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È il tempo della responsabilità personale

La bambina dopo un pomeriggio di musi mi abbraccia con la consueta grazia da escavatrice e mi scaraventa sul lettone. Poi con la faccia nascosta sotto la mia ascella prosegue:

“La verità è che per tutte le cose brutte che mi succedono – se ho sonno, se non mi piace la merenda, se non mi va di fare i compiti – io preferisco arrabbiarmi con te. È più semplice”.

Guardo mia figlia come se fossi davanti a un prodigio. Ha solo dieci anni, ma ha fatto un passaggio di consapevolezza a cui certi – certe – cinquantenni faticano ad arrivare (e tenderei a pensare che dopo una certa età, salvo miracoli, è difficile che ci si arrivi). Capire che il problema siamo noi e non gli altri è un punto cruciale, direi il punto di svolta della conversione, o della maturazione se vogliamo usare un termine laico.

Ci sono persone che sembrano aver sempre qualcosa da recriminare, ed è sempre colpa di qualcosa o di qualcuno se non sono felici, perché capire che ognuno di noi è responsabile del proprio stato d’animo è davvero un passaggio di maturazione decisivo. E qui siamo ancora sul piano semplicemente umano.

Poi c’è quello di fede, che come sempre non smentisce ma si sovrappone al dato di ragione e di realtà e lo completa: io decido di prendere atto della mia realtà e di abbracciarla facendomene pienamente carico, portando tutto il mio peso (piccolo, come la merenda sbagliata, o grande che sia) e poi magari anche quello di qualcun altro, perché credo fermamente che c’è un Padre che mi ama, che mi dà la grazia di farlo, che mi ama gratuitamente e immeritatamente, e allora tutta la mia realtà è redenta e trasfigurata, tutti i pesi accolti con fiducia sono occasione di guarigione, di redenzione, perché la croce salva ed è preziosa ed è stata studiata al millimetro da Dio, della misura e pesantezza perfetta per noi, perché ci possa salvare. Pur nel mistero del dolore, del dolore innocente in particolare, questo sguardo di bene sulla realtà non ci deve mai mancare, se crediamo nella buona notizia: che la cosa più brutta che ci possa succedere, la morte, è stata sconfitta.

E invece farsi carico e non dare la colpa agli altri è difficile, per esempio nei miei figli maschi questo passaggio l’ho visto avvenire più tardi, non a dieci anni. Perché è faticoso, e i maschi di solito, esclusi i presenti, non hanno questo slancio zelante verso la fatica, e sottolineo di solito. Se la devono fare, la fanno, ma se la possono evitare, meglio (atteggiamento che peraltro spesso li rende più sani di mente di noi femmine, ma questo è ancora un altro argomento).

Insomma, in queste riflessioni in ordine sparso da madre che piega biancheria ed è in piedi da 18 ore, mi è venuto in mente un pensiero che trotterellava indietro, un po’ scostato dal gregge. Mi è venuto in mente che questo invece è per noi credenti, tutti, maschi e femmine, proprio il tempo della responsabilità. Siamo assediati da pressioni mediatiche (e politiche, e, al fondo, economiche) molto forti, tutte in direzione decisamente, ferocemente a volte, anticristiana. Ma anche nella Chiesa, inutile nasconderci dietro un dito, tanti di noi si sentono a volte un po’ lasciati soli da tanti pastori che invece che rafforzarci in questo assedio, tendono piuttosto ad andare incontro al mondo. Il rapporto col mondo è il nodo centrale della questione. Si può andare incontro al mondo senza dimenticare cosa gli si va a portare al mondo, cioè non il nostro povero e incostante amore, ma quello di Cristo? Si può uscire senza dimenticare di custodire i piccoli nella fede che hanno bisogno di pastori (nella fede siamo tutti piccoli, sennò non saremmo di fede, ma uomini di cultura innamorati di una civiltà cattolica dai bei principi, non mendicanti dello Spirito che cercano assetati un incontro col Signore)? Si può accogliere ogni volto, senza accogliere però insieme anche ogni eredità spirituale, ricordando ogni istante che essere cristiani è per forza andare contro corrente, rompere radicalmente con ogni altro modello culturale e interpretativo del mondo?

Questo per noi cristiani è il tempo della responsabilità personale. Custodire meglio che possiamo quello che ci è stato affidato in duemila anni di traditio, cioè di tesori tramandati e passati di mano in mano da generazioni di santi (cioè peccatori consegnati). Vagliare con cura decisioni e comportamenti. Difendere ciascuno, è un’immagine che usa sempre il mio amico Giampaolo, il proprio metro di trincea. Mettere intelligenza e forza e discernimento nella vita spirituale, viverla con più impegno e serietà.

di Costanza Miriano

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