò come la dimostrazione storica della bontà della scelta a favore della democrazia e del capitalismo, per il filosofo cattolico – in questa come in tante altre questioni in totale sintonia con l’allora pontefice Karol Wojtyla – la partita non era affatto chiusa. Un nuovo e, per certi aspetti, più temibile avversario stava prendendo corpo – in estrema sintesi la società post-moderna compiutamente secolarizzata, nichilista e portatrice di un totalitarismo dal volto buono perché fintamente democratico – il che poneva la necessità di ripensare la presenza dei cattolici nella società e nella politica. Restava insomma intatto, seppur in un contesto che stava cambiando velocemente, il “problema politico dei cattolici”. Da qui l’esigenza di riprendere e approfondire un pensiero che non solo conserva intatta la sua validità, ma che anzi oggi forse più di ieri rappresenta, in ambito cattolico ma non solo, una risposta alla situazione culturale, sociale e politica contemporanea che vada nella direzione di un pensiero neo-moderno.

Pubblichiamo qui di seguito un estratto del volume di Luca Del Pozzo, Filosofia cristiana e politica in Augusto Del Noce, (I libri del Borghese, Roma, 2019), dedicato all’analisi delnociana del Sessantotto, che ci sembra oltremodo interessante per mettere a fuoco il processo culturale che in poco più di mezzo secolo ha soppiantato l’antropologia cattolica con una visione dell’uomo ad essa radicalmente opposta.

Il Sessantotto, la contestazione e la rivoluzione sessuale

Nell’ambito della critica delnociana della società opulenta un posto a parte occupa il Sessantotto. Del Noce si occupò del fenomeno a più riprese e in diversi scritti, tutti connotati da un’analisi assolutamente originale e in controtendenza rispetto a quella che era la lettura prevalente, analisi che oggi potremmo a buon diritto definire “politicamente scorretta”. Del Noce vide nel Sessantotto un fenomeno le cui radici culturali confemavano quella lettura della storia della filosofia e la conseguente interpretazione della storia contemporanea italiana che egli andava maturando in quegli anni e che rappresenterà uno, non l’unico, dei lasciti più importanti del suo percorso filosofico ossia la problematizzazione della storia della filosofia e la critica della modernità che storicamente si è affermata. Sono due, in particolare, gli scritti più significativi in cui il filosofo torinese condusse un’analisi approfondita del Sessantotto, nel duplice aspetto della contestazione studentesca e della critica della società opulenta, da un lato, e della rivoluzione sessuale, dall’altro. Veniamo al primo dei due, Appunti per una filosofia dei giovani. Secondo Del Noce la rivoluzione studentesca aveva colto di sorpresa intellettuali e politici, e rappresentava il «frutto morale dell’ultimo ventennio». Sbagliato sarebbe stato isolarla da una questione più generale, che riguardava il rifiuto o, se si vuole, la contestazione da parte dei giovani di un modello culturale e valoriale ben preciso che la generazione precedente aveva prodotto. Sullo sfondo si poneva dunque un contrasto generazionale, o meglio si ri-proponeva dal momento che quello dell’epoca faceva seguito  – a distanza appunto di 24 anni esatti, giusto il tempo di una generazione – al contrasto tra i giovani del ’43-45’ e quelli che lo erano stati nel ’19 -’22. Contrasto di fronte al quale non si trattava nè di essere giovanilisti o di giustificare la contestazione in modo indiscriminato, nè tuttavia di arroccarsi su una condanna tout court. Ma qual era, più in dettaglio, l’oggetto del contendere? Che cosa insomma i giovani contestavano? Per Del Noce la risposta era presto detta: la società opulenta, o tecnocratica o del benessere, ossia quella società che poneva il benessere come fine e non come mezzo. Quale la differenza? Nel secondo caso, la maggior diffusione possibile del benessere risponde all’esigenza di eliminare le cause delle tensioni sociali, è quindi funzionale ad un obiettivo nobile e giusto; nel primo caso invece, il benessere è fine a se stesso come effetto del rifiuto di ogni tradizione religiosa e/o metafisica operata dagli intellettuali, dalla borghesia e dalla politica nel secondo dopoguerra, che ha ridotto l’uomo ad un insieme di bisogni fisici da soddisfare (e come si vedrà più avanti, primo fra tutti la sessualità).

