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“Ecco perché il liceo classico è la scuola del domani”

Colloquio con Cristina Boracchi, la preside della scuola secondaria più prestigiosa d’Italia secondo la classifica della Fondazione Agnelli: “Alla base di tutto non c’è solo l’istruzione ma anche esperienze legate alla società e al volontariato”.

«Ci fa piacere, ma abbiamo i piedi per terra e sappiamo che dobbiamo lavorare sempre al meglio». Cristina Boracchi con voce sobria ma soddisfatta, commenta così gli ottimi risultati del liceo classico che dirige, uno dei tre ordini di scuola che insieme al liceo linguistico e al liceo delle scienze umane formano l’Istituto di istruzione secondaria “Daniele Crespi” di Busto Arsizio, in provincia di Varese. La classifica, che vede la scuola del Varesotto salire al primo posto e lasciare indietro anche i licei classici prestigiosi di tutta Italia, è stata redatta dai ricercatori della Fondazione Agnelli per il progetto eduscopio.it, nato con l’obiettivo di valutare gli esiti successivi alla formazione secondaria (risultati universitari e lavorativi dei diplomati) per delineare così la qualità dell’offerta formativa delle scuole da cui i ragazzi provengono. «Eduscopio – spiega la preside del liceo, premiato anche dalla Regione Lombardia – dice che cosa succede ai nostri ragazzi quando, con le competenze che abbiamo fornito loro, entrano nel mondo dell’università: il loro rendimento universitario fa da cartina di tornasole rispetto alla preparazione ricevuta».

E ciò che del liceo classico Crespi di Busto Arsizio si racconta è cosa molto buona, in termini sia di  media dei voti conseguiti agli esami universitari sia di percentuale di crediti ottenuti. Quale il segreto?

«Sicuramente è merito di un corpo docenti che lavora molto in sintonia, secondo regole condivise e degli studenti che sono effettivamente motivati: noi non facciamo screening di accoglienza, quindi accogliamo chiunque voglia essere motivato allo studio e che si lasci guidare dalle nostre scelte. Elemento virtuoso è anche  la bella alleanza con le famiglie, perché loro condividono non soltanto un progetto didattico, ma anche e soprattutto un progetto educativo. Non è una scuola che pensa solo a costruire il bravo studente, ma a costruire anche un cittadino responsabile e attivo. Parliamo anche di valori».

Quali in particolare?

«Abbiamo moltissimi progetti di accoglienza, di restituzione al territorio del valore aggiunto che produciamo. C’è un settore di volontariato molto attivo: è aperta da due anni la scuola di italiano per gli stranieri che sono nelle comunità di accoglienza, con il coinvolgimento di docenti e ragazzi, con grossa fatica visti gli orari pomeridiani e serali, ma anche con grande dedizione da parte di tutti. Pianifichiamo, poi, moltissime attività nel terzo settore. Inoltre siamo scuola polo del centro di promozione della legalità, istituito in Lombardia in ogni provincia: questo tema è particolarmente sentito e trattato, anche con interventi di personalità significative».

Un liceo classico che non è per niente antico, come qualcuno potrebbe pensare.

«Il liceo classico di oggi non è quello che abbiamo frequentato noi quarant’anni fa, è molto diverso: coniuga un impianto forte dal punto di vista didattico, molto solido, con l’innovazione metodologica. Abbiamo iniziato l’alternanza scuola-lavoro, ad esempio, undici anni fa; inoltre esiste un’implementazione della lingua straniera grazie alla presenza del conversatore madrelingua e si dà spazio alla didattica digitale. L’innovazione e la tradizione sono ben coniugate: forse è proprio questo il segreto del successo. Abbiamo reinserito la storia dell’arte nel biennio, perché l’educazione umanistica deve partire fin dall’inizio nella sua interezza, ma abbiamo implementato l’area scientifica con un’ora in più di matematica e un’ora in più di laboratorio di scienze perché i nostri ragazzi, poi, vanno a studiare anche fisica, matematica, medicina. E superano i test di ammissione alle facoltà senza problemi».

Con uno spirito di collaborazione tra vecchio e nuovo anche nelle risorse umane.

«La cosa bella è che i docenti di fresca nomina, che hanno passione, vivacità, voglia di innovare, contagiano e si fanno contagiare dall’impianto solido didattico dei decani, quindi c’è anche una trasmissione dei saperi. Questa stima reciproca aiuta molto e crea un bel clima di lavoro». Un clima che si respira nei toni, nel sorriso: un ambiente in cui tutti, dirigente compresa, vivono e lavorano con piacere.

Fonte: Maria Gallelli | FamigliaCristiana.it

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