E ti vengo a cercare, anche solo per vederti o parlare».
Una frase, poco più del titolo, che lo riprende, lo specifica e racchiude l’intera canzone. Bella, perché potrebbe rivolgersi sia ad una persona che a Dio, indifferentemente e senz’offesa per nessuno. Straordinaria, però, è la consapevolezza che ciò è vero soltanto per la teologia cristiana. E per nessun’altra. Perché non mi verrà mai a cercare il Dio-architetto degli illuministi, né un Dio panteista, né gli dei indifferenti di Greci o Romani, né un dio demiurgo come quello platonico. Può venirmi a cercare, perché interessato a me e a stare con me, solo un Dio che si fa carne e sangue, che si fa bambino, che diventa uomo. Più ancora, che si fa Figlio dell’Uomo, Lui, che era Figlio di Dio, si interessa a me e vuole parlare con me, così come si è interessato agli uccelli del cielo, ai gigli del campo, al seminatore che esce a seminare, anche se il seme che getta – speranzoso – nel terreno, finirà, per lo più, tra le spine, oppure tra i sassi, divorato dagli uccelli.
«Per capire meglio la mia essenza».
C’è un segreto per capire quando l’amore è vero. Quando sa farsi specchio di perfezionamento. Non di perfezione. La perfezione è statica, è un obiettivo raggiunto. Il perfezionamento è un processo dinamico, sempre in divenire, che meglio, forse, esprime il moto perpetuo dell’essere umano, mai domo di fronte a se stesso ed alla propria esistenza. Senza diventare oppressione della propria personalità, l’altro diventa invece sprone al miglioramento: riconoscendo la bellezza al di fuori di me, voglio farle corrispondere la maggior bellezza possibile all’interno di me.
È un po’ come se, in partenza, ci fosse la versione-base di noi, con potenzialità ancora in germe, affinché stia a noi la creatività e l’iniziativa di svilupparle alla massima potenza. Del resto, Dio non ci chiederà conto dei nostri talenti: ce li ha donati lui, quindi li conosce alla perfezione. Quello di cui invece ci chiederà certamente conto è l’utilizzo che ne abbiamo fatto, nel corso della nostra vita. Nessun dono dovrebbe restare non-donato.
«Un rapimento mistico e sensuale mi imprigiona a te».
Di questa frase, il punto più bello è la congiunzione. Nonostante tanti santi abbiano fatto del misticismo la più alta forma di sensualità, ancora tendiamo a contrapporre i due piani come inconciliabili. Dimentichi, forse, che il cristianesimo non è la religione delle contrapposizioni, bensì delle giustapposizioni, cioè della conciliazione tra contrari che, sanata la loro opposizione, si armonizzano, mantenendo tuttavia la propria alterità. In quest’ottica, quindi, i legami che ci avvinghiano gli uni agli altri mostrano la tenacia del sentimento, non l’asservimento delle volontà.
«Perché mi piace ciò che pensi e che dici, perché in te vedo le mie radici»
In questa società fluida, il rischio è che tutto lo sia, comprese le relazioni. Ma il nostro cuore è fatto per avere, al contempo, ali e radici: ali per volare in alto, oltre la superficialità, ma radici a cui aggrappare la nostra quotidianità, che sono persone-ancore, su cui poter contare. Che non significa: su cui pesare. Sono esseri umani ai quali poter accreditare fiducia e da cui sperare quel pizzico di comprensione e simpatia, che ci concede la libertà di essere noi stessi, con tutte quelle nostre piccole contraddizioni ed incoerenze che fanno parte di noi.
«Perché ho bisogno della tua presenza»:
Così chiude la canzone: denudando la consapevolezza di aver bisogno. A volte, soprattutto nelle relazioni, farsi mendicanti è sintomo di grande coraggio. Non per anestetizzare l’amore in una relazione a senso unico! La sfida è – piuttosto – accettare di farsi amare a propria volta, nelle proprie fragilità, non solo proporsi come “salvezza” dell’amato.
Questa canzone celebra la grandezza della forma d’amore più grande: la capacità di stare accanto e farsi presenza, senza chiedere nulla. Con il dubbio atroce della propria inutilità, ma nella speranza (frutto dell’esperienza) che, al contrario, esiste un silenzio denso, che è efficace e – anzi – talvolta è l’unica possibilità di vicinanza consentita. Ci sono dolori che non richiedono parole, ci sono situazioni che non vogliono spiegazioni. È possibile – soltanto – farsi accanto ed essere presenza, nella gratuità, quale firma distintiva del cristiano, chiamato a sovvertire la logica del mondo, per cui dare e avere debbono sempre corrispondersi, in modo proporzionale. La novità assoluta e la sfida più grande è far coesistere gratuità e reciprocità (amare, pur essendo ricambiati, senza per questo amare solo in vista di quanto si riceve), in quell’amore puro, che è riflesso dell’Amore di Dio. Farsi presenza rappresenta l’audace e strenua garanzia di essere portatori dell’Amore di chi è sempre presente e non scorda mai il mio nome, perché ha uno stratagemma: Lui l’ha scritto «sul palmo della Sua mano» (Is 49, 16)!
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