Oggetto della contestazione era in altri termini la società occidentale sorta nel secondo dopoguerra come alternativa al duplice rischio del comunismo e del risveglio religioso.

Ma, questo il punto, una società che aveva fatto propria ed anzi applicandola anche ad esso (appunto perché doveva opporglisi) la critica marxista di ogni autorità e l’affermazione del più assoluto relativismo, conseguente al materialismo storico. Fino al punto di espungere l’altro corno, per così dire, del marxismo, il materialismo dialettico e la dottrina della rivoluzione, in quanto ritenuti un residuo metafisico. Non solo. Mentre il marxismo, pur essendo ateo, conservava un momento religioso (giova ricordare che per alcuni era una forma di messianismo ebraico secolarizzato), la società opulenta invece «[…] è l’unica nella storia del mondo che non abbia origine da una religione ma sorga essenzialmente contro una religione», con ciò sviluppando una forma di empietà addirittura maggiore del marxismo. Dunque, accettazione della morte di Dio e posizione critica nei confronti del marxismo in quanto ancora a suo modo religioso. Da qui anche l’altro aspetto della società opulenta, il suo essere anti-tradizionalista: «[…] la sua prospettiva storica, è, in sostanza, la seguente: nella storia c’è stata una cesura definitiva rappresentata dalla seconda guerra mondiale; non sono stati vinti soltanto fascismo e nazismo, ma l’intera vecchia tradizione europea; e fascismo e nazismo devono essere interpretati come fenomeni conseguenti alla paura del progresso storico, o come si suol dire oggi, della trascendenza, usando questo termine in un significato intramondano. In conseguenza di tale giudizio, chi si richiama alla tradizione è sempre, quale che sia la sua consapevolezza, un “reazionario” o un “fascista” (termini che vengono stoltamente identificati)».

Se da un lato la contestazione contro questa società aveva per Del Noce un aspetto positivo perchè esprimeva la «[…] ribellione della natura umana al processo, insieme di dissacrazione e di disumanizzazione, caratteristico delle due società atee, la marxistica e l’opulenta, la prima delle quali ha il destino, correlativo allo sviluppo economico, di rifluire nella seconda; non vogliono appartenere a questo sistema in qualità di strumenti, il che per altro dovrebbe necessariamente avvenire, perché la società del benessere non conosce che strumenti; e nel voler riaffermare la loro umanità, fanno benissimo», dall’altro l’ottimismo iniziale nei confronti della rivolta studentesca aveva lasciato presto il posto al pessimismo di fronte alla deriva estremistica della contestazione; deriva che pur essendo numericamente minoritaria era riuscita ad imporsi sulla maggioranza. Perché questo? Perché l’estremismo della contestazione non aveva fatto altro che radicalizzare i mali della società assumendo acriticamente gli stessi principi ideali che erano alla base del processo da cui era scaturito quel sistema che si voleva contestare. A partire dal rifiuto di ogni trascendenza religiosa e dall’enfasi data alla scienza, cosa che  – notava Del Noce – conduceva l’estremismo verso il santsimonismo che nell’ottica del filosofo torinese indicava il tentativo di pensare una società compiutamente tecnocratica e di dissolvere «[…] il cristianesimo in una vaga religione dell’umanità». Non solo. Ma attraverso Marcuse (il cui influsso Del Noce riteneva più importante nel processo di cui sta parlando dell’altro nume tutelare del ’68, Mao) e il suo tentativo fallimentare di superare per via marxista la società ad una dimensione, l’estremismo era portato anche a riscoprire – a causa di alcuni temi marcusiani quali l’esistenza come gioco, l’assoluta libertà individuale, ecc. – il fascismo delle origini nel suo iniziale momento negativistico e anarchico. Del Noce vedeva insomma una analogia tra la contestazione studentesca e il fascismo delle origini: «L’« io voglio » indeterminato; il diritto di potere che ha la giovinezza in quanto rappresenta la vita; il momento dialettico cercato nella giovinezza e nella generazione anziché nella classe; la pretesa di andare oltre, in posizione rivoluzionaria, alla borghesia e al comunismo; l’idea di una rivoluzione che parta dagli studenti; il negativismo e l’attivismo (ricordiamoci che il fascismo si presentò inizialmente come antipartito); l’antintellettualismo come avversione alla cultura libresca; il mito del nuovo a ogni costo». Tuttavia, vi era anche una profonda differenza, il fatto cioè che mentre il fascismo originario era connotato dall’idea di nazione, la contestazione all’opposto in quanto fortemente critica verso la tradizione era caratterizzata dalla «[…] volontà di un indeterminato prossimo al «nulla»»[10].

