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«Maestri e maestre di vita esistono». È vero, ed è vero che ci aspettano sempre

Caro direttore,
vorrei affidare ad “Avvenire” questa riflessione sui nostri «buoni maestri» di vita. Ho avuto infatti la grande, grandissima gioia, di trovare lungo il cammino in suor Tarcisia Fornasero, una suora domenicana, la mia indimenticabile «maestra di vita». E credo che testimonianze di buon insegnamento come questa – tanto più oggi quando l’attualità ci restituisce invece troppo spesso storie di “cattivo” insegnamento, di violenze sui piccoli (come anche in questi giorni racconta il tuo giornale) – possano aiutarci a riflettere.
Perché forse non avrei costruito un futuro con parole, scrittura e la nostra bella lingua italiana, forse non sarei la persona che sono, non guarderei al mondo e alla vita con occhi di riconoscenza, se non ci fosse stata lei, la suor Tarcisia della mia infanzia. Al mio fianco, sempre. Per una vita intera, da quando avevo tre anni e frequentavo l’asilo delle suore domenicane a Carrù, in Piemonte. A distanza di più di quarant’anni ci sentivamo ancora ogni mese, l’ho vista l’ultima volta una settimana fa in ospedale, «ero sul punto di morire ieri, ma sono ancora qui, ti ho aspettata», mi ha detto con la sua bella voce fiaccata dalla veloce malattia. E quelle parole hanno riacceso nei pensieri i ricordi dell’insegnamento di una vita.
Perché Suor Tarcisia Fornasero – alla quale Mondovì, in Piemonte, ha dato l’addio lunedì 3 luglio nella chiesa dei Santi Giovanni ed Evasio vicino al convento delle Suore Domenicane di Carassone di cui faceva parte – sapeva guardare negli occhi dei suoi piccoli allievi e individuarne i talenti, valorizzarli, farli crescere. Invitarli a creare, a pensare. Ma non era soltanto insegnamento, non era solo lo scrupolo e la dedizione di una straordinaria educatrice. Era l’attenzione affettuosa, l’accoglienza materna che riservava ai suoi piccoli. Una maestra e quasi “madre” che si prende cura dei suoi piccoli. Capace di educarli al rispetto del mondo e a quello di Dio. Così è stata per me, per un’intera vita e mai potrò dimenticarla. E così è stata per tanti, tantissimi bambini che sono cresciuti con lei non solo a Carrù dove a lungo ha guidato la scuola materna, ma in Svizzera dove ha cresciuto generazioni di figli di emigranti italiani. E poi a Pistoia e nuovamente nel suo Piemonte, a Pianfei e ancora a Fossano. Mentre, nel tempo, ai figli degli emigranti italiani di ieri si sono aggiunti i figli delle nuove famiglie emigrate nel nostro Paese, «i bambini da guardare sono già tanti, ma dobbiamo aiutarli tutti, e come farebbero le famiglie a occuparsene, altrimenti?». Già, come?
«Sono sempre più vivaci questi bimbi, e io invecchio», sorrideva mentre si avvicinava agli 80 anni, ma invece non si stancava di insegnare, di guidarli alla scoperta della vita e del mondo. Sempre aperta alle novità, piena di energia. Diceva sempre che i bambini hanno già una propria personalità, da valorizzare. Da assecondare. «Bisogna solo ascoltare il loro cuore, osservare i loro pensieri». E allora anche lei si sedeva ai minuscoli tavoli dell’asilo, con loro disegnava, scriveva, costruiva lavori, raccontava l’amore di un’altra madre per il suo figlio, Maria. È la guida sicura ma affettuosa, ferma ma amorevole che spero anche mio figlio Enrico di 5 anni trovi e conservi per una vita. Come è stato per me. La guida di una “fata” buona e giusta. Attenta a non fare preferenze, a sforzarsi sempre di guardare fino in fondo ai pensieri e al cuore dei suoi piccoli allievi. Un modello tanto più prezioso mentre vacilla – con il dramma della pedofilia, delle violenze – la certezza del buon insegnamento. E invece suor Tarcisia, che se un cancro non ne avesse spento le energie avrebbe continuato a insegnare ai suoi “piccoli” uomini e donne, ha dimostrato che sì, esiste, un buon insegnamento. Per la vita.
Enrica Roddolo, giornalista e scrittrice

