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L’Islanda ha sconfitto la droga con proibizione ed educazione

 

Il tema della liberalizzazione della cannabis è tornato d’attualità dopo il suicidio di un giovane di Lavagna (Liguria) durante una perquisizione della Guardia di Finanza.

Roberto Saviano ha sfruttato la sua morte per perorare la battaglia pro-legalizzazione, sostenendo che «uno Stato che vieta potenzialmente criminale». Il sindacato di polizia (Coisp) ha definito «un delirio» le sue «considerazioni, che rasentano il criminale e risultano diffamatorie».

Uno degli Stati europei che Saviano considera «criminali» è certamente l’Islanda, in cui il consumo di cannabis non solo è completamente illegale anche per piccole quantità, ma è punito con il carcere il possesso, la vendita, il trasporto e la coltivazione. «La polizia locale», si legge su Iceland Magazine, «può diventare estremamente aggressiva quando c’è da far rispettare la legge se si tratta di cannabis». D’altra parte, lo ha dimostrato un sondaggio dello scarso anno, il 76% della popolazione irlandese è contraria alla liberalizzazione della marijuana.

Non fatichiamo a comprendere questi dati poiché oggi l’Islanda è diventato un modello internazionale nella guerra alla droga e alle dipendenze, comprese quelle al tabacco e all’alcool. Dal 1998 al 2016, infatti, la percentuale di giovani che fa uso di cannabis è calata dal 17% al 7%, facendoli diventare i più salutisti d’Europa (lo ha dimostrato uno studio su Addiction Journal dell’aprile 2016). Ne ha parlato recentemente l’Huffington Post, citando un’importante inchiesta apparsa su mosaicscience.com. Un anno fa aveva trattato la questione anche lo psicologo americano Harvey B. Milkman, del Metropolitan State College di Denver.

Da queste tre importanti fonti si scopre che il successo islandese deriva da un mix di duro intervento repressivo da parte dello Stato, accompagnato all’invito ai genitori a trascorrere più tempo con i loro figli, «a parlare con loro della vita, sulla loro vita, conoscere i loro amici e mantenerli a casa durante la sera». L’Islanda si è anche impegnata in questi vent’anni a finanziare diverse attività extrascolastiche, culturali e sportive. Questo perché, è spiegato, «il legame con la famiglia, il rapporto con i coetanei e il coinvolgimento in attività ricreative sono i più forti» deterrenti al consumo di droghe.

Più tempo in famiglia, più educazione, più tempo dedicato allo sport e alla cultura, controlli ferrei e dure leggi contro il consumo di droga. Questo è il segreto dell’Islanda, oggi definito dal prof. Milkman «il paese più progressista del mondo nel ridurre l’abuso di sostanze negli adolescenti. In più di 4 decenni di studio sull’abuso di sostanze, non ho mai visto un approccio più promettente». Esattamente l’opposto di quanto avvenuto invece in Colorado dopo la liberalizzazione della marijuana.

D’altra parte il sistema islandese rispecchia le parole che il card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha dichiarato recentemente: «le leggi da sole non bastano. Bisogna saper educare». Saviano prenda nota.

Fonte: UCCRonline.it

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