L’estremismo studentesco dissociava così i due momenti del fascismo, quello anarchico e quello nazionalistico conservando solo il primo che tuttavia, a differenza dell’anarchismo puro che aveva a suo modo un certo fascino, era solo volontà di potere e perciò assumeva un indirizzo totalitario. Era pur vero, notava Del Noce, che non bisognava essere troppo severi con gli estremisti,perché questo avrebbe significato ignorare le colpe di chi li aveva preceduti. In primis, per aver confezionato e venduto, o quanto meno per non essersi opposti a che ciò accadesse, una rappresentazione del fascismo assolutamente inadeguata di modo che i giovani contestatori pensavano di rappresentare la quintessenza dell’antifascismo. Detto altrimenti: del fascismo fu data una ricostruzione semplistica e mistificatrice, o “apocalittico-demonologica” che spinse e rafforzò nei giovani quell’atteggiamento di rifiuto totale del passato e della tradizione. La colpa principale della cultura progressista (ma anche di buona parte di quella cattolica) era consistita nel vedere il fascismo come un fenomeno pre-moderno – un errore contro la cultura quando invece per Del Noce fu un errore della cultura – da condannare insieme a tutto ciò che si richiamava, dopo di esso, alla tradizione. Al contrario egli era giunto, dopo un lavoro iniziato nell’immediato dopoguerra e terminato sul finire degli anni ’50, ad una visione del fascismo e del comunismo che gli consentiva di mettere in crisi quello schema culturale che poneva come ineluttabile la vittoria del progressimo: il legame che Del Noce vide tra rivolta studentesca e interpretazione del fascismo confermava le sue intuizioni, motivo per cui il Sessantotto era un fenomeno «gravido di implicazioni filosofiche».

4.2.1 Rivoluzione sessuale e surrealismo

Quest’ultimo spunto, il legame cioè tra la contestazione studentesca e l’interpretazione del fascismo consentirà di lì a poco a Del Noce di approfondire, nel secondo dei saggi citati poc’anzi, L’erotismo alla conquista della società, l’aspetto forse di più immediata percezione del ’68 ossia del ’68 come rivoluzione sessuale, e il suo legame con il surrealismo.

