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ANSELMI E IL SINODO – «È la gioia cristiana che deve affascinare»

 

L’ausiliare di Genova, Nicolò Anselmi: oggi c’è il rischio di una fede “alleggerita”

Il Sinodo sui giovani «deve parlare anche agli adulti, perché in gioco c’è il rinnovamento di tutta la comunità cristiana». La sfida che attende i padri sinodali viene rilanciata così dal vescovo ausiliare di Genova, Nicolò Anselmi, già responsabile del Servizio nazionale Cei per la pastorale giovanile, uno dei presuli italiani che partecipano ai lavori sinodali.

Eccellenza, che aria tira in queste prime ore al Sinodo?

C’è molto entusiasmo ed è molto bello ascoltare le voci dei vescovi di tutto il mondo, che testimoniano un’autentica passione per il mondo giovanile.

Secondo lei, che cosa ha da offrire la Chiesa ai giovani oggi?

Può offrire l’esperienza di far parte parte di una grande famiglia nella quale possono avere delle relazioni autentiche tra di loro e con le altre generazioni. Una famiglia che vive della della Parola di Dio, dei sacramenti, della grazia, della presenza del Signore: tutti doni che possono aiutare i giovani nella loro vita.

Ma perché le nuove generazioni dovrebbero ascoltare la voce della Chiesa?

Prima di chiedere loro di ascoltare la voce della Chiesa, io penso che il primo compito della comunità cristiana sia quello di vivere un’autenticità gioiosa, che può interessare e affascinare. Questa autenticità è il modo per vivere nell’oggi lo stile di Gesù, che si esprime nel servizio, nell’attenzione alle disuguaglianze, alle fatiche, alle sofferenze delle persone, a un’accoglienza senza discriminazioni. I giovani di oggi sentono molto questa passione per chi soffre e nella Chiesa dovrebbero scorgere uno spazio, una comunità nella quale gli adulti prima di tutto s’impegnano su questa linea, con l’aiuto di Dio.

I giovani, però, sono stati chiari: scandali e incoerenza li allontanano. Come affrontare questi nodi?

Certo, ci sono degli errori, anche gravi, di alcuni membri della Chiesa che creano un ostacolo. E poi ad allontanare i giovani certe volte c’è una mancanza di ascolto o di coinvolgimento nelle decisioni. Attenzione, però. Sarebbe sbagliato ridurre la Chiesa a queste mancanze, anche se in effetti oggi esistono alcuni “venti culturali” che tendono a presentarla per quello che non è. Nella comunità cristiana, invece, ho l’impressione che sia sempre più forte la consapevolezza che la proposta cristiana è prima di tutto un dono, un annuncio d’amore e non è riducibile a una mera serie di precetti a cui ubbidire. Lo stanno ben testimoniando i vescovi qui al Sinodo.

Il metodo scelto per la preparazione del Sinodo, secondo lei, produrrà qualcosa di concreto al di là della discussione sui varitemi?

Io penso di sì. L’Instrumentum laboris raccoglie tantissimi stimoli e temi sul mondo giovanile; la speranza è che attraverso il discernimento durante i lavori sinodali emergano alcuni temi forti che ci guideranno nei prossimi anni. Ma la sensazione è prima di tutto quella che questo oltre a essere un Sinodo sui giovani sia un Sinodo sulla comunità cristiana, perché parlare di giovani significa necessariamente parlare degli adulti, come emerge chiaramente anche dagli interventi dei vescovi. Ciò significa che il tema dei giovani è centrale per il rinnovamento dell’intera comunità cristiana e della Chiesa. Il tema vero, di fatto, è come rinnovare la vita delle comunità cristiane in modo che i giovani possano riconoscersi in essa. E quindi è chiaro che gli ambiti coinvolti sono tanti: l’azione pastorale, la vita liturgica, l’impegno nella carità, la testimonianza della misericordia davanti al mondo, per fare qualche esempio. D’altra parte i giovani parlano a chi vuole ascoltarli, poi il cambiamento devevenire da tutta la comunità cristiana. Il metodo scelto per la preparazione ha già mostrato la strada da percorrere.

Riuscirà il Sinodo a fare sintesi tra le diversissime situazioni nelle quali vivono i giovani nelle diverse parti del mondo?

È vero che le situazioni sono molto differenti, alcune sono anche “laceranti”: in certe zone del mondo la dignità umana non è rispettata e i vescovi ci stanno raccontando di giovani vittime di abusi e violenze, oppure del mercato degli esseri umani. Tuttavia esistono molti tratti comuni attorno ai quali ci ritroviamo tutti.

In Italia la pastorale giovanile ha un ruolo importante da molto tempo. Che cosa resta da fare?

È vero: nella Chiesa italiana, grazie alla pastorale giovanile, c’è un tessuto che tiene. Però ci sono anche molti giovani che si sono allontanati o non frequentano ordinariamente la comunità cristiana. Poi c’è il rischio di una visione “alleggerita” dell’essere cristiano. Forse questo dipende dal fatto che non si vede fino in fondo la bellezza dell’essere cristiani, del vivere nella sua pienezza, ad esempio, la vita sacramentale. Ci si sente “vagamente” cristiani ma così si perde qualcosa di più. La sfida quindi è quella di riannunciare la bellezza della vita cristiana: in questa missione di certo in Italia non si parte da zero ma possiamo fare tesoro di tante cose belle che abbiamo vissuto in questi anni.

Fonte: Matteo LIUT | Avvenire

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