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Il Ministero dell’Istruzione vieta le chat tra prof e studenti. La replica di un insegnante di religione.

Niente più chat tra prof e studenti, a dirlo è il nuovo contratto per gli insegnanti. Ma un professore di religione non ci sta e scrive la sua lettera di protesta. “Si dimentica una cosa: io non faccio il docente, io SONO un docente. Questo significa che quando esci dall’aula, quei ragazzi sono ancora i tuoi ragazzi”.

Il nuovo contratto degli insegnanti, appena firmato, porterà dei cambiamenti inediti nel mondo della scuola. Oltre alle cose che riguardano più da vicino la didattica, infatti, è stato stabilito che i professori dovranno stare molto attenti a utilizzare i social network e le chat con i loro studenti: potranno farlo solo se strettamente funzionale all’insegnamento e alla vita scolastica. Al massimo, per l’orientamento. Ma niente cose personali, perché in questo caso si tratterà di una violazione del regolamento. Che potrebbe portare addirittura al licenziamento. Questa misura, presa soprattutto per andare contro i casi limite (come quelli recenti di molestie da parte di alcuni docenti nei confronti di proprie alunne) e per stabilire una deontologia del ruolo del docente, non ha però lasciato indifferenti alcuni professori. Lui è Luigi Rutigliani, insegnante di religione a Varese, che si definisce “confuso” e che difende il rapporto creato negli anni con i suoi studenti. Arrivando paradossalmente a “autodenunciarsi”, come si può leggere tra le righe della lettera che ha inviato alla redazione di Skuola.net. Ecco il testo integrale:

“Sono un docente con un profilo Facebook pubblico, liberamente aperto anche ai miei studenti. Ho sempre creduto di svolgere il lavoro di insegnante con etica e buon senso e ora, ascoltando le parole del Ministro della Istruzione, mi sento confuso se non addirittura messo sotto accusa.

Di fronte alla incapacità di formare, selezionare, gestire e responsabilizzare i docenti, li si minaccia. Vietare Facebook è il più becero intervento di facciata.

Controllare e garantire che i docenti siano dei buoni educatori, che rispettino gli allievi e che svolgano il proprio delicato ruolo educativo con etica e buon senso, è ben altro, ma occorre dare il contentino mediatico ai genitori spaventati che leggono certe notizie.

Ci si dimentica di una cosa: io non faccio il docente, io SONO un docente. E quando “sei”, non lo sei ad “ore”. Lo sei sempre. 24 ore su 24. 365 giorni all’anno e persino quando andrai in pensione. Quando esci dall’aula, quei ragazzi sono ancora i tuoi ragazzi: se li incontri nei corridoi, per strada, al mare o in montagna, durante un viaggio in giro per il mondo, restano sempre i tuoi ragazzi. Sei felice di rivederli e spesso, ti commuovi anche.

Ho tanti allievi che mi chiamano e mi salutano con entusiasmo e io faccio altrettanto e quasi sempre, se il tempo lo concede, offro una colazione, un caffè, una pizza, ci mettiamo attorno ad un tavolino in un bar con una birretta a scambiar due parole… Allora mi auto denuncio: per quelle volte che ho offerto ad una intera classe la pizzata di fine anno; per quelle volte che abbiamo fatto colazione insieme; per quelle volte che abbiamo fatto partite di calcetto (sì, anche con le ragazze!!); per quelle volte che mi avete invitato a cena e io ho accettato con gioia; per quelle volte che in pigiama, in piena notte, sono entrato nelle vostre stanze durante le gite a “controllarvi”; per quelle volte che ti ho portato di notte, in taxi, in giro per Praga alla ricerca di un Pronto Soccorso, per quelle volte che in preda ad una crisi con i genitori o con il ragazzo/a, sono venuto a trovarti; quelle volte che mi hai chiamato alle 1.30 di notte perché disperato e ubriaco e abbandonato dagli amici per strada; per quelle volte che mi hai scritto fiumi di parole perché avevi bisogno di qualcuno che ti ascoltasse; per quella volta che ti ho ospitato per qualche ora quando eri scappato di casa; per quella volta che ti ho accompagnato in farmacia per prendere il test di gravidanza e aiutato a dire ai tuoi genitori che eri incinta… senza dimenticare gli inviti a casa mia da sette anni a questa parte per le grigliate di fine maturità e i diffusissimi abbracci donati e ricevuti nei momenti di gioia e soprattutto di difficoltà e dolore che abbiamo condiviso.

Ho sempre aiutato a comprendere che esiste il “confine” che differenzia i ruoli, distinguendoli da quei confini che invece “separano”, quei confini che fanno sentire “estranea ed insignificante” una persona nei confronti di un’altra. Se sei insegnante, la vita di ogni ragazzo che hai incontrato, ti appartiene per sempre, non puoi esser freddo e indifferente. Perché se un allievo ti chiama, chiede aiuto, correndo i miei rischi e con le dovute attenzioni, non sono mai riuscito a rispondere: “Il contratto di lavoro lo vieta”, “sono fuori orario di scuola per cui non posso incontrarti”, “attendi dopo le vacanze”…

Ho sempre preferito al rispetto “formale”, quello sostanziale. Perché se un alunno si alza in piedi quando entri, se non fiata quando sei in classe e trema quando lo interroghi, non necessariamente, in cuor suo, nutre stima e rispetto per te.

La mia gioia più grande è quando ad un allievo “scappa” un TU anziché un lei perché senti in quel TU, non mancanza di rispetto e prepotenza ma “confidenza”. Sì, confidenza! Perché confidenza non è “approfittarsi o prendersi gioco dell’altro” ma l’apice e meta di ogni percorso e relazione umana: Con-fidarsi è “fidarsi insieme”, fidarsi l’uno dell’altro, sapere che, pur nella distinzione dei ruoli, ci si può affidare l’uno all’altro. Che bellezza per chi ci arriva. Che tristezza per chi ancora non l’ha capito o addirittura la combatte questa confidenza, perché, in fondo, vuol dire che non l’ha ancora sperimentata. “Mi fido di te.. cosa sei disposto a perdere?”.

Non fraintendetemi: la mia riflessione è volutamente provocatoria e sono favorevole ad avviare una seria riflessione sul ruolo dell’educatore e su cosa sia “etico e di buon senso” per una professione così delicata; quello che mi spaventa sono sempre l’imposizione dall’alto, i proclami e le minacce mediatiche. Interventi a gamba tesa, fatti senza conoscere la specificità di tutti i ruoli educativi, non solo quelli del docente, che non possono essere migliorati e resi più efficaci, mettendo semplicemente dei divieti che, pur con il buon intento di limitare situazioni gravi e pericolose di casi specifici, hanno poi come effetto quello di paralizzare e impedire il dialogo educativo che tutti gli altri insegnanti hanno costruito negli anni con fatica.”

Fonte: PuntoFamiglia.it

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