Punto di partenza era che poiché era cambiato il senso del pudore, i codici dovevano adeguarsi ai nuovi costumi. Giudizio condiviso anche da molti cattolici, ma nondimeno assolutamente banale. Perchè? Perchè in gioco non c’era un semplice cambiamento del senso del pudore bensì un giudizio morale tale per cui il pudore era considerato anormale. Non per nulla si parlava di rivoluzione sessuale. Ora, notava Del Noce, tutto l’essenziale della rivoluzione sessuale era stato detto quarant’anni prima da Wilhelm Reich nell’opera intitolata, appunto, La rivoluzione sessuale. Libro che dopo averlo letto «[…] non ci si stupisce più dei costumi presenti nel regno di Danimarca, perchè ne sono la piena attuazione; non ci si stupisce delle proposte più avanzate, sino a quella del matrimonio degli omosessuali […]». Reich, negli anni ’20 e ’30 appartenente al movimento di liberazione sessuale sorto in dipendenza della rivoluzione russa, al posto di borghesia e proletariato sostituì gli assertori della morale repressiva e quelli della morale libertaria in campo sessuale, teorizzando che all’affermazione della libertà sessuale sarebbe conseguita la felicità e, quindi, la fine dell’autoritarismo. Qual era il punto, in cosa consisteva la tesi portante del Reich? Che non erano possibili compromessi tra la morale tradizionale e la liberalizzazione sessuale. E questo perché secondo l’Autore, rilevava Del Noce, «[…] non esiste alcun ordine di fini, nessuna autorità metaempirica di valori». L’uomo non è altro che un insieme di bisogni fisici soddisfatti i quali sarà felice. Ma quale tra i bisogni è più forte di quello sessuale? Dunque, dice Del Noce, «[…] nucleo della vita sarà la felicità sessuale; poiché il pieno appagamento sessuale è possibile, la felicità è dunque raggiungibile»[16]. Detto altrimenti: secondo Reich gli uomini dovevano essere lasciati liberi di vivere la sessualità con l’unico fine della ricerca del piacere – ossia separando sessualità e procreazione – perché solo così sarebbero stati veramente felici. Ed essendo felici, l’umanità avrebbe finalmente raggiunto la pace e la concordia universali. Fintanto che, all’opposto, la sessualità fosse rimasta al servizio della procreazione gli uomini sarebbero stati repressi e, quindi, infelici. Scrive infatti Reich: «[…]la concezione del desiderio sessuale inteso al servizio della procreazione è un mezzo di repressione della sessuologia conservatrice, E’ una concezione finalistica e dunque idealistica. Presuppone dei fini che devono essere necessariamente di origine sovranaturale. Reintroduce un principio metafisico e perciò tradisce un pregiudizio religioso o mistico». Il Sessantotto facendo sua questa teoria (e tra breve si vedrà come) separò così la sessualità dalla procreazione, teorizzando che si poteva e si doveva fare sesso senza la “scocciatura” di poter avere un figlio.

Dunque, la parola d’ordine del Reich fatta propria dai sessantottini era: liberazione sessuale. Ma questo implicava abbattere l’istituto sociale repressivo per eccellenza, ossia la famiglia monogamica tradizionale in quanto portatrice dell’idea di tradizione cioè di un ordine di verità immutabili da, appunto, tradere, trasmettere, consegnare da una generazione all’altra. Se infatti non esiste alcun ordine di valori immutabili e di verità meta-empiriche, ne consegue che la famiglia, deputata alla trasmissione di quell’ordine, non ha più motivo di esistere. Il motivo di tanto accanimento contro la famiglia è chiaro:

«L’idea di matrimonio monogamico indissolubile e le correlative (pudore, purezza, continenza) sono legate a quella di tradizione che, a sua volta, in quanto «tradere» è consegnare, presuppone quella di un ordine oggettivo di verità immutabili e permanenti…Ma se noi separiamo l’idea di tradizione da quella di ordine oggettivo, essa deve di necessità apparire come il «passato», come «ciò che è superato», come «il morto che vuole soffocare il vivo»; come ciò che deve essere negato per poter ritrovare l’equilibrio psichico. All’idea del matrimonio indissolubile, deve sostituirsi l’unione libera, rinnovabile o solubile in qualsiasi momento. Non si può parlare di perversioni sessuali, anzi le forme omosessuali, maschili o femminili, dovranno essere considerate come le forme pure dell’amore».

Un punto importante da sottolineare è che la rivoluzione sessuale è tanto distante dall’idea di tradizione, e quindi di passato, quanto da quella di avvenire e di futuro tipica della rivoluzione politico-sociale. La liberazione sessuale è puro presente, senza passato e senza futuro. Da ciò la ricaduta nell’animalismo da cui sottrarsi con l’evasione nei paradisi artificiali della droga.

Siamo dunque arrivati alla conclusione, solo in apparenza paradossale, che il precursore della rivoluzione sessuale esplosa nel ’68 fu il Reich nel suo tentativo di una psicanalisi rivoluzionaria, cioè di voler tenere insieme Freud e Marx esattamente come era il clima di quegli anni e nonostante le sue idee fossero state respinte negli anni ’30 sia dalla psicanalisi che dal marxismo.

Dal che si chiedeva Del Noce: come era stato possibile che le idee del Reich, formulate negli anni ’30, avessero trovato piena attuazione nel ’68 e senza una sua diretta influenza? (Reich morì infatti nel ’57).