Gentile e cara collega,
ho tenuto in serbo la tua bella riflessione – rimasta fresca, come un vento amico, in questa torrida estate – per poter salutare, io, al limitare di luglio, gli amici lettori che seguono questa rubrica e augurare loro un buon tempo d’agosto, ovunque e comunque lo vivranno. Magari usandolo, questo tempo buono, per tornare a incontrare almeno alcuni di coloro che in diverso modo e con uguale importanza ci sono stati maestre e maestri di vita. Tutti noi ne abbiamo avuti di straordinariamente o magari (almeno in apparenza) di ordinariamente «preziosi», e ricordarci che donne e uomini così davvero «ci aspettano», ci aspettano sempre, perché la condizione umile della attesa è quella propria di chi ha molto da dare, significa non perdere e far fruttare ciò che ci hanno trasmesso. Qualcosa che si è fatto «vita» nelle nostre esistenze, semplicemente perché non è mai stato solo una lezione o, peggio, una lezioncina, altrimenti il prezioso sovrappiù per noi non ci sarebbe stato e, dunque, quel qualcosa non sarebbe accaduto, non sarebbe diventato storia, piccola e grande, come ogni storia umana.
Quando Paolo VI ha trovato splendidamente le parole per dirci che «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che non i maestri o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono testimoni», ha scandito una verità buona per l’umanità di sempre, ma specialmente utile in questo nostro tempo vorticoso e sfiduciato, tentato dallo scetticismo totale e piagato dal cinismo. Nuvoloni e paroloni, sopra e dentro le nostre teste, che a qualcuno sembreranno aver poco a che fare con la «testimonianza» umile e quotidiana, di suor Tarcisia. Se così fosse sul serio, si tratterebbe di un errore, di un grave e presuntuoso errore. Quella bravissima maestra d’asilo, che ha vestito il saio domenicano che l’ha resa diversamente sposa, sorella e madre, ha rivestito di bellezza l’anima di tanti piccoli allievi e allieve, sapendo accendere in loro il desiderio di bene e di far bene e, come nel tuo caso, coltivandone e irrobustendone anche la vocazione alla scrittura. È questo l’antidoto, buono per tutti eppure personale e intimo come una nascita o anche solo come un abbraccio, di cui ciascuno di noi ha bisogno per imparare la fiducia e tener salda la speranza, affrontando le stagioni in cui, come tu scrivi, sembrano vacillare persino i pilastri della convivenza civile. E nelle quali addirittura si può arrivare a violentare o produrre figli per assoluta volontà di possesso. Succede oggi, e succede in modo feroce e mellifluo, a volte per sofferente desiderio più spesso, purtroppo, con alterigia senza pudore. E succede che ci si dimentichi di come ogni creatura – quale che siano la terra e la storia da cui si proviene e quelle in cui ci si radica per tradizione o per emigrazione – è “figlia” del proprio padre e della propria madre tanto quanto di coloro che, assieme ai genitori, le consegnano le chiavi della vita – fede, valori, sentimenti, parole… – e le necessarie istruzioni per l’uso. Credo che per tuo figlio tu, cara collega, possa essere, da vera madre, un’ottima «maestra di vita». La mia lo è stata con me, con mia sorella e con i miei fratelli, ed è stata specialmente buona perché non è mai stata “gelosa” di altri buoni maestri di vita. Perché i maestri di vita, quando sono davvero buoni, hanno memoria e però non sono solo custodi del passato, ma padri e madri del futuro. Con te auguro di cuore al tuo ragazzo di trovare lungo il suo cammino almeno un’altra suor Tarcisia. A questo punto, do appuntamento agli amici lettori a domenica 3 settembre. Molti tra loro, tuttavia, sanno già che se avrò qualcosa da annotare a margine di una qualche lettera, come mia abitudine continuerò a farlo anche durante il tempo di agosto. Che tutti possiamo toccare con gioia il cuore dell’estate. E che riusciamo a liberare e ad alzare lo sguardo…

Fonte: Avvenire.it

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