I giovani che tornano dal Giubileo che cosa troveranno a casa?
Non vorrei lasciare trascorrere questi giorni successivi al Giubileo dei giovani senza ricordarne l’evento. Parto dalla realtà che abbiamo visto a Roma, poco importa se sono stati davvero 800mila o un milione di giovani ad ascoltare il Papa e, soprattutto, ad adorare il SS. Sacramento, per poi a trascorrere una notte in attesa della Messa conclusiva. Come hanno scritto una superlativa Susanna Tamaro e molti altri, è una buona notizia, di quelle che in questi tempi si ascoltano o leggono raramente. Non erano riuniti per un concerto musicale, né per un evento sportivo, né per ballare, ma per pregare e ascoltare la Parola di Dio e quella del Vicario di Cristo.
Il Papa ha rivolto loro parole importanti: verità, soprattutto, è la parola che mi ha più colpito, perché è letteralmente assente dal dibattito pubblico. La Verità va cercata, essa è il senso della vita e dà senso a ogni vita; essa soprattutto esiste, è Cristo, siamo noi che dobbiamo cercarla per poterla trovare. E dobbiamo farlo aiutandoci, come ha detto il Papa rivolgendosi al Festival dei giovani, cominciato a Medjugorje il 4 agosto, intitolato Andremo alla casa del Signore. Andremo insieme, ha detto Leone XIV commentando il titolo, aiutandoci in questo modo nel cammino verso la Verità, che si trova nella casa del Signore.
E’ stata ricordata da molti la precedente veglia dei giovani, sempre a Roma, 25 anni fa, quando san Giovanni Paolo II definì i due milioni di ragazzi allora presenti «sentinelle del mattino». Quelli di quest’anno sono i loro figli, la generazione successiva. Intanto ci sono, è questa la prima osservazione, e sono venuti. Sono fragili, smarriti, incerti, come spesso vengono definiti i giovani di oggi, ma hanno risposto alla chiamata invece di andare al mare o in montagna a divertirsi. Certo, non rappresentano tutti i giovani, ma sono molti. E non si sono raccolti dietro a cose del mondo, come ho già accennato, e neppure a ideologie, come avveniva diversi decenni fa.
Si tratta allora di discernere se sono i resti di un “mondo che muore”, oppure l’avanguardia di uno che nasce. O, meglio, che potrebbe nascere, se questi resti accetteranno il compito di fare la “nuova evangelizzazione”, cioè di “cambiare il mondo”, come ha chiesto loro il Pontefice, cominciando a cambiare loro stessi.
La domanda è seria, decisiva. Nessuno credo abbia la soluzione, ma già interrogarsi, analizzare, significa preparare una risposta adeguata.
25 anni fa i giovani erano tanti e tutti affascinati da un grande santo Papa. Cinque anni dopo, la presenza ai suoi funerali ne fu la conferma. I “Papa boys” erano tanti ed erano veramente innamorati, ma non bastarono a fermare il processo di scristianizzazione. Tutti gli analisti sembrano concordi nel ritenere che in questo quarto di secolo, in Europa, la Chiesa abbia perduto fedeli, soprattutto fra i giovani, e sia in crescita soltanto in Africa e Asia. Così confermano i numeri dell’Annuario Pontificio, che sono indicativi anche se non dicono tutto. Forse possiamo pensare che comunque il lungo e splendido pontificato del Papa polacco abbia frenato un processo di allontanamento dalla fede e dobbiamo ritenere che il suo Magistero continuerà a offrire grandi prospettive, soltanto se sarà studiato ovviamente.
L’osservazione, però, è pertinente: che cosa si potrebbe fare di più e meglio oggi, 25 anni dopo, con meno giovani e più fragili?
Intanto lasciamo fare alla Provvidenza divina. Da parte nostra partiamo da quello che c’è e forse sapremo soltanto la verità di come sono andate le cose quando potremo leggere la storia dall’altra parte della tela.
Intanto, offriamo loro una lettura unitaria della Chiesa. In questi giorni qualcuno insiste nel volere contrapporre l’attuale Pontefice (che cita continuamente Papa Francesco, basta leggere proprio i discorsi ai giovani) al suo predecessore, fornendo un pessimo servizio all’unità della Chiesa. Non che si debbano negare differenze che ci sono sempre state, e meno male. E possono anche esserci legittime preferenze. Ma la Chiesa è una, il Magistero è uno e la sua forza sta proprio nella continuità, oltre che nella continua riforma: semper reformanda.
In secondo luogo, riprendiamo e approfondiamo le parole importanti di Papa Leone. Verità, amicizia, insieme, significano qualcosa. Si diceva 25 anni fa, che se i giovani entusiasti delle GMG, tornati nelle loro diocesi, nelle loro associazioni e nelle loro famiglie di origine avessero trovato il contrario di quanto ascoltato, il loro entusiasmo avrebbe potuto presto esaurirsi. E’ andata così dopo il 2000? Non lo so, ma cerchiamo di fare in modo che l’entusiasmo di questi giorni non si spenga. Parliamo loro della Verità, aiutiamoli a cercarla, offriamo loro vera amicizia, che significa tempo a loro disposizione, e invitiamoli a scoprire la bellezza dell’unità nella Chiesa, in un mondo lacerato e lacerante.