Era innegabile, infatti, che l’esplosione della rivoluzione sessuale fosse avvenuta negli anni ’60, e in particolare sul finire di essi, tramite la sempre maggiore diffusione della letteratura erotica e della pornografia, del pudore che viene al più tollerato e in generale dello scandalo dei benpensanti che viene condannato senza remissione, anche con l’immancabile appoggio di quei cattolici (non pochi) per cui, notava il filosofo torinese, «[…] questa condanna è segno di progresso nella carità; sempre il demoniaco si insinua contrapponendo delle verità e delle virtù che, scisse, diventano errori: in questo caso, la carità e il rispetto dell’ordine oggettivo dell’essere».

E come mai sono stati i partiti comunisti e in generale la sinistra e la psicanalisi a farsi promotori della nuova morale sessuale, nonostante la delusione di Reich nei confronti della Russia sovietica, da un lato, e il fatto che il comunismo ortodosso avrebbe visto le sue tesi come espressione di una borghesia decadente?

Per rispondere a questa domanda occorreva rifarsi a quella che era la situazione culturale dopo il ’45. Vi erano due atteggiamenti: da un lato la paura del comunismo, insieme a quella di un risveglio religioso, ancorchè il contributo delle forze religiose fosse ritenuto decisivo per fermare l’avanzata comunista; dall’altro, l’atteggiamento del “millenarismo negativistico”, ossia di un pensiero per cui la crisi dell’Europa che non aveva saputo opporre resistenza al fascismo e al nazismo coincideva con il rifiuto dell’idea di tradizione che quell’Europa aveva coltivato.

Per quanto riguarda il primo atteggiamento, in particolare per quel che concerne l’avversione degli intellettuali nei confronti del cristianesimo, Del Noce rileva un ruolo decisivo nella formazione di questa avversione nel surrealismo. Surrealismo che non fu soltanto un fenomeno artistico ma prima ancora filosofico in quanto portatore di «[…] un atteggiamento totale di vita, diretto a rappresentare la pienezza dell’idea rivoluzionaria, nel suo aspetto primo, per cui cui vuol essere frattura radicale col passato e cominciamento di una nuova storia».

In sintesi, il surrealismo propugnava la riappropriazione da parte dell’uomo dei poteri che aveva proiettato fuori di sé in Dio, per dare vita ad una nuova realtà disallineata e perciò felice. In questo senso era forte il legame con il marxismo. Da esso tuttavia il surrealismo prese progressivamente le distanze perché se comune era il fine, diverso era ritenuto il mezzo: rivoluzione sociale e politica per il marxismo, rivoluzione culturale e dei costumi, per il surrealismo. Onde per cui dall’iniziale adesione nel 1930 passando per il dissenso con lo stalinismo si arrivò alla rottura definitiva del 1947 sancita dal Manifesto di quell’anno, Rupture inaugurale,che Del Noce lesse  insieme al lavoro preparatorio di H. Pastoureau, Per un’offensiva in grande stile contro la civiltà cristiana, il cui titolo era oltremodo emblematico, e dove il tema della rivoluzione sessuale era fortemente presente. Intanto, vediamo l’obiettivo dell’offensiva surrealista in queste parole di André Breton: «Rovinare definitivamente l’abominevole nozione cristiana del peccato, della caduta originale, dell’amore redentore, per sostituirgli con tutta certezza quella dell’unione divina dell’uomo e della donna…Una morale basata sull’esaltazione del piacere spazzerà presto o tardi l’ignobile morale della sofferenza e della rassegnazione, mantenuta dagli imperialismi sociali e dalla Chiesa. Alla tirannia dell’uomo dovrà sostituirsi…un regno della donna».

