“ I miei figli erano perfetti “ – diceva sempre Chiara. Entro, in ritardo come sempre (signor vigile, dopo tre giri del quartiere ho lasciato l’auto in divieto, ma lei capirà, devo andare a sentire padre Vito D’Amato, il padre spirituale di Chiara Corbella Petrillo, quindi lei non mi farà la multa, giusto? E se lei per caso dovesse non avvertire questa come un’esigenza primaria, poi me la toglierà, la multa, giusto?), insomma, arrivo trafelata e sento queste parole per prime. La giornata comincia bene. E prosegue meglio.
Questo Yes to life più che un convegno è un canto alla vita. Si alternano dal palco dei relatori le esperienze di chi ha detto sì alla vita, da tutti i punti di vista: come madre, come padre, come medico, come psicologo, come bioeticista, come operatore, come amico e accompagnatore di chi ha dovuto portare un peso per dire sì alla vita. Caring for caregivers è il titolo di un intervento, per esempio. Perché non sempre dire sì è leggero: a volte c’è un peso da portare, e non bisognerebbe mai essere lasciati soli. E’ per esempio quello che ha fatto fra Vito: ha aiutato Chiara ed Enrico a vedere la bellezza a cui erano stati chiamati, con quei due primi figli malati, e vissuti solo poche ore. E poi con il tumore che ha ucciso (il corpo di) Chiara. “Fra Vito” – racconta Chiara in un filmato meraviglioso – ci ha insegnato a credere alla provvidenza, e a questo Padre che non ti fa mai mancare niente. Egli che non ha risparmiato suo figlio ma lo ha donato per noi, come non ci darà ogni cosa con lui?”.
Arrivare a credere all’amore di Dio, arrivare a credere che Dio è Padre e che fa bene tutte le cose, è il punto di arrivo di ogni cammino, e anche fra Vito dice di essere stato costretto da Chiara ed Enrico a fare la sua parte di cammino, per essere sempre più certo dell’amore paterno di Dio. E’ nel rapporto con lui che possiamo percepire noi stessi e gli altri come un prodigio: solo se crediamo davvero, non solo a parole, che Dio è Padre e che ci ama, possiamo arrivare, come Chiara, a dire che sono perfetti dei bambini che non possono vivere. Sono perfetti perché hanno compiuto la loro missione nel mondo, lasciarsi amare e mostrare che Dio è Padre, tanto è vero che fra Vito avrebbe voluto che anche loro venissero beatificati con la mamma (ma per ora questo non è previsto dalla Chiesa). Hanno fatto ciò che è scritto sulla tomba di Chiara: “L’importante nella vita non è fare qualcosa, ma nascere e lasciarsi amare”. Solo così rendiamo la nostra vita invidiabile, e gli altri si innamoreranno non delle nostre idee né della nostra coerenza, ma del fatto che sappiamo di essere amati. Questo solo vince la paura.
Oggi intorno alla nascita c’è una gran paura: paura nei genitori, nei medici, negli infermieri, paura, ansia di controllo. Si ha paura perché non si ha la certezza di essere amati. Per questo abortire un bambino è abortire se stessi, cioè ammettere di non credere di essere amati, e che questo Padre che ci ha mandato quella vita se ne farà carico, perché è più padre lui di quanto siamo madri noi. Il vero miracolo dunque per Chiara è stato vivere tutto come una grazia, tutto quello che dal mondo sarebbe stato percepito come una sfortuna, anzi una serie di sfighe una dietro l’altra: un figlio malato, poi un altro figlio malato, poi un tumore. Invece lei ha consegnato i suoi progetti a Dio. Solo, gli ha chiesto “fammi capire come vivere quello che sta succedendo”.
Anche Chiara ha avuto i suoi combattimenti. Nel video racconta di aver passato una notte insonne, al pensiero di lasciare Enrico da solo con il figlio (una sola, mi chiedo?); poi ha pensato “no, così non si può vivere”; e ha cominciato a chiedere al Signore: “Come mi renderai felice con due bambini morti?” e poi “Come mi renderai felice anche se devo morire?” e ha cominciato a chiedere la grazia di vivere la grazia, cioè di prendere tutto quello che stava succedendo come un dono di Dio. Lì è iniziata la rivelazione: comunque si presenta una persona davanti a noi ha tutto quello che le serve per essere felice. E così nel video, girato a due mesi dalla morte, quando lei già sapeva di essere una malata terminale, Chiara arriva dire che è un privilegio sapere in anticipo di morire, perché così si può dire ti voglio bene a tutti.
Mentre fra Vito raccontava, mi echeggiava nella mente il racconto di David Buggi, così simile per tanti aspetti. Anche lui nella malattia ha avuto la stessa rivelazione. Dio è un Padre buono, che ci vuole solo felici, e tutto quello che arriva da Lui è dono. Così una notte, pregando, a 17 anni, sul letto di ospedale, facendo la chemioterapia, sapendo di essere molto probabilmente destinato a morire presto, ha avuto la certezza di essere amato, e allora “è cominciato l’anno più bello della mia vita”. Per ricordare questi due fratelli maggiori nella fede – chissà se in cielo si fa amicizia, o meglio chissà in che modo – ricordo che quest’anno la messa per il settimo anniversario della morte di Chiara sarà celebrata domenica 16 giugno 2019 nella basilica di San Lorenzo al Verano, a Roma. L’appuntamento è alle 18,30 (alle 18,00 le prove dei canti). I sacerdoti che volessero concelebrare dovranno portare camice e stola bianca.
Per David Buggi invece l’anniversario è il secondo, e ci sarà una messa il 18 giugno alle 19,30 nella parrocchia di san Giovanni Battista de La Salle in via dell’Orsa Minore 59. Celebrerà il suo padre spirituale, don Pierangelo Pedretti, e vi consiglio assolutamente di non perderla per nessun motivo!
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