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Ratzinger, a sei anni dalla rinuncia che cambiò la storia

L’11 febbraio 2013, l’annuncio di Papa Benedetto XVI ai cardinali nella Sala del Concistoro

I

ncredulità e sconcerto. Questi i sentimenti provati dai cardinali, riuniti nella Sala del Concistoro per la canonizzazione dei martiri di Otranto, all’annuncio della rinuncia al ministero petrino fatto da Benedetto XVI l’11 febbraio del 2013. Uno stato d’animo espresso dal decano del Sacro Collegio, Angelo Sodano, nel discorso pronunciato subito dopo la storica DeclaratioSono passati esattamente sei anni dalla giornata più importante della storia contemporanea della Chiesa, uno di quegli eventi destinato a rimanere per sempre indelebile nella memoria collettiva. Sbaglia chi cade nella tentazione di ridurre un Pontificato così ricco e prolifico come quello ratzingeriano esclusivamente a quell’avvenimento, per quanto immane ed eccezionale. Il contributo che il grande teologo ha dato alla Chiesa negli anni da Vescovo di Roma è talmente sconfinato da richiedere una trattazione non certo riassumibile in un solo articolo. In occasione dell’anniversario della rivelazione al mondo della rinuncia, si può tentare di ricostruire parzialmente gli “indizi” che preannunciavano la decisione poi presa e rievocare quei 18 giorni che separarono l’annuncio in Concistoro dall’inizio della Sede vacante.

 

Gli indizi

Una scelta meditata lungamente e presa, secondo quanto scrisse l’allora direttore Giovanni Maria Vian su “L’Osservatore romano”, di ritorno dal Viaggio Apostolico in Messico e a Cuba nel marzo del 2012. Ma prima ancora, Ratzinger aveva affrontato l’argomento nel libro-intervista “Luce dal mondo” di  Peter Seewald. Correva l’anno 2010 e Benedetto XVI, rispondendo ad una domanda diretta del fidato giornalista tedesco, disse: “Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli allora ha il diritto e in talune circostanze anche il dovere di dimettersi”. Com’è nella natura e nel carattere dell’uomo, un gesto di simile portata non potè che richiedere – come da lui stesso confermato nella Declaratioun ripetuto esame di coscienza davanti a Dio. Solo dopo, l’attuale Papa Emerito si convinse a comunicare la decisione ai suoi più stretti collaboratori prima ancora di rivelarla in pubblico: in un’intervista, monsignor Georg Gänswein, suo segretario personale, ha spiegato di averlo saputo “parecchio tempo prima dell’11 febbraio” e di essere rimasto sconvolto. D’istinto, il prefetto della Casa Pontificia provò quasi ingenuamente a dissuaderlo, ma poco dopo capì che la scelta era già stata compiuta con “una tale chiarezza e serenità che tutte le paure e preoccupazioni svanivano senza bisogno che lui dicesse nulla di più”. Ma monsignor  Gänswein non fu l’unico depositario del segreto svelato al mondo nella giornata di sei anni fa: nella recente autobiografia “I miei Papi”, il Cardinale Tarcisio Bertone ha raccontato di aver ascoltato per la prima volta Ratzinger avanzare quest’ipotesi nel corso dell’Udienza del 30 aprile 2012. Gliene riparlò, poi, nell’agosto dello scorso anno a Castel Gandolfo e in questo caso l’allora Segretario di Stato avanzò rispettosamente delle perplessità sulla possibilità di compiere un simile gesto. Le due testimonianze confermano la ricostruzione fatta da Giovanni Maria Vian sul “L’Osservatore Romano” all’indomani della “Declaratio”:  sarebbero state le difficoltà vissute durante la Visita Apostolica in Messico e a Cuba a far maturare in Benedetto XVI la convinzione che le proprie non erano più “adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Recentemente, grazie ad una nota redatta dal presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano per il libro “Oltretevere”, è emerso come anche l’allora inquilino del Quirinale fosse stato informato della rinuncia prima dell’11 febbraio 2013 dal Pontefice tedesco in persona. Questa consapevolezza, ha raccontato l’attuale senatore a vita, fu all’origine della particolare commozione che segnò il loro incontro in Aula Paolo VI durante il concerto offerto dall’Ambasciata italiana presso la Santa Sede.

 

Il testamento

Nella sua Declaratio, Benedetto XVI fissò anche la data e l’orario in cui sarebbe iniziata la Sede vacante: il 28 febbraio alle ore 20. Nei 18 giorni che separarono l’annuncio fatto nella Sala del Concistoro al momento in cui la sua bianca sagoma sparì alla vista della folla presente sotto al balcone del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, luogo della sua ultima apparizione pubblica da Vescovo di Roma, Papa Ratzinger venne travolto dall’affetto dei fedeli di tutto il mondo. Mai come in quel momento, probabilmente, ci si rese conto di quanto fosse stato benefico quel Pontificato, capace di provocare numerosissime conversioni e di dare maggiore autorevolezza alla voce della Chiesa sulla scena culturale internazionale. Le migliaia di persone che si proclamano ancora oggi “figli spirituali di Benedetto XVI” sono la prova più bella ed eclatante di come questo “semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore” abbia seminato bene negli otto anni sul soglio pontificio. Ratzinger scelse di dare l’annuncio al mondo l’11 febbraio del 2013, memoria liturgica della Madonna di Lourdes. Una data non casuale, ma stabilita in base alla coincidenza tra il giorno di Santa Bernardette e quello del suo compleanno, il 16 aprile. Poco più di due settimane anticiparono il ritiro effettivo e si contraddistinsero per la straordinaria partecipazione agli ultimi appuntamenti pubblici. Due Angelus, due Udienze generali, un’omelia per la Messa del mercoledì delle ceneri e il saluto finale di Castel Gandolfo. Fedeli e non affollarono piazza San Pietro e piazza della Libertà nella cittadina castellana per ascoltare dal vivo per l’ultima volta il grande Papa-teologo, l’uomo che aveva segnato indissolubilmente la storia della Chiesa. Benedetto XVI non dedicò i suoi ultimi discorsi a tracciare una possibile linea programmatica al suo successore, ma si lanciò nell’ennesima strenua difesa della Chiesa tanto amata, ricordandone il vero “proprietario”: “in quella barca – disse nell’Udienza generale del 27 febbraio –  c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare”. Questa certezza lo aveva accompagnato durante tutti gli otto anni sul soglio pontificio, anche nei “momenti non facili”, in cui le “acque erano agitate e il vento contrario”. Quegli ultimi appuntamenti ufficiali furono anche l’occasione per ringraziare tutti della vicinanza e dell’affetto manifestatigli già all’indomani dell’annuncio choc, una comprensione benevola dimostrata anche di fronte ad un gesto inaspettato e senza precedenti. Nel libro-intervista “Ultime Conversazioni”, realizzato sempre con Peter Seewald nel 2016, l’ormai Papa emerito ha parlato di quelle “persone che, per così dire, avevano trovato un sostegno nel mio messaggio, lo consideravano importante e vedevano in me una guida erano sinceramente sconvolte e si sono sentite abbandonate”. La sua missione al servizio della Chiesa non si concluse con il “buonanotte” pronunciato dal balcone del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo il 28 febbraio, dopo le suggestivi immagini del volo in elicottero, ma mutò forma, concretizzandosinella preghiera e nel silenzio ancora più intensi all’interno del monastero “Mater Ecclesiae”. Una scelta che ebbe modo di chiarire nell’ultima Udienza generale quando spiegò ai presenti: “Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di San Pietro”.

Fonte: InTerris.it

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