Chiarito l’obiettivo, qual era la critica del surrealismo al marxismo? Il fatto che il vecchio mondo cristiano non poteva essere abbattuto dal mutamento dei rapporti economici; anzi, se si guardava alla storia nulla lasciava presagire che così come il capitalismo aveva saputo adattarsi alla civiltà cristiana ad esso preesistente, allo stesso modo poteva accadere con il marxismo. In altre parole, non vi era garanzia, ed anzi tutto portava ad escluderlo, che fatta la rivoluzione marxista l’ordine cristiano sarebbe stato debellato. E questo perchè i costumi cambiano più lentamente rispetto all’economia, motivo per cui se si voleva davvero portare un colpo mortale al cristianesimo occorreva tornare – diceva il Manifesto – «[…] ai costumi, oggetto delle nostre preoccupazioni più costanti; sarebbe assurdo contare solo sulla rivoluzione politica per mutarli… Sade e Freud, al contrario, hanno aperto la strada. Qualunque sia la dottrina che deve succedere al cristianesimo, vediamo in Sade e Freud i precursori designati della sua etica».

Fu così che se da un lato ci fu rottura tra marxismo e surrealismo, dall’altro quel Manifesto segnò nei fatti l’inizio di una collaborazione che si sarebbe svolta separando i piani e i mezzi: l’avanguardia surrealista avrebbe operato sul costume e scardinato dalla coscienza dei borghesi la diga contro il comunismo promuovendo la rivoluzione sessuale, mentre il comunismo avrebbe a sua volta operato a livello politico. Insomma, tramite Sade il surrealismo recuperava Reich e la sua idea di completare il marxismo con la nuova morale sessuale al fine della rivoluzione totale. Come? Operando sui costumi sociali attraverso l’arte.

Quanto al secondo atteggiamento, il “millenarismo negativistico”: il fenomeno è strettamente congiunto col primo. Si sviluppò infatti, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, un’intera industria culturale a servizio di quell’atmosfera millenaristica negatitivistica per cui letteratura cinema ecc. dovevano dissacrare il passato, demitizzare, disalienare e demistificare. In tale contesto la diffusione dell’erotismo, per l’aspetto di critica alla tradizione europea fondata su un ordine oggettivo e metaempirico di valori, era strumentale alla nascita di una nuova morale.

Non solo. Accanto all’industria culturale a servizio, per così dire, dell’educazione delle masse alla nuova morale, sul terreno dell’intellettualità laica, cioè ai piani alti della cultura, si formò una vera e propria “repubblica delle lettere” il cui «[…] programma era quello di una continuità illuministica tra liberalismo e comunismo, esigente una reciproca riforma».

Riforma che per il liberalismo, per cessare di essere borghese, significava ritrovare l’antitradizionalismo illuminista ossia promuovere l’abolizione di ogni divieto o, per dirla con i temini di allora, ogni “tabù” in primis quello sessuale. Laddove insomma Gramsci intendeva muovere da Croce a Marx, la nuova borghesia illuminata – che avrà più tardi nel quotidiano la Repubblica la punta di diamante di tale operazione – intendeva retrocedere da Marx a Diderot, ciò che fatalmente la portò ad incontrare Sade.  Fu così che la nuova borghesia illuminata, facendo propria la critica marxista dei valori (ma allo stesso tempo opponendosi ad esso a livello economico) e con una rinnovata spinta liberale nel senso poc’anzi detto, si ritrovava sulla stessa lunghezza d’onda dell’avanguardia nel proporre una nuova morale sessuale.

Detto altrimenti: la neo-borghesia, quella borghesia che oggi potremmo definire “radical-chic” e che si rispecchia in giornali e grupi editoriali ben precisi i quali hanno avuto un ruolo decisivo nella diffusione del laicismo, trovava nella rivoluzione sessuale l’arma per opporsi alla rinascita religiosa da essa temuta e per arginare il predominio cattolico; e fu così che nacque quella “strana” alleanza tra borghesia e intellettuali. Ma lo stesso può dirsi del capitalismo, nella misura in cui esso vedeva nella nuova etica dei costumi un argine, un freno per tenere a bada le istanze rivoluzionare o eversive a mano a mano che si espandeva la libertà sessuale: essendo felici per via sessuale, gli uomini non avrebbero ceduto alle sirene delle rivendicazioni salariali e alle spinte eversive. Questo spiega anche come mai nella società del benessere possono benissimo sussistere le diseguaglianze economiche, coerentemente d’altronde con la tesi del Reich che vedeva negli Usa, patria per eccellenza del capitalismo, il terreno più fertile per la diffusione della sua rivoluzione, anziché l’Urss.

