Un ’68 niente affatto da amarcord, ma come punto “fatidico” per comprendere come siamo messi oggi, qual è la nostra postura umana, il nostro modo di affrontare la vita. Per verificare se per caso «anch’io non mi sento molto bene» e orientarsi sul che fare. «Questo lavoro è l’espressione della prospettiva con la quale ho guardato e vissuto le circostanze che, proprio a partire dal ’68, hanno prodotto la mentalità corrente».
La prospettiva è quella dichiarata dal sottotitolo del libro: “Un punto di vista cattolico”. Un punto di vista «felicemente desueto», annota Giuliano Ferrara con un acuto quasi-ossimoro nella sua prefazione. Conosco e stimo Cesana da oltre mezzo secolo: non è tipo da allinearsi neanche per un pelo al consueto, cioè alla moda, all’ovvio, alla maggioranza. Mai avuto paura di porsi di fronte alla realtà giudicandola. In questo, di sicuro, da “figlio” di don Giussani.
Cesana impatta ventenne nel ’68 da «cristiano secondo me»: come più o meno l’intera sua generazione, sul crinale fra tradizione languida e pratico rifiuto. Il ’68 fallisce nel suo obiettivo dichiarato di giustizia sociale e di società dell’eguaglianza, contribuisce invece a realizzare la rottura con la tradizione cristiana (già di suo indebolita) e a propagare, con i suoi leader candidati a classe dirigente, un nichilismo gaio, una società individualistica radical-borghese.