Un dialogo scioccante quello tra una bimba che chiede insistentemente il motivo per il quale non può più vedere e riabbracciare i suoi genitori naturali, mentre psicologhe, assistenti sociali e la coppia di affidatari – tutti indagati – la incalzano con domande e false affermazioni per manipolare la realtà e instillarle mille dubbi. È solo una delle intercettazioni dell’inchiesta “Angeli e demoni” sugli affidi illeciti, in corso nella provincia di Reggio Emilia per fare chiarezza su un presunto sistema criminale i cui protagonisti avrebbero plagiato bambini inermi per stilare false relazioni che ne giustificassero l’allontanamento dalle famiglie naturali per essere affidati ad altri nuclei familiari. Se fossero dimostrate le gravi responsabilità imputate agli indagati, come potrebbero questi bimbi superare il trauma subito, ricostruire la propria identità dissolta e riacquistare fiducia in sé e negli adulti che li circondano? Lo abbiamo chiesto a Francesca Giordano, docente di psicologia dell’infanzia all’Università Cattolica di Piacenza ed esperta di impatto traumatico e processi di resilienza in minori vittime di genocidi, guerra, migrazioni forzate e calamità naturali, che premette:

“Se la magistratura dimostrerà la fondatezza delle accuse, quello che hanno subito questi bambini è paragonabile ad una tortura psichica.

Organi di stampa riferiscono che tra loro si stanno riscontrando uso di sostanze e atti di autolesionismo; reazioni all’impatto subito da

un’esperienza devastante che ha colpito i pilastri sui quali si costruisce l’identità di un individuo e la sua capacità di vivere, crescere e svilupparsi”.

 

Per farlo, spiega, “ognuno di noi ha bisogno di sentirsi degno di considerazione e di amore da parte dei genitori: è un elemento fondamentale nel processo di crescita. Purtroppo, la manipolazione del mondo interno e i conseguenti sensi di colpa e di vergogna legati all’esperienza di abuso e maltrattamento inculcata nella mente di un piccolo facendogli credere di essere stato realmente vittima di questi abusi, rischia di minarne il ‘sé meritevole’. In un bambino le memorie vengono costruite sulla base di esperienze precedenti reali, oppure abilmente inculcate che lo convincono di averle realmente vissute. Una sindrome dei falsi ricordi, in questo caso di abusi, che lo fa sentire ‘sporco’”. “Se i fatti fossero dimostrati – prosegue l’esperta – in questi piccoli sarebbe stato inoltre colpito il senso del mondo esterno, la distinzione tra realtà e finzione generando disorientamento e confusione sulla loro identità e la loro storia. Ora, a distanza di anni, “si troverebbero a dover ricostruire il proprio sé e il proprio vissuto”.

Il terzo aspetto è la

“perdita di fiducia nella solidità protettrice del mondo esterno”.

Per un bambino è fondamentale ritenere che “il mondo sia benevolo e disposto a proteggerlo. Un assunto, secondo le accuse, distrutto, e per ben due volte. A questi bimbi sarebbe stato fatto credere che loro genitori fossero abusanti e per un figlio non c’è nulla di più doloroso. Ho avuto esperienza di bambini realmente vittime di maltrattamenti, che si assumevano ogni colpa pur di non riconoscere che i genitori non volessero loro bene”. Come se non bastasse, queste piccole vittime di plagio dovrebbero oggi constatare che

“tutto il sistema di supporto – assistenti sociali, psicologi, educatori, genitori affidatari – li ha ingannati.

Questo può minarne la possibilità di mettere in atto relazioni positive anche in futuro”. Di qui la tossicodipendenza come “fuga da un mondo non benevolo e rifugio in un’altra realtà”, e l’autolesionismo come modo di sentirsi vivi, procurandosi ferite e sofferenza fisica, dopo essersi distaccati da “una sfera emotiva troppo dolorosa”.

Se i fatti venissero comprovati, come aiutare questi bambini? “La prima cosa – risponde Giordano – è fare chiarezza su quanto è effettivamente loro accaduto per aiutarli ad uscire dal caos tra realtà e finzione.

Dovrebbero riappropriarsi della propria identità e del proprio passato che è come se non appartenesse loro”.

Al tempo stesso occorrerebbe valorizzare il gruppo. Secondo l’esperta, “il fatto che diversi bambini subiscano lo stesso tipo di violenza è un fattore protettivo perché la ricostruzione dei vissuti può avvenire all’interno del gruppo e questo può essere un elemento di forza”. La condivisione può insomma aiutare il processo di ricostruzione della realtà, a condizione che “sia condotta e coordinata con grande consapevolezza da parte dello psicologo”.
A questi elementi che devono procedere in parallelo si dovrebbe aggiungere un “grosso lavoro sulla

ricostruzione del sentimento di fiducia nell’altro,

gravemente intaccato e per ben due volte: prima con la perdita di fiducia nei genitori naturali e poi in chi avrebbe dovuto prendersene cura. Esperienze che compromettono la possibilità del bambino di fidarsi ancora”. Occorrerebbe dunque ricostruire nei bambini la fiducia nei genitori veri, dopo anni nei quali sono stati ritenuti maltrattanti, attraverso un “percorso terapeutico di accompagnamento e di riavvicinamento del genitore al figlio che comprenda anche momenti di condivisione di ciò che questa violenza ha generato negli uni e negli altri, delle aspettative dei figli nei confronti dei genitori e del significato che per questi ultimi ha la genitorialità. Un percorso a tutti gli effetti terapeutico”.

Come giudica il comportamento – se verrà dimostrato – di questi suoi colleghi? “Una gravissima violazione, per meri interessi economici, dell’etica e del codice deontologico professionale, una ingiustificabile manipolazione delle competenze che acquisiamo e delle tecniche che apprendiamo e che vanno usate con estrema cautela”. E conclude.

“Se fosse vero, quelle utilizzate sono tecniche di tortura psichica, le cui ferite si rimarginano molto più difficilmente di quelle della tortura fisica”.

Fonte: Giovanna Pasqualin Traversa | AgenSir.it