L’importanza dell’analisi sin qui esposta sta nel fatto che Del Noce fu tra i primi, se non il primo, a porre il problema del surrealismo o meglio a rintracciare nel surrealismo il fenomeno che meglio e più di altri sferrò un attacco decisivo al cristianesimo tramite la rivoluzione sessuale. Ma nell’ottica di Del Noce l’offensiva dell’erotismo non ebbe successo solo grazie alla campagna anticristiana condotta dal surrealismo e dalla nuova borghesia laica; decisiva fu anche, in senso negativo, la miopia culturale della Chiesa di allora nell’interpretazione di ciò che stava accadendo. E questo per diversi motivi:

  1. tra il ’45 e il ’60, essendo la gerarchia più interessata a contrastare il comunismo non ci si rese conto della portata rivoluzionaria dell’avanguardia artistica e letteraria in ambito sessuale. Col risultato di confondere l’erotismo con la pornografia: non si vide insomma che in gioco non c’era semplicemente il fatto che si faceva un uso maggiore della pornografia, ma che ciò che fino a ieri era ritenuto un disvalore ora invece era affermato come valore. Per tacere di quei cattolici, diceva Del Noce,  «[…] nei cui occhi passa una luce d’estasi quando sentono pronunziare la parola «mondo», pronti come essi sono a giustificare ogni aberrazione, come protesta a un cattolicesimo di ascesi e di mortificazione; sicché qualsiasi aberrazione ha bisogno, per costoro, soltanto di essere consacrata e benedetta»;
  2. c’è anche un altro aspetto che dice della scarsa lungimiranza di allora: a partire dalla Resistenza ampi settori del clero iniziarono a dare più importanza alle virtù sociali o politiche a scapito di quelle private come la castità o il pudore su cui troppo si sarebbe insistito dalla Controriforma in poi, giudicata ovviamente in modo negativo per quell’atteggiamento che aveva influenzato anche la teologia e la pastorale di allora. Si creò in tal modo una pericolosa separazione tra le virtù, i cui effetti condurranno di lì a poco al fenomeno, in sè devastante, della progressiva protestantizzazione della morale e della fede ossia della riduzione del fatto cristiano negli angusti anfratti della coscienza, e della separazione più generale tra vita (governata dalle virtù pubbliche cioè laiche) e fede (confinata nel privato); né meno gravi, nell’ottica del filosofo torinese, erano i tentativi già in atto all’epoca di superare tale divisione sia nel senso di una conciliazione tra cattolicesimo e comunismo sia nel senso di una sostituzione delle virtù private, espressione del passato, con quelle pubbliche, più adatte alle esigenze del presente. Quanto al primo, Del Noce giudicava, in quegli anni almeno, quella prospettiva “pericolosa e illusoria”; inoltre, era viziata da una visione errata dell’esplosione dell’erotismo visto come risposta/reazione dei giovani al vuoto dell’occidente, mentre invece la rivoluzione sessuale stava accadendo perché i giovani erano pieni di una ideologia ben precisa; quanto al secondo, era questa la linea di un cattolicesimo “secolarizzato” o, se si preferisce, progressista che in tanto sentiva il richiamo del “mondo” in tanto assumeva posizioni politiche a senso unico. Col risultato che alla discriminazione tra le virtù seguiva una discriminazione tra lotte giuste e meno giuste: «[…] evidentemente, per questi cattolici, i poveri perseguitati tradizionalisti, e comunque non cari alle sinistre, cessano automaticamente di essere poveri e perseguitati. Si è tanto parlato della «falsa coscienza» delle destre; ora il discorso è esaurito, e si dovrebbe parlare della «falsa coscienza» di certe sinistre»;
  3. da ultimo, Del Noce imputava l’avanzata senza ostacoli dell’erotismo anche alla miopia politica della DC colpevole ai suoi occhi di un realismo, ma ben si potrebbe definirlo cinismo, “astratto e falso” a motivo del fatto che la classe politica di allora aveva confuso quelli che erano fattori ideali con fattori economici.

