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SCUOLA – Settima indagine Pisa, dove va a sbattere il politically correct

Nella primavera di quest’anno si terrà la settima indagine Pisa. Ormai il format è noto. Ma quest’anno ci sarà anche la “valutazione delle competenze globali”.

Nella primavera di quest’anno si terrà la settima indagine Pisa. Ormai il format è noto: prove di Literacy linguistica matematica e scientifica con questionari di accompagnamento rivolti a studenti, dirigenti scolastici e genitori. In ogni edizione viene inoltre offerto ai paesi partecipanti qualche opzione in più fra le quali, dopo la grande crisi economica, quella di Financial Literacy. Da quest’anno è stato anche possibile ai paesi partecipanti inserire a richiesta una valutazione che dal punto di vista di Ocse sembra avere un valore strategico maggiore delle altre: la valutazione delle competenze globali (Global Competencies).

Quali documenti preparatori sono stati rilasciati nel 2016 “Global Competency for an Inclusive World” e nel 2017 “Preparing our youth for an inclusive and sustainable world. The Oecd Pisa global competence framework” a cura di Andreas Schleicher e Gabriela Ramos. Sulla base di questi documenti-quadri di riferimento sono state prodotte e testate sul campo delle prove di cui alcune presenti nei due documenti.

Il Framewok delle Global Competencies che ne risulta è particolarmente ampio ed articolato, caratterizzato dal riferimento costante ai documenti di politica scolastica dell’Unione Europea, ma anche ad esperienze e ricerche precedentemente condotte sul campo, fra le quali viene attribuita particolare visibilità a quella di Project Zero dell’Università di Harvard. Sicuramente un importante punto di riferimento sono state anche le indagini Iea sulle competenze civiche: International Civic and Citizenship Education Study ICCS 2009 e 2016. Pertanto il contributo peculiare di Pisa dovrebbe essere non solo e non tanto quello di indicare le competenze e gli strumenti per raggiungerle, quanto i modi per valutarle.

La finalità è offrire una prima sistematica sintesi “dei successi dei sistemi educativi nell’equipaggiare i giovani a orientare lo sviluppo globale ed a collaborare produttivamente nella vita di ogni giorno attraverso le differenze culturali”. Conoscenze, skills, attitudini e valori coerenti a questo campo costituiscono le 4 aree sistematicamente indagate dai set di prove che, oltre ad identificare i contenuti, definiscono anche come metodologie “attività di role-play che aiutino ad assumere prospettive differenti, discussioni sul pregiudizio e le discriminazioni o attività di progetto che incoraggino a riflettere sulle radici cause dei problemi globali”.

Negli allegati vengono presentati esempi di prove di tipo diverso. Eccone uno.

Stimolo. Una canzone in Quechua. In un video Youtube che ha raggiunto 2 milioni di spettatori Renata Flores canta in Quechua, il suo linguaggio nativo, la canzone di Michael Jackson “The way you make me feel” sul retro di antiche rovine Inca. Renata è una attivista che partecipa ad un progetto chiamato “Anche noi parliamo Quechua”. Domanda: Quale messaggio pensi che Renata stia cercando di inviare? Risposte chiave: Vuole combattere le percezioni dei giovani del linguaggio indigeno come arretrato e fuori moda; Vuole fare rivivere la loro cultura e combattere l’uniformità. 

Stimolo. Alcune altre iniziative stanno cercare di fare rivivere i linguaggi che stanno sparendo. Per esempio uno dei principali motori di ricerca ha lanciato una sua versione in Quechua ed il Nuovo Governo del Sud Galles australiano ha proposto una legislazione per proteggere e far rivivere i linguaggi degli aborigeni. Tuttavia tenere vivo un linguaggio in via di sparizione non è un compito facile. Domanda: Quali fattori fra i seguenti possono contribuire alla sparizione dei linguaggio? Risposte chiave: I giovani dei gruppi minoritari che pensano che parlare il linguaggio ereditario non sia cool; la mancanza di insegnanti delle lingue aborigene ed indigene; il fatto che poche lingue in via di sparizione abbiano grammatiche scritte e dizionari che si possano utilizzare per l’insegnamento. 

Non è difficile dalla lettura di questi documenti dedurre che si tratta di una significativa sistematizzazione di contenuti comunemente definiti come politicamente corretti, proposti attraverso una scelta delle metodologie attive più note e efficaci. L’obiettivo sembra essere quello di creare una visione del mondo internazionale caratterizzata dal rispetto e dalla comprensione reciproca fra le diverse culture. Finalità è non solo e non tanto quella della convivenza pacifica, quanto quella di creare la possibilità di collaborare in modo efficace sul terreno del lavoro e della produzione di ricchezza. Particolarmente interessante da questo punto di vista l’idea che, sebbene ci siano gruppi (nazionali, etnici, religiosi e culturali) diversi, tuttavia ogni individuo è l’intersezione di più appartenenze differenziate ed in quanto tale si presenta come un unicum in cui i legami di appartenenza sono secondari.

I risultati dell’indagine ed il dibattito che probabilmente li accompagnerà ci diranno quanto questa prospettiva sia realistica. C’è da registrare comunque — parallelamente allo sviluppo di questo pensiero figlio dell’89 che viene talvolta definito come neoliberista/funzionalista — una crescita di interesse del mondo della ricerca per elementi che questa impostazione tende ad accantonare, relativi proprio alle culture ed all’appartenenza, prima di tutto quella religiosa. In questo senso si segnalano anche produzioni provenienti dal mondo laico che prende atto dell’irriducibilità della dimensione religiosa, intesa come dimensione di appartenenza culturale, fra cui possono essere segnalati il testo collettaneo Religion and Education degli Oxford Studies in Comparative education e l’ultimo numero (n. 3) del 2017 della rivista italiana Scuola Democratica.

Fonte:Tiziana Pedrizzi | IlSussidiario.net

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