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I nuovi jihadisti europei non sono né poveri né emarginati

Perché tanti giovani musulmani europei arrivano a farsi saltare in aria nei paesi dove sono nati? Dopo gli attentati di Parigi e Bruxelles in tanti si sono cimentati con questa domanda, fornendo ogni tipo possibile di risposta, ma pochi l’hanno fatto in modo scientifico come Lorenzo Vidino, direttore del programma sull’Estremismo alla George Washington University.

Con un articolo sulla Stampa Vidino smonta innanzitutto la tesi secondo la quale sono povertà e mancata integrazione a spingere i giovani tra le braccia del jihad:

«Solo un sesto dei jihadisti belgi proviene da famiglie che si trovano sotto la soglia di povertà. Non sorprende pertanto che il regista degli attentati di Parigi, Abdelhamid Abaaoud, avesse frequentato un prestigioso liceo privato di Bruxelles e avesse un padre che possedeva una piccola catena di negozi di abbigliamento».

Lo stesso vale per i jihadisti parigini:

«Dounia Bouzar, direttrice del Centro per la Prevenzione del Settarismo Islamico, ha recentemente pubblicato i risultati di un suo studio su 160 famiglie francesi che l’avevano contattata chiedendole aiuto per combattere la radicalizzazione dei loro figli. Il dato più eclatante: due terzi delle famiglie facevano parte della classe media. Inoltre, secondo un altro studio, il 23% dei jihadisti francesi in Siria sono convertiti, molti dei quali provenienti da buone famiglie del ceto medio e, in alcuni casi, dalle élites francesi».

E per quelli londinesi:

«Un recente studio condotto dall’università Queen Mary di Londra su un ampio campione di giovani musulmani britannici ha dimostrato che i soggetti più a rischio di radicalizzazione sono giovani dai diciotto ai vent’anni ben istruiti e provenienti da famiglie benestanti che parlano inglese a casa: paradossalmente, quindi, più sono integrati più sono propensi alla radicalizzazione».

Secondo Vidino, dunque, la radicalizzazione avviene per un altro motivo:

«Il punto che sembra unire tutti questi soggetti è che tutti paiono alla ricerca qualcosa: un ideale, un senso di appartenenza, un’avventura. Come dice Ed Husein, un ex militante islamista nato e cresciuto a Londra, i jihadisti europei spesso “sono disillusi, non emarginati. Molti sono ben istruiti e con una buona famiglia. Ma cercano tutti dei valori o una ragione per la quale combattere, una causa per la quale poter morire”».

Fonte: Bruxelles. Jihadisti né poveri né emarginati | Tempi.it

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