In conclusione, tre erano le cause alla radice della rivoluzione sessuale: l’anticristianesimo politico, il conservatorismo degli schemi progressisti della cultura laica e l’incompresione del fenomeno da parte cattolica. Su quest’ultimo punto, sul fatto cioè della miopia e dell’incomprensione del fenomeno Sessantotto giova sottolineare che in realtà la denuncia di Del Noce non fu circoscritta alla Chiesa ma si estese anche alla borghesia e al marxismo stesso. Fu insomma una miopia collettiva e generalizzata, a causa della quale non ci si s’accorse della novità ideale della rivoluzione sessuale e della sua portata totalitaria. E a tal riguardo non fu certo un caso se il filosofo torinese, mutuando il termine da Proudhon, parlò di “pornocrazia”. Del Noce contestava fermamente che la rivoluzione sessuale fosse un fenomeno solo “quantitativo” ossia di una semplice maggiore diffusione di un qualcosa, la pornografia, che in fondo c’era sempre stato; al contrario, egli vedeva nella rivoluzione sessuale un salto qualitativo. Così come la miseria esisteva prima di Marx, ma solo con Marx essa venne teorizzata come una forza in grado di dar luogo ad una nuova società, allo stesso modo le pratiche erotiche come anche la pornografia esistevano prima della psicanalisi, ma solo con la psicanalisi il sesso divenne forza liberatrice. In Europa l’esplosione della sessualità ebbe una causa ideale, da rinvenire nell’incontro tra le tesi del Reich e il surrealismo, entrambi poggianti sull’unione di marxismo e freudismo e sull’idea che una rivoluzione veramente totale doveva partire dai costumi. Non si trattava insomma di portare il lassismo all’eccesso, si trattava piuttosto di negare l’idea stessa di tradizione tanto religiosa quanto metafisica. Il termine stesso di “rivoluzione” era più che pertinente: perché esso diceva di una nuova storia, di un nuovo principio, di una nuova creazione: quindi critica radicale della tradizione. Nell’ottica rivoluzionaria la realtà data non può essere accettata perché essa implicherebbe l’accettazione di un principio, di un inizio. Qui è da rinvenire in nuce il perno centrale della critica, che Del Noce stava sviluppando proprio in quegli anni in dialogo con Eric Voegelin al quale – come è stato giustamente sottolineato – riconoscerà il merito di averne individuato i tratti salienti, le aporie e le contraddizioni – del “perfettismo” moderno come tratto tipico dell’ideologia rivoluzionaria in senso lato. Perfettismo che a differenza dell’utopismo classico e tradizionale di Platone, Moro, Campanella, ecc., in cui «[…] il disegno della città ideale rappresentava non già ciò che poteva essere realizzato…ma un modello…che serviva…a determinare l’inadeguatezza e la lontananza dall’ideale della realtà esistente, certamente per correggerla ma senza speranza  di trasformarla in una società perfetta»,  si definisce piuttosto  – mutuando l’espressione da Rosmini – come “quel sistema che crede possibile il perfetto nelle cose umane e che sacrifica il bene presente alla immaginata futura perfezione”.

Detto altrimenti, l’insidia del perfettismo, in ciò debitore dello gnosticismo,  consisteva nel ritenere che il male potesse essere eliminato alla radice, e partendo da ciò che fosse possibile per l’uomo costruire una società perfetta tramite un processo di auto-redenzione che avrebbe ultimamente trasfigurato la natura umana. Ciò che appunto rappresentava l’essenza della rivoluzione.

Se insomma poté instaurarsi nella società un regime “pornocratico” questo fu dovuto principalmente a causa della miopia ma anche della timidezza di chi, in nome dei suoi principi, avrebbe dovuto opporvisi. Atteggiamento che a sua volta derivava dalla paura di esseri tacciati di “fascismo” (e delle sue varianti: conformismo, tradizionalismo, chiusura, ecc.) onde per cui l’antifascismo di allora avrebbe necessariamente sposato la causa pansessualista, con ciò tuttavia spianando la strada ad un nuovo totalitarismo. Si trattava infatti di un antifascismo che nulla aveva a che vedere con quello “storico” ma che era anzi un semplice rovescio del fascismo.

Fonte: | Tempi.it

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